Questa sera in Qatar, durante la finale dei Mondiali di calcio, attorno al campo dello stadio Lusail e sui nostri teleschermi compariranno diverse pubblicità di marchi che in molti non avranno mai sentito nominare: Hisense, Byju’s, Mengniu, Qatarenergy. Forse persino Crypto.com, per i meno online. Società poco conosciute qui in occidente, ma indicative dei cambiamenti profondi che negli ultimi decenni hanno attraversato l’economia mondiale. Gran parte degli sponsor e dei partner di questa edizione della coppa del mondo, infatti, non provengono né dall’Europa né dagli Stati Uniti. La maggior parte di questi invece viene dall’Asia.
Nonostante la vittoria dell’Arabia Saudita sull’Argentina o l’eccellente torneo disputato dal Giappone (che ha battuto sia Germania che Spagna), nessuna delle squadre del continente è riuscita a uguagliare la prestazione del Marocco e avanzare oltre gli ottavi di finale. A dire la verità, nessuno ha neanche mai creduto che una delle nazionali asiatiche presenti a questo mondiale potesse davvero avere delle chances. In oriente il calcio non è ancora uno sport tanto diffuso come in Europa e Sud America. Come mai quindi 9 società multinazionali sulle 14 che hanno fatto da sostenitrici principali del campionato mondiale vengono proprio dall’Asia?
Money money money
Per l’organizzazione di eventi internazionali come la coppa del mondo serve ovviamente una quantità di finanziamenti non da poco. Soldi che la FIFA, l’organizzazione internazionale di riferimento per il calcio, si procura in vari modi. Sia attraverso la vendita dei diritti televisivi, che è la prima fonte di introiti, sia attraverso le sponsorizzazioni delle società multinazionali. Con centinaia di milioni di persone sintonizzate da tutto il mondo, i grandi marchi fanno a gara per assicurarsi una posizione di primo piano sui teleschermi di mezzo mondo.
Dei 14 marchi che più ricorrono a questi Mondiali, o perché sponsor dell’evento stesso o perché partner ufficiali della FIFA, 4 sono cinesi, 2 sono qatarioti e 3 vengono rispettivamente da India (Byju’s), Corea del Sud (Hyundai-Kia) e Singapore (Crypto.com). Le società cinesi oltretutto sono quelle che più hanno speso per questa edizione del torneo. Secondo alcune stime, il contributo è pari a 1,4 miliardi di dollari in totale. Il primato di primo sostenitore va poi a Wanda Group, una grossa società con estesi interessi nel campo immobiliare, finanziario e dell’intrattenimento.
Le altre tre società cinesi che stanno sponsorizzando il mondiale sono Vivo, una società di elettronica che produce smartphone; Hisense, uno dei più importanti produttori cinesi di elettrodomestici; e Mengniu, attiva nel settore alimentare e in particolare nella produzione di latticini.
A fianco a queste ci sono altre società ben più note a livello globale, come Qatar Airways, Visa, Adidas, Coca Cola e McDonald’s. Ma insomma, questi ormai sono nomi talmente noti che non ci facciamo nemmeno caso.
I dati dell’audience
Nonostante la limitata diffusione del calcio giocato in Asia, l’enorme massa di appassionati nel continente è una delle promesse per il mercato dello sport dei prossimi decenni. Ciò si traduce in sponsorizzazioni corporate di eventi sportivi sempre più ambite e, per gli organizzatori, remunerative. “I mercati televisivi asiatici sono grandi, anche se forse non ancora così lucrative su base pro capite come in altre parti del mondo” ha detto il professore di sport ed economia geopolitica Simon Chadwick, intervistato da Nikkei Asia. L’aspettativa comunque è che nel prossimo decennio “l’attrattività finanziaria di avere una forte presenza digitale nei mercati asiatici crescerà”, aggiunge Chadwick.
Alla scorsa competizione di Russia 2018, il 43% di tutta l’audience del campionato mondiale era in Asia per un totale di 1,6 miliardi di spettatori. Non solo: 3 delle 5 nazioni che più hanno seguito il campionato non avevano una propria nazionale in gioco. Cina, India e Indonesia (i tre paesi più popolosi del continente) non vantano una grande tradizione calcistica: l’India non ha mai partecipato a un mondiale e l’Indonesia ha partecipato solo nel 1938 quando era ancora una colonia dei Paesi Bassi. Per la Cina figura solo una partecipazione, quella del 2002, ma ciò non ha impedito al gigante asiatico di rappresentare da solo il 18% di tutti gli spettatori di Russia 2018. 655 milioni di cinesi, quasi la metà della popolazione di tutto il paese, ha visto il mondiale.
L’enorme platea raggiunta dal più importante evento calcistico è quindi un’occasione estremamente attraente per tutte le grandi società cinesi e asiatiche che desiderano rinforzare la propria immagine sia sul piano internazionale sia all’interno dei propri paesi, mostrandosi presenti nei grandi eventi sportivi. Le sponsorizzazioni sono in sostanza una strategia di marketing per quelle società multinazionali a cui interessa elevare il proprio profilo globale e raggiungere nuovi potenziali consumatori. Byju’s, per esempio, è un unicorno indiano di tecnologia educativa che mira a raggiungere i 10 milioni di studenti entro il 2025, mentre Wanda è un grande investitore cinese nello sport (a un certo punto possedeva il 20% dell’Atlético Madrid) che punta a consolidare la propria posizione nel settore.
Data la crescita economica dell’Asia negli ultimi decenni, non dovrebbe davvero essere una sorpresa che sempre più società multinazionali originarie di quell’area desiderino essere presenti ai grandi eventi internazionali, come i Mondiali. Tanto più dal momento che alcune di queste puntano alla leadership nel proprio settore e dopo anni di crescita possiedono anche i fondi necessari per condurre campagne d’immagine a livello globale. Anzi, secondo Chadwick, non è inconcepibile pensare che l’Asia possa un giorno sorpassare l’Europa come il più importante contribuente per il bilancio della FIFA.
Se solo la FIFA non fosse la FIFA
Certo, per dirla con un eufemismo, questo mondiale non è stato affatto esente da controversie e critiche, essere associate con le quali è quasi un anatema per le società multinazionali. Nei presi precedenti al calcio d’inizio il Qatar è finito sotto pressione sia per lo scarso rispetto dei diritti umani, sia per le condizioni d’impiego a cui sono stati sottoposti i lavoratori migranti che hanno costruito gli stadi per il mondiale.
E questo senza nemmeno considerare la problematica votazione della FIFA avvenuta nel 2010 per attribuire il mondiale al Qatar, che negli anni a più riprese è stata tacciata di corruzione. Nel 2014, quando nuove rivelazioni sul caso vennero a galla, furono diverse le società che tagliarono i propri rapporti con la FIFA. Tra queste, la giapponese Sony e Fly Emirates decisero di non rinnovare i loro accordi commerciali con l’organizzazione con sede in Svizzera.
Eppure, nonostante la pandemia e le critiche, gli organizzatori dei Mondiali sembrano essere riusciti a mantenere in carreggiata le sponsorizzazioni. Nessuna società multinazionale dei paesi occidentali ha deciso di fare un passo indietro alla vigilia dell’evento nonostante le critiche alla situazione dei diritti umani in Qatar, il ché ha alleggerito la pressione anche per quelle società asiatiche hanno sponsorizzato il mondiale. L’attenzione però deve rimanere alta sul tema dell’immagine, perché il successo globale di questi marchi dipende anche dalla sensibilità dell’audience internazionale.