Rosalía: popstar dell’anno
Incontri ravvicinati, tra New York e Porto Rico, con la motomami che, cambiando radicalmente se stessa, ha cambiato (un po') il pop nel 2022. Tutto nasce dalla domanda: «Fin dove posso spingermi per essere il più possibile libera nei testi, nel sound, nell’estetica, in tutto?». La risposta in questa lunga intervista
Foto: Josefina Bietti per Rolling Stone
È un pomeriggio di settembre, il cielo s’è rasserenato dopo un temporale improvviso e Rosalía fissa la battigia di Bahia Beach, a Porto Rico. In piedi, immobile, ripensa al caos del concerto della sera precedente. «Dios mio, è stato pazzesco», dice, tra gioia e incredulità.
Forse non dovremmo nemmeno chiamarlo concerto. Rosalía s’è esibita per quasi due ore di fila di fronte al Coliseo de Puerto Rico José Miguel Agrelot sold out. Al netto delle orde di fan urlanti, lo show è più simile a una performance artistica che a un concerto tradizionale, e ha occupato le chiacchiere in città e sui social media negli ultimi mesi. Non ci sono opening act e nemmeno cambi d’abito. Rosalía è il fulcro, col viso spesso imperlato di sudore e lacrime. Fa di tutto: suona una chitarra nerissima, fa palloncini col chewing-gum, martella un pianoforte decorato, dà tutta sé stessa. È un anno che fa questa vita girando il mondo col Motomami World Tour.
Lo show a Porto Rico è stata una festa totale. I posti a sedere si sono rivelati inutili, così come l’opera degli addetti alla security che si davano da fare nel tentativo (fallito) di impedire che la gente si riversasse nei corridoi. Il posto è parso collassare quando Rosalía ha urlato alla folla: «L’amore della mia vita è qui!», riferendosi al suo boyfriend, la star portoricana Rauw Alejandro. Dopo il concerto, ha trovato la forza per andare con lui a un afterparty in un club di San Juan. Le fotocamere degli iPhone li hanno immortalati mentre a tarda notte ballavano varie hit, tra cui Despechá della stessa Rosalía.
Quando la mattina dopo arrivo nella villa con vista sull’oceano a St. Regis dove sta con gli amici, Rosalía è brillante e vispa. Indossa un miniabito blu con colletto alla Peter Pan. Ho un milione di cose da chiederle, ma è lei la prima a farmi una domanda.
«Ok», dice entusiasta, con gli occhi che s’illuminano di curiosità, «dimmi tutto. Come t’è sembrato ieri sera? Era la prima volta che vedevi un mio spettacolo, vero? Cosa te ne è parso? Voglio sapere».
Le rispondo rapidamente, dicendole che l’avevo vista solo nel 2019, a Austin City Limits. All’epoca Rosalía era fresca del successo del concept El Mal Querer. La promettente diplomata all’Escola Superior de Música de Catalunya, la ragazza che aveva dedicato gran parte della vita a imparare la dura arte del flamenco, s’era trasformata in una fusionista d’avanguardia che polverizzava i confini tra i generi. Dotata d’un bagaglio enciclopedico di riferimenti culturali, usava Justin Timberlake, esplodeva nel cante jondo, citava un romanzo occitano su una relazione tossica, tutto nell’ambito dello stesso progetto (il libro in questione, intitolato Flamenca, ha ispirato l’album che ha costituito anche la sua tesi di laurea).
Chi s’aspettava altro flamenco barocco dopo El Mal Querer è stato spiazzato da Rosalía, che nei due anni successivi s’è gettata a capofitto in collaborazioni con artisti reggaeton e hip hop come J Balvin, Travis Scott e Ozuna. Alcuni sono stati sedotti da questa trasformazione, specchio a loro modo di vedere d’una visione coraggiosa e profetica d’un mondo senza confini. Altri hanno letto in quest’approccio una forma sfrontata di appropriazione culturale, frutto d’una condizione privilegiata. Rosalía era diventata stramba, giocosa e difficile da inquadrare: una musicista disciplinata, sincera amante dell’arte più elevata e delle influenze classiche, ma altrettanto brava a usare Internet e a cazzeggiare online, postando selfie annoiati da Insta-baddie, twerkando su TikTok, condividendo foto con le Kardashian e abbracciando i trend social più sciocchi.
Aveva gli occhi di tutti puntati addosso. Tutti aspettavano la mossa successiva. Avrebbe potuto mettere assieme un altro album che le permettesse di sfruttare il momento e il potenziale pop. E invece Rosalía, ispirandosi a Björk, Kate Bush e Lauryn Hill, ha fatto capire che nessuna interferenza esterna avrebbe influenzato il suo processo creativo. «Non voglio pubblicare dischi fatti in fretta o dettati dalla pressione del “oh sono passati X anni”. Non sarò mai quel tipo d’artista. Farò musica solo quando avrò qualcosa da dire».
Per tre anni ha lavorato a un album in costante trasformazione. All’inizio era una specie di protesta contro le aspettative nate dopo El Mal Querer. È poi diventato il luogo in cui raccontare alcuni cambiamenti. Causa pandemia, per mesi un oceano ha separato la cantante (che registrava negli Stati Uniti) dalla famiglia che si trovava a Barcellona. Intanto, Rosalía lottava con la fama, essendo passata dall’essere un’artista indipendente, senza alcun legame con l’industria e con un percorso libero di fronte a lei, allo status di star al centro dell’attenzione e sottoposta a costante giudizio. «Non è il modo in cui sono cresciuta», dice. «È una cosa nuova per me e non essendoci abituata mi sono chiesta: come mi fa sentire tutto questo?».
È successo anche un’altra cosa: s’è innamorata. È dal 2020 che i fan accumulavano indizi che la collegavano a Rauw analizzando le loro interazioni sui social, una foto assieme in un posteggio, la mano di lui che spuntava da un’immagine di lei. A fronte delle illazioni, la coppia ha fatto del suo meglio per mantenere riservato il legame. Come ha detto Rauw a Rolling Stone un anno fa, hanno deciso di rivelare tutto dopo che i paparazzi li hanno beccati in un ristorante. «Le ho detto: e ora che facciamo? Lei m’ha risposto che era stufa di quella merda».
A marzo ha finalmente pubblicato Motomami, una collisione di stili e generi che ha trasformato il trambusto che la circondava in una dichiarazione artistica brillante e coraggiosa. Il tumulto che sentiva era presente nell’eccesso inquietante di La Combi Versace, il ritratto dei nuovi ricchi su un arrangiamento minimale di dembow, e anche nella combinazione dissonante di jazz e reggaeton del suo tributo alle leggende Daddy Yankee e Wisin in Saoko, dove rappa del suo diritto a trasformarsi e contraddirsi.
«È un disco caotico», ammette ridendo. «Volevo che ascoltarlo fosse emotivamente parlando come andare sulle montagne russe, che poi è come mi sentivo in quel momento. Volevo quella dinamica, quella sensazione costante di toma y daca, prendi e dai».
Motomami è stato una gran sorpresa pop. Forse intrvedendo nell’eclettismo di Rosalía lo specchio della sua anima bizzarra, David Byrne ha creato una playlist ispirata da uno show che lei ha tenuto alla Radio City Music Hall di New York. In concerto, Lorde ha fatto una cover della ballad lasciva Hentai. Cardi B (che, con Megan Thee Stallion, ha voluto Rosalía per un cameo nel video di WAP) ha scritto entusiasta del disco su Twitter (“soooo fireeee”, ha detto ai suoi 22 milioni di follower). Più di recente è arrivato il segno dell’apprezzamento dell’industria: Motomami è candidato a due Grammy e s’è aggiudicato il titolo di album dell’anno ai Latin Grammy di novembre, consacrando Rosalía come regina del global pop e provocatrice disinibita, che spazia dal kitsch alle tradizioni riverite senza temere le conseguenze.
«È come l’acqua», dice Noah Goldstein, il produttore e ingegnere del suono vincitore di Grammy che ha lavorato con lei a Motomami. «E per un qualsiasi artista la cosa più desiderabile è proprio essere adattabile, che si pieghi senza spezzarsi, che si muova con fluidità. Lei mette le mani ovunque e la sua fluidità si riverbera nel modo in cui produce musica».
Anche su una spiaggia di Porto Rico, gli ingranaggi nella testa di Rosalía ruotano furiosamente. Parlando, passa di continuo dall’inglese allo spagnolo, a volte butta lì una parola nella sua lingua nativa, il catalano. Parla dei balletti buffi su TikTok, menziona le riflessioni di un poeta e filosofo francese del XVII secolo, cercando il mio aiuto per ricordarne il nome (nome che non scoprirò mai).
Sta vivendo anni luce avanti rispetto a chiunque altro, ha la testa che trabocca di idee che vuole mettere alla prova, di obiettivi che desidera raggiungere, di mete dove vuole arrivare. Più prosaicamente, c’è un luogo dove adesso vorrebbe andare: «Andiamo giù in spiaggia?», chiede, dopo aver notato che la villa ha un accesso privato. Nel giro di pochi secondi prende l’iniziativa e ben presto l’Atlantico le bagna le Crocs nere di Balenciaga. Nonostante tutto quello che le frulla per la testa, è parecchio concentrata in vista del prossimo show, della prossima città, della prossima grande idea che le verrà. «Mi sento molto sicura, più sicura che mai. Sto provando a godermi ciò che accade in ogni istante».
Sul palco Rosalía dà tutto. La scenografia del suo show per Motomami è minimale e buona parte della coreografia si svolge di fronte a un fondale bianco immacolato. Un cameraman sul palco, una serie di iPhone piazzati strategicamente e persino alcuni ballerini filmano lo show da angolazioni diverse. Le immagini vengono proiettate sui megaschermi ai lati del palco. Le camere s’avvicinano mentre Rosalía si leva il trucco con la mano e la immortalano quando si taglia una ciocca di capelli e la getta al pubblico, regalando letteralmente un pezzo di sé. Il risultato è viscerale e inquietante. Si ha l’impressione di essere in un film con lei piuttosto che esserne spettatori.
Verso la fine del concerto, è sdraiata a pancia in giù, a pochi centimetri dal fronte del palco, con gli iPhone così spaventosamente vicini da mostrare il sudore che esce dai pori. «A quel punto dello show sono a pezzi», dice ridendo. È una dichiarazione al pubblico, un atto di protesta contro l’idea che le artiste debbano presentarsi in un certo modo. Il make-up levato, la ciocca di capelli sono gesti concepiti per ricordare alla gente che questa è una cosa vera, che va oltre la semplice performance. «Se qualcuno getta qualcosa sul palco o urla, significa che sta accadendo qualcosa, in quell’istante, e tu devi scegliere se reagire. Devi essere in grado di lasciati andare».
A volte le cose diventano fin troppo reali. In una delle prime date del tour, nel momento del taglio di una delle extension, ha reciso accidentalmente i capelli veri. Ora si passa la mano fra i capelli e ridendo cerca di mostrarmi le ciocche mancanti. «Ero un po’ preoccupata per come sarei diventata alla fine del tour», dice scherzando. «Ma continuerò a improvvisare. Continuerò a cercare di rendere vivo lo show, anche se a volte c’è qualche piccola conseguenza».
Il concept è tutto. Per lei, le canzoni non possono essere pezzi sparsi, devono far parte di una storia più grande. Quando ha iniziato a lavorare a Motomami, una delle prime cose a cui ha pensato è stata il titolo, una crasi ispirata dalla sottocultura del motociclismo (a contatto con la quale è cresciuta nella piccola cittadina di Sant Esteve Sesrovires, famosa per la produzione dei leccalecca Chupa Chups, appena fuori Barcellona) e a sua madre, che dirigeva un’azienda metallurgica e andava in moto. Rosalía voleva comunicare la forza che ha appreso da lei e dalle altre donne della famiglia, tra cui sua sorella maggiore Pili che ora è la sua stilista e direttrice creativa.
C’era una cosa che voleva in particolare: «La libertà assoluta. In quanto artista, il mio desiderio è essere più libera possibile». Ed è questo di cui parla Motomami. «Fin dove posso spingermi per sentirmi il più possibile libera negli argomenti da trattare, nel sound, nell’estetica, in tutto?».
Voleva sfuggire alle idee e alle aspettative che la circondavano e alle costrizioni della grande macchina del pop che aveva sperimentato in prima persona. «Vedevo attorno a me osservo questo fenomeno che mi sorprende sempre, quello delle donne coi loro talenti, incasellate in categorie predeterminate: quella sexy, quella pazza, quella assertiva, la diva. Ma queste categorie non portano a nulla, sono solo limitanti». Vale anche per i generi musicali: «Voglio fuggire alla categorizzazione perché non aiuta affatto. Non aiuta la creatività. È solo una limitazione, quindi non m’interessa».
Però la libertà di cui era in cerca non era facile da trovare, specialmente nel bel mezzo di uno dei periodi peggiori della storia recente. Quand’è esplosa la pandemia, Rosalía era negli Stati Uniti a lavorare negli studi di New York, Los Angeles e Miami, mentre la famiglia era in Spagna, dov’era stato imposto un lockdown piuttosto rigido. «È stato uno dei momenti più difficili della mia vita», ricorda. «Volevo tanto tornare a casa. Se l’avessi fatto, però, avrei messo a rischio il progetto. C’erano molte probabilità di non riuscire a finirlo». E allora ha stretto i denti, s’è messa a capo di un gruppo di produttori che ammirava (tra cui Pharrell Williams, Goldstein e Michael Uzowuru) e ha passato lunghissime ore a cesellare ogni dettaglio. Pili la chiamava spesso per ricordarle che continuava a posticipare la data di uscita del disco. «Non ce l’avrei mai fatta in tempo per la deadline», ammette Rosalía. «Perché io so quando la musica è pronta».
Si sono verificati anche dei piccoli miracoli. A metà della lavorazione, Rosalía ha ricevuto una gigantesca library di suoni reggaeton old school da Luis Jonuel González Maldonado. Noto come Mr. NaisGai, il produttore portoricano è amico di Rauw fin dai tempi delle elementari, nonché suo collaboratore e ha lavorato con lui al disco di platino Todo De Ti. «Mi ha spiegato che era stata tramandata di generazione in generazione, era materiale davvero speciale», spiega Rosalía. «C’è stato un prima e un dopo quel materiale. Potevo finalmente finire alcune canzoni».
Pharrell ha osservato tutto questo lavoro fin dal principio. «Quando pensa non ha limiti», dice, descrivendo quelle di Motomami «canzoni con le zanne», musica che morde lasciando un segno sulla pelle. «Osservare i suoi alti e bassi, le sue emozioni, il modo in cui faceva auto-terapia per quest’album è stata un’esperienza al contempo cerebrale, epica ed energetica».
Una delle canzoni co-prodotte da Pharrell è Hentai, in cui Rosalía canta i piaceri del sesso ben fatto su una melodia di pianoforte ispirata alla Disney che Uzowuru l’ha incoraggiata a suonare. Ha trovato la batteria nella library di Mr. NaisGai e l’ha usata per arrivare al climax, un doppio senso inserito nel cuore del brano. “L’ho sbattuto finché non si è indurito / Al secondo posto c’è scoparti / Al primo c’è Dio”, canta in quello che è il momento più gioioso e libero dell’album. «Credo ci siano troppi tabù su certi argomenti e che quei tabù limitino la libertà», dice Rosalía. «È energia femminile, c’è una superiorità erotica nella femminilità. Perché non scrivere di questo? Perché non fare una canzone dal punto di vista di una donna padrona dei suoi desideri?».
Ovviamente, il testo ha fatto andare fuori di testa parecchia gente, in particolare dopo che Rosalía ha postato uno snippet su TikTok a gennaio. Abituati all’immaginario solenne dei suoi dischi precedenti, molti sono stati scioccati dal testo esplicito. Hentai è Rosalía che si evolve un’altra volta e trova maturità e coraggio nelle sue relazioni e nell’espressione artistica. «Penso che nei miei altri lavori, specialmente nel mio primo album Los Ángeles, non abbia davvero lasciato che la spiritualità o l’erotismo entrassero nei progetti perché non aveva senso, in quel momento della mia vita. Tento di essere aperta a tutto ciò che sta accadendo nella realtà. Penso sia il modo più onesto di fare un disco».
Con Motomami ci siamo avvicinati come non mai a quel Rolodex pieno di suoni che si trova nella sua testa. Dopo avere sentito un coro in chiesa, da bambina, Rosalía ha convinto i genitori a lasciarla intraprendere la strada della musica. A 13 anni ha cominciato a studiare flamenco, diventando studentessa di José Miguel Vizcaya. Quando lui ha iniziato a tenere un corso universitario aperto a un solo studente di flamenco all’anno, lei l’ha seguito e ha assorbito tutto ciò che la scuola aveva da offrire, dalle composizioni classiche agli standard jazz. Nel tempo libero ascoltava con gli amici a tutto volume il reggaeton, ma spesso finiva da sola in sale prove immersa nei libri di testo. Di sera si esibiva nei baretti di mezza Barcellona e poi andava a casa, dove la madre ascoltava David Bowie.
Bowie, dice ora Rosalía, ha rappresentato un’influenza importantissima. In Bulerías menziona anche Lil Kim, Tego Calderon e M.I.A. «Nei miei artisti preferiti senti il bisogno di comunicare. C’è prima di tutto il desiderio di libertà: se anche nessuno li avesse ascoltati, avrebbero comunque avuto lo stesso impulso a creare. Per alcuni non è l’obiettivo principale, mirano piuttosto al denaro o alla fama. Ma è solo in assenza di questi fini che ci si abbandona totalmente».
Rosalía ricorda che una volta, a Barcellona, un artista le ha detto che lo studio, l’apprendimento e le influenze rischiano di inaridire la creatività. «Stronzate», dice, incredula al solo pensiero. «L’ho sentito dire che avevo 19 anni e sapevo che era una cazzata. Se vuoi dipingere, ti servono i colori, i pennelli e le tele. Più colori hai a disposizione, più accuratamente puoi esprimere ciò che desideri. La conoscenza non è mai una minaccia per la creatività: è esattamente l’opposto».
Questo modo di pensare senza confini genera domande difficili, che sembrano ancora più pesanti stando a Porto Rico, la culla del reggaeton e della salsa, due generi con radici nelle comunità afro-caraibiche. Motomami sarà pure stato acclamato universalmente, ma le incursioni di Rosalía in culture che non le appartengono hanno anche suscitato un certo risentimento. Un articolo su La Fama notava come la bachata, il genere da lei usato, sia nero e dominicano, e che non ha mai avuto il riconoscimento che merita e che la versione di Rosalía «ha sottolineato il problema del whitewashing che sta travolgendo la musica black latinx».
In Motomami Rosalía raccoglie riferimenti, come nella bibliografia di una tesi, cantandoli a squarciagola. Desidera dare il giusto peso alle persone che hanno la paternità delle musiche che l’hanno influenzata. «Spero che, con la mia musica, altri possano scoprire gli artisti fantastici che mi entusiasmano. [Manolo] Caracol è un cantante flamenco eccezionale, così come Camarón [de la Isla], ma citerei anche [il musicista di salsa] Willie Colón, oppure Omega. Trovo ispirazione in tantissimi luoghi e stili differenti. Sono contenta di poter fare i nomi di chi mi ha influenzata».
Al di là delle fonti, com’è che una donna europea e bianca ha sfornato alcune delle hit più importanti dell’anno di bachata e merengue? L’industria musicale considera con la stessa riverenza chi ha posto le basi di questo sound? Il dibattito è reso più complesso dal fatto che Rosalía lavora con implacabile precisione e rigore, ma una volta che ha terminato le proprie canzoni lascia l’interpretazione finale al pubblico.
Questo modo di pensare le ha consentito di tenere a bada le richieste dell’industria e le pressioni legate alle classifiche. A luglio, quando l’ha pubblicata, Despechá ha fatto registrare il numero più alto di stream, al debutto, di una canzone in spagnolo cantata da un’artista donna su Spotify. Non è però questo il suo obiettivo. «Non ho il controllo sulle classifiche, per cui non mi concentro su di esse. Tanti lo fanno, ma non so che dire. A me piace ascoltare musica di artisti a cui si capisce che non frega un cazzo».
Sei settimane dopo il nostro incontro a Porto Rico, rivedo Rosalía prima della sua performance per un piccolo show privato al Palladium di Times Square. Non so l’indirizzo esatto, ma capisco subito di essere nel posto giusto: davanti all’ingresso c’è una lunga fila, disposta a serpentina, di motomami e motopapi che indossano vestiti a rete, cuoio e bardature in pelle, segno di quanto profondo sia divenuto il culto di Motomami.
Dentro, Rosalía è in piedi sul palco con camicia bianca, calzoni neri e uno sguardo intenso sul viso. Mentre i tecnici del suono e delle luci le ronzano attorno, intenti a fare gli ultimi controlli, lei è concentratissima a regolare alla perfezione l’equalizzazione degli auricolari. Questo, di sicuro, è il locale più piccolo in cui si è esibita quest’’anno; probabilmente il più piccolo dai tempi dello showcase che ha tenuto prima di firmare il suo primo contratto. Adattare una produzione imponente come quella del Motomami World Tour a uno spazio otto volte più piccolo rispetto a un palasport è difficile e chiaramente la preoccupa.
«Quando faccio musica ho l’urgenza di salire sul palco, indipendentemente da quante persone ci sono. Se ci fosse anche una sola persona, mi esibirei con la stessa energia».
Dopo il soundcheck, ci incontriamo nella green room e mi aspetto che sia più rilassata. Non è così. «Faccio questi spettacoli e do tutto. Ma prima devo prepararmi, devo assicurarmi che tutto andrà per il meglio. Devo rispondere a domande e fare cose come questa», spiega, riferendosi alla nostra intervista. Il messaggio è chiaro: al momento ha ben altre priorità. In realtà non si sottrae alla conversazione, è accogliente e interessante come nel nostro incontro precedente, ma capisco che ha la testa altrove.
Rosalía investe tutta sé stessa nel suo lavoro e Motomami le è costato un grande sforzo. E ciò spiega perché, nell’istante in cui il rocker argentino Fito Páez ha proclamato Motomami disco dell’anno durante i Latin Grammy di novembre, lei è scoppiata a piangere, cosa che non era accaduta quando El Mal Querer aveva ottenuto lo stesso riconoscimento nel 2019. «Quando ho sentito Fito dire Motomami ho sentito tutto il peso di quanto mi è costato realizzare questo progetto. L’ho sentito arrivare di botto, in tutto il corpo, come se i tre anni precedenti m’avessero investita in quell’istante, facendomi alzare in piedi e facendomi scendere le lacrime».
Ha subito abbracciato Rauw, che era in piedi alla sua destra, e Pili, a sinistra. «Ho abbracciato le due persone che amo di più, perché anche loro sanno quanto ho dovuto combattere per portare a termine l’album. Iniziare a lavorare a un disco non è così difficile se hai una visione, ma finirlo è tutt’altra cosa». Il fatto che siano stati i colleghi a votare per il disco ha significato moltissimo. «Non faccio musica pensando al denaro, non la faccio pensando ai premi, ma apprezzo quando mi vengono riconosciute queste cose. Lo faccio perché so che è il motivo per cui sono qui».
Il disco, alla fine, è diventato ciò che lei aveva bisogno che fosse. «Sento che in Motomami ho fatto e detto esattamente quello che volevo, a modo mio. E da qui non si torna indietro».
Al Palladium, trova il modo di adattare lo show a un posto più piccolo, senza sacrificarne l’energia. Il pubblico la segue mentre balla, una manciata di fan si uniscono a lei sul palco, gli altri esultano da sotto. È un’altra festa selvaggia. E alla fine dello show la baldoria si trasferisce fuori dal locale, sotto una pioggia battente. La gente balla fino a tarda notte, ma Rosalía è già altrove. Sta già vivendo il futuro.
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Produzione: Clara Doria e Celeste Santo Domingo
Fashion direction: Alex Badia
Direzione della fotografia: Emma Reeves
Acconciature: Jesus Guerrero/The Wall Group
Make-up: Raisa Flowers per E.D.M.A.
Manicure: Zaira Vega
Market editor: Emily Mercer
Styling: Joaquin Diaz
Set design: Ignacio Vaello e Laura Roldán per Buendia Estudio
Lighting design: Camilo Diaz Salamanca
Assistenti alla fotografia: Ayelen Di Biasi e Juan David Garcia
Assistente al make-up: Eunice Kristen
Assistenti allo styling: Sofia Perez Millan, Camilla Tombolini, Daiana Ferreira e Maria Pia Armas Wong
Location: Bubble Studios
Retouching: Bruno Rezende
Tradotto da Rolling Stone US.