La premessa è d’obbligo: intervistare la Gialappa’s Band è impossibile. Per cui, quello che leggerete è soltanto un tentativo maldestro di indirizzare il flusso di battute, freddure, giochi di parole, paradossi e calembour che, quando sono insieme, fioriscono senza soluzione di continuità. E forse non è un caso che il libro nel quale raccontano quarant’anni di professione, lungo i quali sono stati autori di programmi che hanno segnato la storia della radio e della televisione, hanno scoperto molti dei più grandi comici italiani e ci hanno fatto sbellicare con le loro voci fuori campo, sia composto da oltre 400 pagine (con tanto di Qr code per rivedere i video). Si intitola Mai dire noi, scritto con il giornalista Andrea Amato per Mondadori Electa, e ripercorre episodi imbarazzanti, figuracce e incontri con i personaggi più bersagliati. Perché sotto la lente distorta dalla satira di Carlo Taranto (il Signor Carlo), Marco Santin e Giorgio Gherarducci nessuno trova scampo. E per chi è cresciuto con Mai dire gol e le loro telecronache dei primi Grande fratello sarà impossibile non rivivere una stagione leggendaria e dissacrante che forse oggi sarebbe irripetibile.
Dagli esordi a Radio Popolare, dove godevano di una «libertà espressiva persino eccessiva», al salto in tv dove inizialmente li stopparono con una frase rimasta nella storia («Il calcio è una religione, non si bestemmia sul sagrato»), ci hanno spoilerato alcuni dei passaggi più divertenti di un volume che è di per sé già un cult e ricordato alcuni passaggi chiave della Gialappa’s story: l’affiatamento naturale per contrasto, la censura subita a Mediaset (dopo la discesa in campo di Berlusconi), come ci si muove in Rai (se conosci i corridoi giusti), il rapporto di amore e odio con i social (dalle minacce di morte ricevute alle telecronache su Twitch), gli scherzi irresistibili per bloccare i musicisti che volevano farsi promozione in trasmissione (con la vista delle parti intime di Claudio Bisio) e quello che è stato il punto più alto (mancato) della loro carriera: la canzone scritta nientemeno che per Mina.
Innanzitutto volevo dirvi che ho quasi 40 anni e le vostre trasmissioni hanno segnato profondamente la mia crescita, per cui avete delle responsabilità.
Signor Carlo: Diciamo non tutte, ma forse buona parte sì.
Marco: Siamo già nel penale?
Giorgio: “Cazzo, non ho con me il libro perché l’ho lasciato a mia mamma…”
Un libro corposo di oltre 400 pagine con dentro tutta la vostra carriera e moltissimi degli episodi più esilaranti. Sono passati alcuni giorni dall’uscita, per caso qualcuno si è lamentato?
Marco: Neanche uno, però se ce la stai tirando diccelo… Comunque l’unico commento negativo l’ho visto sui social: “L’ho letto tutto e mi piaceva di più il film” (si riferisce a Tutti gli uomini del deficiente, diretto nel 1999 da Paolo Costella, nda).
Adesso potreste pensare a una serie, visto che sono più attuali.
Marco: Il film si prestava a una serie, come dice Carlo ormai da mille anni.
Signor Carlo: Ma tu hai ricevuto il libro? Perché di solito ci intervistano senza averlo avuto.
Posso rassicurarvi che l’ho ricevuto.
Signor Carlo: Però facciamo finta che non l’hai ricevuto, così proseguiamo con il mood di altre interviste.
Marco: Infatti il secondo libro che scriveremo sarà tratto dalla nostra chat con Mondadori, si potrebbe ridere parecchio con tutti gli insulti che gli abbiamo girato.
Sentite, ma quando avete scoperto questa alchimia che dopo quarant’anni ancora funziona?
Marco: Io sinceramente oggi…
Signor Carlo: No dai, da subito, quando nel 1983 abbiamo partecipato alla trasmissione Bar Sport su Radio Popolare. Conteneva in buona parte le idee che abbiamo portato avanti in seguito. Pur non conoscendoci, all’inizio si è creato un affiatamento sul contrasto più che sulle cose in comune.
Marco: Purtroppo l’abbiamo disimparato nel corso degli anni, prima eravamo bravissimi a non soprapporci. Adesso molto meno.
Mi aggancio sul “disapprendere” caro a Carmelo Bene per farvi una citazione colta di quando scrisse: “Tutta la storia è storia della phoné”. La vostra storia è quasi tutta basata sulla voce.
Signor Carlo: Quando si è in tre molto nasce dai rapporti in scena, dai contrasti dialettici, come i contrasti fisici di Aldo Giovanni e Giacomo. Nel nostro caso è stato un gioco di antitesi. Tutta la storia sarà anche storia della phoné, ma finché nessuno dice “no” va tutto benissimo, però ci si annoia. Noi per contrapposizione abbiamo trovato subito un punto su cui dirci “no”, che allora era addirittura “manco per il cazzo”, perché in radio avevamo una libertà espressiva persino eccessiva. Per stare alle citazioni colte, abbiamo instaurato una dialettica hegeliana: tesi, antitesi e e sintesi.
Giorgio: Io a suoni vado forte, ma non solo con la bocca…
Voi che avete attraversato molte fasi, a che punto siamo con la libertà espressiva in tv?
Marco: Da un lato ci sono alcune restrizioni, dall’altro si possono dire molte più cose. Oggi però ti esponi ai commenti social che influenzano l’opinione pubblica. Ne parliamo spesso in questo periodo, perché alcuni personaggi che abbiamo fatto in passato non sarebbero potuti esistere in questa epoca visto che – anch’io faccio una citazione colta – come diceva Umberto Eco, sarebbe insorto il cretino del bar a criticarci.
Oppure associazioni come il Codacons, che ultimamente sembra aver preso di mira Fedez.
Giorgio: Per me è peggio il Moige (Movimento Italiano Genitori, nda). Oggi c’è gente che ha voglia di protagonismo, non avendo mai avuto rilevanza, anche perché spesso non la merita.
Signor Carlo: Almeno quelle sono organizzazioni. A me stupisce quando i giornali seguono a ruota le presunte insurrezioni dei social che partono da poche persone che hanno da eccepire. In passato non avevano questa opportunità, forse in parte era un male, ma almeno dovevano passare attraverso il filtro di prendersi la briga di contattare l’emittente, mandare lettere, telefonare e spesso trovarsi dall’altro capo del filo una segreteria telefonica pre-registrata. A molti passava la voglia.
Marco: Il dissenso ci sta, la carovana di insulti che spesso nasce dal nulla no. Prima lo scemo di turno veniva zittito dagli altri al bar, mentre adesso riesce a parlare direttamente con il presidente della Repubblica. E a volte gli rispondono pure. Io questo errore l’ho fatto…
Hai avuto un confronto con un hater?
Marco: Sì, con tanti hater e mi sono fermato quando ho capito che era inutile. Ti insultano in quel momento e poco dopo è finita. Durante un Sanremo prendevamo per il culo Rocco Hunt, ma non in quanto napoletano. Ovviamente non facevamo ironia sulla terra dei fuochi, visto che lavoravamo anche alle Iene, dove la povera Nadia Toffa trattava molto bene quell’argomento che noi sentivamo forte. Abbiamo fatto una critica opposta: ma come, sei un cantante rap e dovresti fare l’artista di protesta, no? Non l’avessimo mai detto, ho passato la notte a rispondere agli insulti sui social, spiegando che il pezzo era stato tagliato e sembrava dicessimo “chi se ne frega della terra dei fuochi”. Hanno augurato la morte ai miei figli e sono stato sveglio fino alle 6 del mattino per rispondere. La cosa curiosa è che, due anni dopo, parte un nuovo programma e mi arrivano gli auguri da uno con una faccia conosciuta. Scorro la conversazione ed era uno di quelli che mi aveva minacciato. Allora gli rispondo: scusa, due anni fa hai augurato la morte. E lui: “Eh vabbè…”
Il vostro lavoro ha generato anche uno strano paradosso. Alcune gag oggi sarebbero sommerse dalle critiche, però quelle del passato, anche le più scorrette, tornano spesso virali grazie ai social e non si lamenta nessuno.
Giorgio: Siamo come l’herpes, ogni tanto si ripresenta e non sai perché…
Signor Carlo: Per eliminarci ci vuole lo Zovirax. Comunque, pur non sapendolo spiegare, quei filmati oggi non si potrebbero replicare, se non esponendosi al rischio di cui parlava Marco. Però in quanto repliche non hanno mai portato a commenti negativi o insulti. È ancora un mistero.
Sarà che sono ormai filmati storicizzati.
Signor Carlo: Sì, ma non vorrei suggerire agli hater di insultarci oggi per quegli sketch. Anche perché se oggi rifacessimo Nico (dalle lezioni di sardo di Aldo Giovanni e Giacomo, nda) qualcuno sull’isola potrebbe insorgere, dicendo che non si prende in giro la loro lingua e la loro cultura. E qualche giornale, presunto serio, potrebbe fargli da cassa di risonanza.
Giorgio: Però ci va meglio a noi rispetto agli americani, là se hai fatto una battuta oggi ritenuta scorretta dieci anni prima ti licenziano da un programma a cui stai lavorando oggi.
Marco: Per esempio con Steven Bradbury (medaglia d’oro dello short track di Salt Lake City nel 2002 che hanno preso in giro per la fortuna sfacciata in un video ormai leggendario, nda), quello è uno dei filmati più virali, ma credo che gli dicessimo la qualsiasi e nessuno si è mai lamentato.
Neanche il diretto interessato?
Marco: Per ora no, ma tu ce la vuoi tirare…
Giorgio: Be’, pensa che lui in patria è diventato un idolo, tanto che il termine “botta di culo” in Australia è ormai sinonimo di “Bradbury”.
Tornando al libro, fa abbastanza impressione a distanza di tempo quando raccontate la prima reazione della Rai alla vostra proposta di un programma: “Il calcio è una religione, non si bestemmia sul sagrato”.
Marco: Infatti poi non è partito nulla, ma per fortuna anni dopo siamo riusciti, anche se non in Rai, a bestemmiare sul sagrato. Aggiunsero anche: “Perché il calcio in Italia è una religione. Al primo posto c’è la mamma e al secondo il calcio”. La moglie e i figli venivano dopo con molto distacco. Come a dire: che cazzo vi viene in mente?
Signor Carlo: Il paradosso è che nel giro di tre anni, dopo che riuscimmo a portare quel tipo di satira in una tv commerciale, anche la Rai si accodò. Il nostro Mai dire gol inizia nel 1990 ed è molto simile a quello che arrivò successivamente con Quelli che il calcio. L’assurdo di quella frase è che non ci venne detta in faccia, ma ci chiamò un autore che aveva ascoltato le nostre cronache radiofoniche: rimase folgorato e provò a proporci in Rai. Già lui ci avvisò che sarebbe stata dura. Ci voleva l’autorizzazione di Rai Sport, quindi accadde quello che aveva immaginato. Angelo Guglielmi, direttore di Rai 3, ne fu entusiasta, ma il pool sportivo se ne uscì con quella frase.
Marco: Fortunatamente facevamo anche altro, se avessimo avuto solo il calcio probabilmente ci avrebbe affossato. Intanto il calcio lo trattavamo in radio e in tv lavoravamo con Mai dire banzai, come autori per Emilio. E quando Giorgio Gori ci ha propose il calcio in tv abbiamo tirato fuori vecchie rubriche, altre ne abbiamo ideate, ma convinti che il mondo del calcio non avrebbe accettato questo nostro modo di prenderlo in giro. Invece abbiamo avuto delle belle sorprese.
In Rai capita spesso che all’inizio ci siano delle resistenze, da ultimo Fiorello con Viva Rai 2!
Signor Carlo: Quando si dice “la Rai” sembra qualcosa di chiaro, solo che in Rai c’è di tutto. Con la Rai abbiamo collaborato tantissimo dal 1994 al 2010. In Rai c’è pluralismo, contiene tutte le posizioni, il problema è l’onda. A volte è a favore di determinate idee e progetti, altre volte sommerge le novità. Sempre quell’autore ci disse: “Dovete sapere il momento giusto, il corridoio giusto e la persona giusto a cui rivolgervi”.
Marco: Il problema è che lui, allora, non conosceva nessuno dei tre.
Quando gli ascolti vi hanno dato ragione come avete festeggiato?
Signor Carlo: A parte quando siamo andati a fare i gestacci sotto gli uffici di Rai Sport? Comunque la Rai, essendo così variegata, è come se non esistesse. Abbiamo vissuto l’inizio di diverse direzioni, quando tutti obbediscono ciecamente. E anche quando si capisce che gli equilibri politici, a cui tutto è legato, cambiano e si nota una decisione del direttore che non viene più assecondata con ossequio. Così quello che accade dopo le numerose dimissioni. È una questione di periodi.
Marco: Abbiamo cantato il pezzo di Eduardo De Crescenzo, Ancora, dove dice: “Tirare sassi a una finestra chiusa…”. Io forse sono matto, ma non ho avuto percezione di aver svoltato. Ricordo che in quegli anni tutto quello che proponevamo a Mediaset andava in onda. Ma del successo come sempre te ne accorgi dopo. E ti accorgi che, forse, certi personaggi sono immortali. Quando mandavamo in onda Steven Bradbury avevamo le lacrime agli occhi per le risate, ma non potevamo immaginare che dopo vent’anni sarebbe tornato virale. Così come Patrick quando vomita nella suite del Grande fratello o del tipo che passa dietro a una intervista e dice: “C’è un po’ di figa qui?”.
Giorgio: Lavoravamo talmente tanto che non avevamo tempo di accorgerci del successo.
Da Mediaset alla Rai, da Berlusconi alla prefazione di questo libro scritta da Walter Veltroni. La vostra ironia ha davvero messo d’accordo tutti.
Giorgio: A Mediaset, se facevi ascolti, tendenzialmente ti lasciavano libero. Però a volte li abbiamo fatti anche incazzare e diversi tentativi di censura ci sono stati.
Marco: Come spesso successo nella nostra carriera, Veltroni è venuto in mente per caso. Ci aveva chiamato per il Corriere, noi stavamo scrivendo il libro e gli abbiamo chiesto se ci faceva la prefazione. Lui scrive benissimo, ha autorevolezza, ed è stato in alcuni frangenti importante nel nostro percorso. Ci ha fatto capire cosa fosse Tafazzi, che non avevamo colto fino in fondo, e addirittura ha visto nascere Nico il sardo a una Festa dell’Unità. E adesso ci ha scritto una prefazione che potrei mettere sulla mia lapide.
Avete ricordato i tentativi di censura e nel libro parlate di quella volta che riuscirono a bloccarvi uno sketch legato alla politica.
Signor Carlo: L’unica vera grande censura riuscita da parte di Mediaset. Era il 2005, il Parlamento discuteva la legge Gasparri che riordinava il sistema radiotelevisivo. Era verso la fine del governo Berlusconi e la legge rischiava di non passare al Senato. I nostri autori scrissero uno sketch dove Mario Giordano, parodiato da Fabio De Luigi, intervistava Maurizio Gasparri, parodiato da Neri Marcorè. Non conteneva nulla di eccessivo, non faceva quasi per niente riferimento alla legge.
Giorgio: Gasparri ne usciva come un deficiente, questo è vero, ma era più giocoso che satirico.
Come avvenne la censura?
Marco: I famosi momenti giusti e momenti sbagliati. Tra l’altro uno sketch che avevano letto, visto che li mandavamo tre giorni prima alla direzione. Avrebbero potuto dirci qualcosa allora, non quando stavano già per entrare in scena gli attori. E questo ci fece saltare i nervi. Chiamarono noi tre che avremmo dovuto avvisare De Luigi e Marcorè dopo quattro ore di trucco a dirgli che saltava tutto.
Signor Carlo: Erano talmente terrorizzati che non passasse la legge, che al solo pensiero di una gag su Gasparri sono andati nel panico. Noi rispondemmo: scriveteci il perché con una motivazione. L’editore può non trasmettere, da contratto, però è diritto dell’autore chiedere una motivazione. La motivazione era chiara, ma non la vollero scrivere.Ci pensarono tutto il giorno, mentre noi eravamo in studio con l’intera troupe solidale ad attendere. In serata, con in onda Zelig, ci tirarono fuori la legge sulla par condicio. Ma le elezioni erano solo in alcune regioni.
E quindi?
Signor Carlo: Noi intanto guardavamo la tv e in quel momento c’era Antonio Cornacchione che recitava il suo pezzo con il famoso “povero Silvio”. Ma quello, dicemmo alla direzione? E loro: “Ah ci siamo dimenticati, ma vedrete che dalla prossima settimana non lo farà più”. Lui puntualmente lo rifece la settimana dopo.
Marco: Fu divertente l’evolversi della questione. Al pomeriggio venne il direttore di rete e ci disse di toglierlo, e noi rispondemmo “manco per niente, ce lo dovete scrivere”. Così hanno cominciato a mandare gente sempre meno importante. Finché arrivò l’aiuto dell’avvocato che si prese anche lui i nostri insulti. Nel frattempo, però, erano riusciti a tagliare pesantemente la puntata.
Sono passati anni, ma questo episodio si sente che è ancora una ferita aperta.
Signor Carlo: Ha segnato un discrimine nei rapporti con l’azienda. I tentativi di aggiustamenti vari agli sketch sono stati costanti da quando Berlusconi è sceso in campo, perché fino al ’94 non ricordo intrusioni.
Marco: Se pensate che mandavamo in onda Pier Piero (il giardiniere di Arcore interpretato da Antonio Albanese, nda). Mai una volta ci hanno detto di non fare qualcosa. Il clima in azienda è cambiato nel momento storico in cui dovevano cambiare…
Raccontate nel libro anche del vostro incontro con Silvio Berlusconi.
Marco: Lo abbiamo visto tre volte. Una è quando si presentò a Mediaset perché stava preparando il terreno per la discesa in campo. Quel giorno noi avevamo superato per la prima volta il Processo del lunedì di Biscardi e quindi venne per farci i complimenti. Li fece a Giorgio, a Carlo e a un altro che era lì ma non ero io, perché non ci conosceva neanche di persona.
Signor Carlo: Nel libro c’è poi un racconto scritto da Giorgio di quando Berlusconi veniva in azienda e cambiava tutto, diventava un gran carnevale.
Di episodi ne raccontate tantissimi, ma ve ne chiedo chiedo uno a testa al quale siete più legati.
Signor Carlo: Intanto, grazie a questo libro ho potuto ricordare la parte più importante del mio curriculum, anche se mancata. Un giorno guardo nei cassetti e trovo il testo di una canzone che avevo scritto per Mina. Quando lei ci fece l’enorme regalo di cantare Ricominciamo, che divenne la sigla finale della trasmissione, suo figlio mi disse: “Stiamo preparando il nuovo album, se vi viene in mente una canzone la valutiamo”. Io il giorno dopo la scrissi di getto, anche se non era ironica. Dopo un po’ di tempo, tutto ringalluzzito, gliela mandai e lui la girò alla mamma. Passarono un paio di giorni e poi finalmente mi arrivò una mail laconica: “La tua proposta di canzone l’ha ascoltata, ma non l’ha scelta. Grazie lo stesso”. Ma posso dire che Mina ci ha chiesto di scrivere una canzone e l’abbiamo mandata, devo solo omettere che questa le ha sconvolto la peristalsi intestinale.
Marco: Mina avrà detto che non teneva “el respiro international“? Il mio episodio preferito è con Claudio Bisio. I primi anni non ospitavamo chi era in promozione, poi abbiamo trovato l’idea giusta per far venire i musicisti, ma noi li affiancavamo a dei comici per farli ridere. Non appena ridevano dovevano smettere di cantare, quello era l’accordo. Una volta Bisio si presenta con una scatola a coprirgli l’inguine. Da una parte era chiusa, ma dall’altra era aperta e svelava la sua minchia. In quel modo, di spalle alla telecamera, va davanti a chi si stava esibendo e lui non riesce a continuare a cantare, perché è talmente una follia da deficienti che non può che scoppiare una risata. E ricordo quando lo beccai dietro le quinte a prepararsi per fare “bella figura”… ma non posso andare oltre.
Giorgio: Io ricordo con piacere di quando se ne andò Teo Teocoli e arrivò Claudio Lippi. È la cronistoria che dimostra come la casualità nella nostra carriera sia stata fondamentale. Con Teo che se va in polemica a metà delle registrazioni di una puntata e poco dopo passa nei corridoi Claudio a salutarci. Addirittura lui era in causa con l’azienda in quel periodo. Ci disse “No no, non fate cagate”, ma dopo venti minuti era in onda in smoking.
E oggi, dopo quarant’anni, siete sbarcati anche su Twitch per commentare i Mondiali di calcio. Siete davvero come l’herpes, come diceva Giorgio all’inizio…
Giorgio: L’avevamo già provata come piattaforma negli scorsi Europei e lì c’è molta interazione. I feedback ogni tanto sono intelligenti e divertenti. Twitch è molto agile, non servono grossi studi e puoi ascoltarlo ovunque. Il problema dei nostri programmi, in passato, è che avevano bisogno di concentrazione per essere seguiti. Qui riesci a instaurarla e puoi seguirci ovunque ti trovi.
Marco: Però abbiamo sostituito per il momento il Signor Carlo con il grande Carlo Pellegatti. Siamo solo io e Giorgio su Twitch, forse perché lui sta scrivendo un nuovo pezzo per Mina…