John Morrison aveva 10 anni quand’ha cominciato a creare dei beat con la Casio RZ-1, la drum machine usata anche da Prince Paul in 3 Feet High and Rising dei De La Soul. Tre anni dopo, nel 1993, ha ascoltato un disco che ha cambiato per sempre il suo modo di concepire la musica: l’album d’esordio dei Digable Planets Reachin’ (A New Refutation of Time and Space).
«È stato un momento magico», dice il beatmaker/scrittore/dj che tra le altre cose s’è occupato della biografia che ancora adesso è online nel sito della band. «La storia della musica black interagiva col jazz grazie ai campionamenti e i rapper che lo citavano. Hanno preso tutti questi riferimenti dalla musica dei genitori e dei nostri nonni e ce li hanno riproposti».
I Digable Planets non hanno influenzato solo i beatmaker d’inizio anni ’90, sono arrivati anche quelli che avevano iniziato prima di loro. DJ Premier, uno dei loro predecessori, ricorda la prima volta in cui ha ascoltato Rebirth of Slick (Cool Like Dat), il singolo di traino di Reachin’. «Hanno subito attirato la mia attenzione», racconta, «campionare jazz era una cosa nuova. Quella canzone m’ha fatto immediatamente entrare in connessione col movimento di cui facevano parte. Sono stati importanti nella storia dell’hip hop».
Dart Adams (giornalista, storico e autore) aveva 17 anni quando ha ascoltato Rebirth of Slick. Trent’anni dopo è ancora affezionatissimo all’album e alle note contenute nell’audiocassetta. «Non avete idea di cosa abbiano significato per me quella cassetta e quelle scritte piccolissime. Ho cercato per anni il film che teoricamente aveva Pacifics nella colonna sonora».
Dart Adams ricorda il giorno del 1994 in cui i Digable Planets hanno vinto un Grammy per Cool Like Dat: si sono portati a casa il premio per la migliore performance rap in duo o gruppo, ma sono arrivati dietro a Toni Braxton nella categoria migliore nuovo artista. «La gente, nel mainstream, era innamorata dei Digable Planets, ma non li capiva del tutto», dice Adams. «Poi c’era chi li comprendeva, ma pensava: preferirei che non avessero così tanto appeal commerciale».
Nel discorso fatto ritirando il Grammy, Butler ha detto: «In rappresentanza della mia crew, accetto questo premio in nome dell’hip hop e della cultura black in generale. Vogliamo che tutti pensino ai senzatetto che sono qua fuori, mentre noi stiamo seduti su poltroncine da 900 dollari. Loro sono fuori e nemmeno hanno da mangiare».
«Li abbiamo rispettati per averlo detto», ricorda Dart. «Abbiamo detto: yo, grande, sono come pensavamo. E pure: non sono come pensano quegli altri».
Quando, nel 1993, la critica lodava i Digable Planets per avere rivoluzionato il rap, solitamente ne citava i saldi valori morali o i campionamenti jazz particolari (le note di copertina di Reachin’ citano Art Blakey and the Jazz Messengers, Dave Hubbard, Eddie Harris fra gli artisti campionati da Butler e i suoi co-produttori Mike “Launching an Attack” Magini e Shane “The Doctor” Faber). Ma il gruppo ci tiene a sottolineare di non essere stato il primo a fare una cosa del genere. «Eravamo attivi in un momento in cui era in corso una rivoluzione musicale che arrivava dal rap», continua Butler. «Tutto stava nel lasciarsi ispirare, influenzare e partecipare».
Il rapper di Baton Rouge Wakai, ventiduenne noto per la sua cadenza morbida e il mix di beat di generi diversi, dice che se non fosse per i Digable Planets lui non sarebbe qui. «Hanno cambiato totalmente la mia prospettiva», dice entusiasta. «Ognuno aveva il proprio ruolo, ma erano una cosa sola. E la loro miscela di jazz e hip hop era meravigliosa. Ricordo ancora benissimo mio papà che ascoltava la loro musica e diceva: questo beat è pazzesco!».
Un anno dopo Reachin’, i Digable Planets hanno pubblicato il secondo disco, un album più politicizzato intitolato Blowout Comb. Nonostante un minore sostegno da parte dell’etichetta, il disco è diventato uno dei preferiti dei fan. Tutti e tre i membri continuano a fare musica per proprio conto e Butler ha anche fondato un altro gruppo hip hop di successo, gli Shabazz Palaces. Hanno continuato a riunirsi come Digable Planets, perché la loro musica è sempre attualissima.
«È come se la musica e il gruppo esistessero indipendentemente da noi», spiega Butler. «Chi avrebbe mai potuto immaginare che, a 30 anni di distanza, avrei fatto ancora dei concerti coi Digable Planets senza dovere per forza pubblicare musica nuova? È una bella fortuna. Non c’entra nemmeno se mi va o meno. È proprio che posso farlo, capisci quel che voglio dire? È una gran fortuna».
Da Rolling Stone US.