«Appena finisce Sanremo devo tornare a casa e fare una torta per il primo compleanno di mia figlia». Inaugura così la nostra conversazione Levante. Per la cantautrice siciliana, l’ultimo anno è stato parecchio intenso. Da un lato la nascita di Alma Futura, la sua primogenita, dall’altro il lavoro attorno al suo nuovo disco, Opera Futura. E poi, giusto per aggiungere un po’ di ansia alle sue giornate, il ritorno al Festival di Sanremo, dove Levante ci era stata per la prima volta nel 2020 con Tikibombom.
«Sono stati dieci anni un po’ intensi, forse mi manca solo fare un film», scherza. L’umore è buono, ma forse è solo la calma prima della tempesta. O la pazienza di una giovane donna diventata madre. Vivo, il brano che porterà a Sanremo, è una canzone musicalmente coinvolgente con un tema importante: la depressione post-parto. Non un argomento semplice da portare sul palco più importante d’Italia. Ma di certo, quello che non è mai mancato a Levante è il coraggio. E Vivo ce lo vuole ricordare.
Vivo è un brano particolare per Sanremo, con un tema forte, la depressione post-parto.
L’ho scritta al pianoforte il 4 marzo dello scorso anno, a tre settimane dal parto. Era un momento difficile. In quanto madre ti è detto che non devi che gioire di quello che ti è accaduto, ma in verità c’è tanta solitudine e tanto buio dopo il parto. Quel giorno ho scritto la melodia di Vivo, quasi fosse una preghiera: “Vivo come viene / vivo il male vivo il bene / vivo come piace a me”. Un augurio di tornare a vivere.
Cosa significa questo brano per te? Cosa vorresti che arrivasse?
Quello che vorrei far passare è l’intensità del tema. Come tantissimi dei miei brani, non è immediato. Anche se oggi è difficile, vorrei che la gente potesse fermarsi ad ascoltarlo. È un testo che ha bisogno di tempo, di qualche ascolto. Ma non mi interessa mettere una bandiera da nessuna parte. Qualcuno ha detto che questo brano è un manifesto femminista, ma non lo è, io ho raccontato la mia esperienza perché la musica per me è salvifica, uno sfogo. È stato un momento rivoluzionario per me, mi ha cambiata. Diamo per scontato tante cose, ma le madri fanno grandi sacrifici. Nonostante il dolore, essere madre, essere donna, è una grande fortuna. Il parto è un’esperienza che ti avvicina a Dio – che ci credi o no – a qualcosa di celeste, di altissimo, che raggiungi solamente attraverso quest’esperienza.
Musicalmente però il brano è molto up, ha un gran tiro e non suona assolutamente triste.
Vivo, a una prima impressione, non sembra un brano sulla depressione. “Vivo un sogno erotico, la gioia del mio corpo è un atto magico”: c’è tantissimo desiderio di tornare a certe sensazioni. Ora, a un anno da quel momento, posso dire di essermi ripresa. In realtà il brano non nasce con questo arrangiamento. È stato vestito in maniera più aggressiva anche perché se no ci saremmo tutti tagliati le vene, a seguire musicalmente il testo sarebbe stato un errore.
La maternità ha cambiato il tuo modo di scrivere canzoni?
Non ha cambiato il mio modo di scrivere in sé, ma lo sguardo verso ciò che è attorno a me. Fa strano dirlo, ma sono diventata più saggia. Anche meno arrabbiata. Sto imparando l’umiltà. Alma, mia figlia, mi ha insegnato ad essere un canale, un canale di vita, di musica. Ciò che faccio lo devo fare in maniera altruista. Non voglio più tener le cose per me, sottolineare niente, autodeterminare niente. Io sono già autodeterminata. Ora ho una visione serena, ho perso la rabbia che avevo all’inizio. Pensavo che la rabbia fosse il motore, ma il risultato di ciò che arriva con la rabbia è sempre un po’ diverso. Aver un esserino a cui devi insegnare il tutto ti pone in una posizione di saggezza, ne sei obbligata. Devi diventare un essere umano migliore.
Dici che il brano ha bisogno di qualche ascolto: non pensi che ci sia il rischio che nella voracità e velocità di Sanremo non venga capito?
Volevo tornare a Sanremo con un brano meno muscolare, più romantico e meno criptico, ma Amadeus era innamorato di Vivo. E mi sono fidata. In fondo entrambi i brani erano scritti da me, quindi sono molto serena.
Come dicevi prima, qualcuno ha parlato di manifesto femminista, altri di canzone sull’amore, tutte cose molto distanti dal vero significato del brano. Non hai nemmeno paura di essere fraintesa?
No, è dieci anni che la gente mi fraintende! Anche allo scorso Sanremo, quando era stata annunciata Tikibombom, la gente si è messa subito a dire “Oddio, questa si è messa a fare raggaeton”, quando invece era un pezzo su quattro storie di differenti personaggi, dei reietti. Anche quel brano ci ha messo un po’ ad arrivare, dodicesimo posto a Sanremo, ma primo in radio per cinque settimane. Il messaggio poi arriva, ma c’è bisogno di tempo. Sono affezionata a questo ruolo, quella che arriva dopo.
Cosa ti ha lasciato quella prima partecipazione a Sanremo? Ti ha insegnato qualcosa che potrebbe tornarti utile quest’anno?
Mi ha insegnato a non avere aspettative. Quando ho fatto Sanremo nel 2020 mi son detta “Tikibombom spaccherà”, pensavo potesse arrivare sul podio. E sono rimasta un po’ delusa. Stavolta invece vengo con il massimo della serenità: porto a Sanremo tutta la famiglia.
Quando hai saputo di essere dentro?
Durante l’annuncio di Amadeus al Tg1. Avevo una discreta ansia, non sapevo nulla.
E ora che sei dentro hai l’ansia della macchina che riparte?
L’ansia non è motore di nulla, meglio mandarla a fanculo. Ora sono focalizzata sulla mia performance vocale: mi presento all’esame, ho studiato, come andrà andrà. Voglio solo emozionarmi e divertirmi.
Come vivi la competizione?
Quando sei sopra a quel palco, davanti a tutta quella gente lì, hai già vinto. Che poi si dimenticheranno o meno del tuo brano non è importante, l’importante è aver fatto quella performance. Ci sono un sacco di brani che non vincono e che comunque spaccano. Tu vai a presentare il tuo progetto a un pubblico che normalmente non potresti raggiungere.
Negli ultimi anni Sanremo è cambiato molto, aprendosi a nuovi suoni e nuovi volti.
Il vero cambiamento è arrivato con la vittoria di Mahmood. Lì è successo qualcosa, Sanremo ha dimostrato che poteva esserci (e vincere) anche una musica diversa. Poi l’anno dopo sono arrivata io, ma anche altri artisti come Bugo e Morgan, musica indipendente con un percorso diverso da quello dei soliti cantanti sanremesi. Questo cambiamento è avvenuto con Amadeus e bisogna dargli merito. È riuscito a rappresentare la musica italiana nella sua totalità. Far entrare certi artisti, ai tempi, sembrava un azzardo, ma ha avuto ragione.
Il tuo prossimo disco, Opera Futura, esce il 17 febbraio, appena dopo Sanremo.
Ho iniziato a scriverlo nel lockdown del 2020, che ho trascorso a Torino per tutti i 60 giorni da sola. Poi ho preso una pausa per scrivere il mio terzo romanzo e ho ripreso il disco dopo l’estate. All’inizio doveva chiamarsi semplicemente Opera, ma poi me ne sono stancata, anche a causa di un blocco della scrittrice, e mi sono persa. Così ho iniziato a vivere giorno per giorno quel che mi arrivava, come mia figlia, e Opera è diventata Opera Futura, prendendo anche il secondo nome di Alma.
I tuoi dischi hanno sempre un tema portante, qual è quello di Opera Futura?
Dentro c’è una grande speranza. Io, che ho perso mio padre da piccola, mi ci son sempre trovata bene nel passato, nella nostalgia. Ne ho un grande legame. Ma questo disco guarda al futuro. Per la copertina ho scelto il verde, verde speranza. E facendo ricerca ho trovato una frase di Emily Dickinson, “la speranza è quella cosa piumata”, che ho ripreso inserendo nell’artwork un cigno, animale che sta per terra, nell’acqua e che vola. Un simbolo di leggerezza e bellezza. Di speranza. Da madre devo sperare che il futuro sia bello e positivo per mia figlia. Mi sembrava la giusta chiusura del cerchio.