Netflix
Una storia vera, contemporanea e “croccante”, quella di Anna Delvey, la truffatrice che ha fregato il gotha di New York. Shonda Rhimes, la signora della tv che le storie “croccanti” di solito sa come raccontarle. Julia Garner, una delle migliori attrici della sua generazione. Cosa poteva andare storto? Tutto, a quanto pare. A partire dal fatto che la serie, lunghissima, trascinatissima, pasticciatissima, non sa cosa dire del personaggio del titolo o come dirlo. Di solito Shonda padroneggia bene l’architettura narrativa, ma qui scivola proprio sui fondamentali. E – inevitabilmente – anche la performance di Garner, senza il sostegno di una scrittura e di una regia all’altezza, ne risente parecchio. Senza parlare dell’accento super weird. Occasione mancata.
Paramount +
Voleva essere una versione americana di The Crown, è diventata una serie-esca per tirare la volata agli Emmy alle sue star. Perché ovviamente Gillian Anderson, Michelle Pfeiffer e Viola Davis, rispettivamente nei panni di Eleanor Roosevelt, Betty Ford e Michelle Obama (e cioè tre delle first lady più famose della storia americana), sono formidabili, che gli vuoi dire. È tutto il resto che non funziona: a partire dall’idea di mescolare episodi ed eventi in un pastiche cronologico che confonde peggio di Tenet. I momenti raccontati sono quelli che già conosciamo e tutto resta tristemente in superficie. Quanto talento (e quanta Storia) sprecato.
Apple TV+
Se WeCrashed fosse stata un film di 100 minuti avrebbe anche potuto funzionare. Jared Leto e Anne Hathaway sono convincenti e divertenti per come ritraggono Adam e Rebekah Neumann, la delirante coppia fondatrice della start-up, entrambi ciecamente convinti di dover salvare il mondo e di far capire a tutti gli altri perché dovevano (forse convincono un po’ meno nei panni di un uomo israeliano e di una donna ebrea americana). Il problema è che recitano in una serie di otto ore, che ricicla le stesse dinamiche più e più volte, non riuscendo a giustificare quel tempo superfluo. Per capirci: ci vogliono sette episodi, SETTE, per arrivare al famigerato “crash”. Diciamo basta alle serie che potrebbero essere film.
Netflix
L’opening è avvincente, ma poi si rivela sproporzionatamente dark rispetto allo srotolarsi di una trama quasi ottimista, impegnata a evitare il dramma straziante di ragazza che scopre che la madre è una persona completamente diversa. Lo spunto è lo stesso di A History of Violence di David Cronenberg (lì quello dal terribile passato nascosto era Viggo Mortensen), e allora tanto vale rivedersi quello. Qui, nonostante un po’ di colpi di scena, la storia si allunga per ben otto ore senza averne davvero motivo. Salviamo Toni Collette, ma lei merita di meglio di un thiller madre-figlia poco riuscito.
Netflix
“Orchestrated reality show“. Così Meghan definisce l’intervista con cui lei e Harry annunciavano il loro fidanzamento ufficiale alla stampa britannica. Come se la docuserie by lei & H. (sì, lo chiama così) per Netflix non fosse esattamente la stessa cosa. Avevano promesso fuochi d’artificio, in realtà non ci hanno dato manco le stelline che si accendono a Capodanno. Insomma, la serie è un po’ il ricicciamento per immagini di quello che avevano già detto a Oprah. Una mossa che conferma il talento dei Sussex nel portarci dentro il loro storytelling fatto di vittimismo e attivismo da Instagram. Con una grande comicità involontaria, ma anche col pieno senso del tempo che stiamo vivendo. Intanto i milioni dell’accordo con Netflix continuano ad arrivare.
Prime Video
Jeff Bezos voleva il suo Game of Thrones, e così si è comprato i diritti della madre di tutte le saghe fantasy by Tolkien. Peccato che i suoi non sapessero bene cosa farsene di tutto quel ben di Dio. Succede quando lasci una responsabilità del genere in mano a due (J.D. Payne e Patrick McKaydue) il cui unico lavoro precedente era una prima bozza non accreditata di Star Trek: Beyond. Il budget era monstre e si vede: si gioca per lo spettacolo ma, sotto alle scenografie pazzesche e alla computer graphic clamorosa, non c’è niente. Perché anziché scommettere sulla vivacità sincera dei meravigliosi pelopiedi o dei mitici nani, gli showrunner fanno ruotare la stagione intorno a un mistero noisetto, ovvero quale personaggio si sarebbe rivelato essere Sauron. A fare i fenomeni con un miliardo di dollari son capaci tutti, ma l’abilità di capire come si raccontano le storie invece da tutti non è.
Netflix
Già l’idea di produrre una sitcom su Blockbuster nell’era dello streaming gridava vendetta, però un po’ di fiducia a Vanessa Ramos (tra gli sceneggiatori di Brooklyn Nine-Nine e Superstore) eravamo pure disposti a darla. È finita maluccio: la coppia di attori protagonisti, Randall Park e Melissa Fumero, non funziona, i supporting nemmeno, la serie non trova un suo ritmo comico, le scene e le battute sono trascinate, i riferimenti alla pop culture sembrano datati pure per i boomer. E non c’è manco un po’ di ironia cinefila. Cancellata dopo la prima stagione, siamo certi che non mancherà a nessuno.
Prime Video
Il revenge thriller militare starring Chris Pratt nei panni di un ufficiale dei Navy SEAL che scopre una cospirazione mortale del governo probabilmente non è peggiore di altri action brutti che i servizi di streaming continuano a produrre: la storia è un grande chissenefrega e i dialoghi sono genericissimi. Ma la cosa peggiore è che Terminal List non solo è un po’ inutile, ma è pure dannoso per Pratt e per l’altrettanto figo Taylor Kitsch. Che peccato sprecare un cast così. E pensare che Chris è pure produttore esecutivo. Epic fail.
Sky
Steven Moffat (quello di Doctor Who e Sherlock) sembrava la persona giusta per l’adattamento seriale del romanzo di Audrey Niffenegger, già portato al cinema con Eric Bana e Rachel McAdams in un film abbastanza massacrato dalla critica. Ma almeno lì c’erano un’anima poetica nei dialoghi, una bella fotografia e una certa chimica tra i due protagonisti. Non si può dire lo stesso di Theo James e Rose Leslie, che non hanno abbastanza abilità per interpretare i personaggi in diverse età della vita. Il resto lo fa lo storytelling pessimo by Moffat, che distrugge questa meditazione sull’amore, sul tempo e sulla perdita, penalizzata anche da un’estetica parecchio cheap. Tanto che si stenta a credere che sia targata HBO.
Disney+
Dopo il finale decisamente meh della serie-madre (pardon), i timori erano diversi. Ma mai ci saremmo aspettati che il problema dello spin-off potesse essere uno e soltanto uno: e cioè che How I Met Your Father non fa ridere. Zero. Zilch. Nada. Nonostante gli sforzi di Hilary Duff nei panni della protagonista e il ritorno in tv di Kim Cattrall, che interpreta la sua versione nel futuro, intenta a raccontare alla prole “come ho conosciuto vostro padre”. Il ribaltamento di genere rispetto all’originale sarà anche più inclusivo, peccato che la nuova sitcom fallisca proprio nel suo core business.