Quando sento che un disco che amo è stato remixato, com’è successo a Animals (2018 Remix) dei Pink Floyd uscito venerdì scorso, scatta in me una curiosità estrema. Non vedo l’ora di ascoltarlo per scoprire quanti e quali particolari nascosti sono venuti a galla grazie alla scelta di riprendere le tracce audio originali per rendere il suono quasi trasparente, con sfumature inedite che riportano a nuova vita album ascoltati migliaia di volte.
Per realizzare il mixaggio di un brano si prendono le singole tracce audio (su ogni traccia è registrato uno strumento o una voce) e le si sistema nello spettro sonoro dotandole dei giusti effetti ed equalizzazioni, fino alla quadratura finale con tutti gli strumenti al giusto volume. Negli odierni remix si ri-lavora su un precedente mix, le tracce vengono ripulite, ri-equalizzate, sistemate più dettagliatamente nei due canali stereo (o nei multicanali del 5.1), si evidenziano cose che erano rimaste soffocate e si cerca di offrire un suono che sia quanto più possibile aperto, dotato di spazio. Diverso il discorso del remastering. In questo caso non si agisce sulle singole tracce bensì sui brani già mixati che sono andati a creare il master di un album, ovvero il risultato finale. Il mix originario non viene toccato, si lavora sulle frequenze per far sì che un qualcosa che magari originariamente suonava cupo venga reso brillante, oppure più caldo e potente.
Certo, si tratta di interventi molto delicati che vanno a modificare il suono di un album, la maggior parte di questi però sono fatti con maestria, con lo scopo di arricchire l’ascolto, non di stravolgerlo. Da questo punto di vista è encomiabile, e altamente creativa, l’opera compiuta in tempi recenti da Steven Wilson nei confronti di capolavori della stagione dorata del prog rock, come gli album di King Crimson, Yes, Gentle Giant, Jethro Tull, Emerson, Lake & Palmer. Oppure gli ottimi remix di Nick Davis realizzati nel 2007 degli album storici dei Genesis. La tecnologia dei ’60-’70 a volte non permetteva di mettere in luce tutte le sfaccettature di una musica strutturata e colma di arrangiamenti come il prog. Oggi invece è possibile e gli stessi musicisti sono felici di fare ascoltare al proprio pubblico come quei dischi avrebbero potuto suonare se non ci fossero state le limitazioni dell’epoca.
Ci vuole però misura. Un conto è remixare, un altro è aggiungere registrazioni effettuate oggi, quello sì che è un vero sacrilegio. Anni fa Frank Zappa ha rimesso mano al suo We’re Only in It for the Money andando a sostituire batterie registrate nel 1968 con altre del 1986. Il risultato è un Frankenstein senza alcun senso. Largo quindi ai remix, ma con eleganza e soprattutto ricordandosi sempre di non andare a rimpiazzare sulle piattaforme streaming la vecchia versione con la nuova. L’ascoltatore deve anzitutto potere godere dell’opera così come è stata concepita all’epoca della sua uscita, solo dopo che l’avrà penetrata a fondo potrà togliersi la curiosità di scoprire nuovi dettagli grazie ai remix.
Per amanti dello scavo sonoro come me il remix di Animals dei Pink Floyd (risalente al 2018 e rimasto parcheggiato a causa di beghe legate ai crediti) arriva quindi come manna dal cielo. Una cosa di questo album è risaputa: i Floyd non sono mai stati del tutto soddisfatti del risultato che vedeva in campo un suono quasi punk, sporco, grezzo, che rispettava in pieno le caratteristiche di un disco cupo, angosciante e senza speranza. Il mix originario, realizzato da Brian Humphries, rappresentava inoltre il primo lavoro uscito da Britannia Row, studio di registrazione privato della band che evidentemente necessitava ancora della giusta calibrazione. Passati la bellezza di 41 anni è James Guthrie (con i Floyd dai tempi di The Wall) a riprendere in mano i nastri per cercare di riportare il disco a nuova vita, mantenendo un certo mood minaccioso ma allo stesso tempo offrendo agli ascoltatori inedite sfumature e una rinnovata grinta che un po’ mancava all’originale.
Il risultato non tradisce le aspettative. Pur mantenendo in pieno il suo ardore, Animals è ora più coinvolgente e definito. Le voci sono state enfatizzate a livello di equalizzazione e arrivano solide al punto che i due sembra stiano cantando a pochi metri dall’ascoltatore. Stesso discorso per le chitarre acustiche, delle quali adesso si può gustare ogni minima vibrazione delle corde. Il basso, prima troppo ingolfato, tuona sicuro, caldo e particolareggiato. Il suono prima “inscatolato” della batteria è stato aperto e reso cristallino in tutte le sue componenti (piatti, cassa, rullante, ecc) senza che abbia perso un briciolo di potenza, anzi. Che dire poi delle chitarre? La loro presenza si è fatta maestosa, sono calde e avvolgenti nelle ritmiche mentre nei soli il tocco è più definito e ci si accorge di preziosismi (tipo diverse armonizzazioni) che prima sfuggivano.
Infine le tastiere: a loro è stato riservato il trattamento migliore. All’epoca Rick Wright stava vivendo un periodo non facile nel suo rapporto con Roger Waters, a causa di ciò era come se la sua performance fosse stata soffocata, gli fosse stata tolta aria. Con il nuovo ascolto possiamo dimenticarci di tutto questo: adesso piano, Hammond, sintetizzatori e tastiere assortite si riprendono il loro spazio contribuendo alla creazione dell’atmosfera claustrofobica che ammanta tutto l’album. Dimostrando ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, che molta della musica dei Pink Floyd non sarebbe stata la stessa senza il tocco di Rick.
In tutto questo gli effetti sonori (da sempre parte integrante del sound floydiano) esplodono dalle casse muovendosi agilmente all’interno dello spettro audio e restituendo al meglio tutti i belati, i grugniti, i vocoder che fanno cantare i cani e gli stralci biblici recitati. In generale tutto suona più unito, quando arriva Pigs on the Wing, Part 2 si ha una maggiore sensazione di ciclicità, è più netta la consapevolezza di avere ascoltato un concept, una suite in cinque parti. Inoltre, specie grazie alla maggiore presenza delle tastiere, si avverte più chiaramente che Animals è il naturale prosieguo di Wish You Were Here, togliendo di mezzo l’impressione che il disco del 1977 fosse un poco slegato dal resto del corpus floydiano, sorta di strano monolito piovuto nella discografia della band chissà da dove.
Il remix di Animals è un lavoro necessario per far sì che un disco importante, ma forse meno curato a livello sonoro rispetto alla perfezione di Dark e Wish, possa risplendere in tutta la sua distopica bellezza. Chiaro, ci sarà sempre chi davanti a tutto questo rimarrà schifato e continuerà ad amare la ruvidezza del mix originale, ma Animals (2018 Remix) non stravolge nulla, offre solo un modo per penetrare più a fondo la musica e soddisfare chi, dopo ore e ore di ascolti, vuole capire se ci sono ancora nuovi dettagli da scoprire.
Una piccola critica è necessario però farla e riguarda la copertina. Non è assolutamente detto che un lavoro di remix debba coinvolgere anche l’arte grafica, a meno che l’immagine originaria non venga migliorata e – così come la musica – questo serva a portare a galla nuovi particolari. Rifare da capo la copertina è un po’ come re-incidere il disco, cosa che non è avvenuta. L’opera di restyling è stata importante e Animals è un lavoro ancora attuale nelle sue tematiche, ma è e resta un disco del 1977 che deve portarsi dietro tutto lo spirito del tempo in cui è stato pubblicato. Per questo nutro qualche dubbio su questa perfetta e scintillante Battersea Power Station che rispetta il concept, ma mette insieme una foto di oggi con una musica di ieri. Un accostamento che stride alquanto e che non sarebbe stato necessario tanta è la bellezza della copertina dell’epoca, opera iconica ancora adesso in grado di comunicare il suo messaggio con forza dirompente.