Con Babylon Damien Chazelle voleva guardare al microscopio gli albori di una forma d’arte e di un’industria, quando entrambe stavano ancora cercando una propria via comune: «Mi piaceva l’idea di osservare una società in completa evoluzione». Negli anni ’20, Hollywood ha subìto una serie di cambiamenti rapidi e a volte apparentemente catastrofici a cui alcune persone sono sopravvissute, ma molte no. Guardare cosa hanno passato queste persone ti dà un’idea del costo umano che accompagnava il tipo di ambizione che ha attratto così tante persone a Los Angeles in quel momento. È andato oltre l’arrivo del suono sincronizzato per includere una serie di nuovi codici morali – culminati infine nel codice di produzione degli anni ’30 – e la riorganizzazione di una comunità più libera e non regolamentata nel settore aziendale globale che conosciamo oggi.
Attraverso un racconto antologico che prende in esame la visione di più anime che componevano la selvaggia Hollywood degli anni ’20, dai giovani e ambiziosi Manny Torres (Diego Calva) e Nellie LaRoy (Margot Robbie), che vogliono trovare la loro nuova vita attraverso il cinema, da Jake Conrad (Brad Pitt), star del cinema muto, fino al trombettista Sidney Palmer (Jovan Adepo), archetipo perfetto del futuro che spettava ai jazzisti afroamericani prima impiegati nell’ensemble per il cinema muto, come lo stesso Louis Armstrong, e successivamente sfruttati come nuovi protagonisti del cinema sonoro, Babylon rappresenta una vera e propria opera ed epopea sonora dove la musica per il cinema stava trovando per la prima volta la sua strada, sia attraverso la codifica dal foglio musicale (una lista di brani studiati appositamente per aiutare gli accompagnatori nella creazione di uno spazio sonoro che fosse appropriato al contesto narrato) ma che viveva la sua esperienza più selvaggia tra piccole ensemble di jazzisti e grandi orchestre che registravano direttamente in scena.
Abbiamo avuto il piacere di parlarne con il premio Oscar Justin Hurwitz, fresco vincitore del Golden Globe per la colonna sonora originale di Babylon e già compositore di Whiplash, La La Land (Oscar per la colonna sonora e la canzone originale, City of Stars) e The First Man – Il primo uomo (Golden Globe alla colonna sonora), tutti di Chazelle.
In Babylon si assiste a una delle più grandi rivoluzioni della storia del cinema, il passaggio dal muto al sonoro. Per comporre una colonna sonora di 48 sezioni è stata per te fonte d’ispirazione la metodologia di lavoro dei compositori di quegli anni, che dovevano sonorizzare tutto quello che accadeva in scena?
Che tu ci creda o no (ride), c’è molta più musica nel film rispetto alla partitura finale. Penso che la fonte d’ispirazione principale per la composizione della musica originale di Babylon sia stata quella di non basarci prettamente sulla musica che veniva ideata in quegli anni. Volevamo sfruttare la composizione e strumentazione delle jazz band degli anni ’20, dove si trovavano molto spesso piccole sezioni di ottoni, pianoforte, batteria, basso e banjo, ma con un’attitudine e un suono più legato all’immaginario rock’n’roll. Una jazz band capace di riprodurre quasi dei riff di una chitarra elettrica. Allo stesso tempo, abbiamo pensato a come potesse suonare la stessa jazz band degli anni ’20, destrutturandosi dalla sua identità originaria, se le intenzioni fossero state più ricollocabili alle sonorità della dance moderna o alla house music e EDM, soprattutto nell’enfatizzare attraverso i riser e i drop i momenti di attesa di una determinata sequenza, contrapponendosi ad alcune scene dove hai solamente voglia di ballare. Quindi l’idea finale è stata: cosa succederebbe se ci fosse una commistione di sonorità così differenti nella stessa sequenza?
In un’intervista al New York Times, Damien Chazelle ha infatti dichiarato che Babylon mira ad essere ancora più stravagante nel raccontare la natura mitica del luogo in cui vengono realizzati e infranti i sogni hollywoodiani, catturando lo spirito rock ‘n’roll di quel tempo in un modo che non era mai stato rappresentato prima. Per quanto riguarda l’aspetto musicale, hai utilizzato le stesse tecniche di registrazione e orchestrazione corrispondenti all’epoca?
Più che dalle tecniche compositive di quell’epoca mi sono fatto ispirare proprio dalle suggestioni e dalle emozioni di quel turbinio di elementi che hai appena citato. Per tutto il film sembra che tutti siano sul lastrico, si drogano tutti (ride), e molto tragedie colpiscono i personaggi in scena. Stanno tutti barcollando lungo una pista che prima o poi esploderà, e così doveva essere la musica: altrettanto selvaggia, indisciplinata, sfrenata, come se tutti stessero per perdere il controllo e, conseguentemente, la propria identità. Così, quando si è trattato di scegliere i musicisti per la composizione della musica originale, parte fondamentale in questo processo, ho cercato in lungo e in largo quelli che potevano essere i trombettisti giusti alla nostra visione musicale e cinematografica. Continuavo a portare trombettisti provenienti da tutto il mondo per cercare di trovare il suono di Sidney e per altre parti della partitura, coinvolgendo molti sassofonisti, finché non abbiamo trovato le persone giuste e i suoni giusti. Volevamo delle sonorità che potessero interpretare l’euforia, il senso selvaggio di quell’epoca di Hollywood. È una musica molto più selvaggia e aggressiva. Una cosa da tenere a mente è che la musica che è stata registrata e sopravvissuta dagli anni ’20 è solo un piccolo frammento della musica che veniva effettivamente suonata a Los Angeles in quel momento. C’era musica underground che non è mai stata registrata. Volevamo immaginare la profondità, la varietà e la gamma di suoni che avrebbero potuto esserci. Musica che pensavamo non fosse mai stata rappresentata in un film prima d’ora. Un suono che non sarebbe quello a cui pensiamo riferendoci agli anni ’20 e più in generale a quelle che erano le tecniche compositive della musica per il cinema a quel tempo, ma che rappresenta il tono specifico di Babylon, questo mondo creato da Damien che ha un universo musicale a sé stante.
Con Babylon sembra tu abbia voluto concludere una sorta di trilogia del jazz. In Whiplash hai esplorato il panorama contemporaneo attraverso le ambizioni di Andrew Neiman, in La La Land il costante equilibrio tra vita e arte, in Babylon sei partito dalle radici dei primi ensemble, molto spesso prestati anche al cinema muto, in cui conviveva una gamma molto più ampia di suoni, culture e stili musicali. Quanta connessione musicale c’è tra questi film?
È divertente perché Babylon potrebbe quasi rappresentare la prima parte di questa trilogia, ma è allo stesso tempo il nostro lavoro musicalmente più contemporaneo. C’è sicuramente un legame tra questi tre film, ci sono molti indizi che li ricollegano tra loro come hai notato giustamente tu, soprattutto per i generi differenti di musica che ritroviamo in Babylon. Ci sono dettagli che spero non assomiglino a nulla di quello che ho composto precedentemente, e poi ci sono alcuni spunti che possono suonare allo stesso modo, soprattutto quando si stratta di enfatizzare determinate tematiche agrodolci che già avevamo esplorato con La La Land. Ci sono certe sequenze in questo film che hanno richiesto un tipo di malinconia simile, in cui sono tornato a una grammatica musicale che avevo utilizzato in passato, a seconda di quale fosse lo spunto su cui si basava la scena. Ma il lavoro che ho realizzato per Babylon lo ritengo molto più eccentrico rispetto ai precedenti. In questo film c’è musica di matrice circense e carnevalesca, l’orchestra è stata composta da molti elementi fuori dall’ordinario musicale che avevo sin qui esplorato come l’erhu (strumento musicale a corda di origine cinese, nda), percussioni provenienti da più parti del mondo come Africa, Asia e America Latina, e infine strumenti che potessero racchiudere l’emblema delle feste hollywoodiane come il kazoo, fischietti, trombette e clacson. In un certo senso, è tutto molto eclettico ed eccentrico. Spero appartenga solo a questo film e a nient’altro.
In un’intervista a Rolling Stone Italia del 2019, hai dichiarato che uno dei tuoi compositori preferiti è sempre stato Nino Rota. Considerando le assonanze tra La dolce vita, che fu cornice della Hollywood sul Tevere, e Babylon nel raccontare l’epopea e gli eccessi del cinema primitivo hollywoodiano, pensi che nel processo di lavorazione ci siano affinità tra la tua composizione e quella di Nino Rota?
Assolutamente. La dolce vita è stato una grande fonte di ispirazione per questo film, e penso che Damien lo citi sempre come un faro per il film nel suo complesso. Per quanto riguarda la musica, una cosa che amiamo principalmente della Dolce vita è il modo in cui le stesse melodie continuano a ritornare all’interno della narrazione, utilizzate in modi differenti e per qualsiasi fine la scena richieda, qualunque sia il mood che si vuole rappresentare. È una cosa che amiamo fare anche noi con la musica, attraverso la manipolazione di alcuni brani o temi riportandoli più e più volte, tanto da diventare così mascherati che il pubblico molto spesso non si accorge che si tratta della stessa melodia. È una cosa che Nino Rota esegue perfettamente nella partitura della Dolce vita. Per me, soprattutto in questo film, è stato fondamentale anche il suo lavoro per 8½, nell’utilizzo e nella scrittura melodica della tuba o per la musica circense. Rota è stato una grande fonte d’ispirazione in tutta la mia vita da compositore.
Attraverso un lavoro così caratterizzante di ogni singolo personaggio e ambientazione, pensi di aver riportato la musica per il cinema al centro della narrazione sia in questo film che nei precedenti realizzati con Damien Chazelle?
Quando hai un soggetto come Sidney, che è un musicista, la musica diventa una parte fondamentale della storia ed è letteralmente legata al quel personaggio, ma questa operazione cerchiamo di farla anche per tutti gli altri aspetti che compongono una colonna sonora originale. Fare in modo che i temi appartengano e si colleghino con i personaggi e con le suggestioni date dalla narrazione del film. Ad esempio, in Babylon nel tema di Manny e Nellie coesistono tre pianoforti: un bellissimo pianoforte dà un suono delicato e dolce, connesso ad altri due dove la musicalità è fortemente stonata, quasi da sembrare riprodotta da un pianoforte rotto. Questa mescolanza di più sonorità così in contrasto tra loro vuole mettere in risalto la fragilità della loro relazione, diventando una specie di filo conduttore per lo stesso film. Ci sono altri indizi in questo senso, che dimostrano come la musica segua di pari passo lo storyboard ideato da Damien. Contemporaneamente, stavamo realizzando sia la musica che il film. Quindi molto spesso un’idea tematica nasce per congiungersi con la sceneggiatura, sono pensate ed immaginate per andare insieme. C’era questo scambio continuo nel modo in cui venivano costruite le sequenze, questa simbiosi tra musica e immagine fin dall’inizio. Per questo motivo adoro lavorare con Damian, perché pensa alla musica in modo che possa svolgere un ruolo fondamentale nei suoi film. Così come accade in Babylon, motivo per cui è stato così gratificante creare la musica per un film come questo.