Eccoci, ci siamo, manca pochissimo al Super Bowl LVII, la partita dell’anno, la sfida fra Kansas City Chiefs (vincitori) & Philadelphia Eagles (vinti) che si terrà a Glendale, Arizona, guardata da quasi 180 milioni di spettatori solo in America (il numero sale a 500 milioni a livello globale). È già un record se consideriamo che è la prima volta che the big game sarà capitanato da due quarterback neri: Jalen Hurts per i Philadelphia Eagles e Patrick Mahomes per i Kansas City Chiefs. Per chi tifo? Io sono un RAIDER al 100%, silver&black blood scorre nelle mie vene, ma – dovessi scegliere – punto su Mahomes e i Chiefs. Altri numeri: questa partita genererà un incasso di circa 15 miliardi di dollari, divisi tra introiti tv internazionali, biglietti, merchandising, food & gadgets, senza aggiungere quasi un altro miliardo di dollari per i soli commercial, che, per la maggior parte degli spettatori, sono l’evento più atteso delle oltre quattro ore di trasmissione. Altro record storico: quest’anno uno spot da 30 secondi costa sette milioni di dollari.
In attesa del partitone, siamo andati ad intervistare the King of Super Bowl Commercials, quel Bryan Buckley che nel proprio ambito lavorativo è considerato da G.O.A.T., soprattutto per via di alcune delle sue indimenticabili creature: vedi l’ultimo spot per la BMW con Schwarzenegger e Salma Hayek nei panni di Zeus ed Era; quello di Darth Vader ragazzino; la scimmia in garage per E-Trade; la ragazza di GoDaddy; il cavallo & cane di BudLight; i bambini di Monster.com; Ashton Kutcher e Mila Kunis per Cheetos…
Lo troviamo a una consolle di montaggio: capelli lunghi, baseball cap indossato al contrario, plaid shirt californiana, Cheetos (appunto) e Coca-Cola in mano, il ritratto di quella generazione cresciuta tra videogame e Mac (e ricordiamo il mitico commercial Apple per il primo Macintosh diretto dal genio di Ridley Scott). A Bryan abbiamo chiesto l’ABC: come vengono ideati e prodotti gli spot per il Super Bowl, cosa funziona e cosa no.
Bryan, presentati, a te la parola.
Sono Bryan Buckley, ho quasi cinquant’anni, vivo a Los Angeles. Sono un regista pubblicitario, scrittore e creatore di contenuti; ho vinto una cinquantina di Lions (i Grand Prix del festival internazionale della pubblicità, nda) a Cannes, altrettanti Clio (riconoscimento che celebra l’eccellenza creativa in advertising, design e comunicazione, nda)… ma chi li conta più. Negli ultimi 25 anni ho diretto 69 commercial solo per i vari Super Bowl, 71 se contiamo i due per la partita di quest’anno. Alcuni sono stampati nella memoria di milioni di persone.
Quali sono i criteri di successo per un buon commercial?
Buono non basta, dev’essere il migliore, the absolute fucking best. La creatività la fa da padrona, e per questo i pubblicitari sono disposti a spendere, si allontanano da tutto ciò che hanno fatto fino a quel momento e vogliono rischiare il tutto per tutto per generare l’attenzione dei media e l’amore del pubblico per il loro marchio. Hanno quell’unico momento, sette milioni di dollari per 30 secondi. È la competizione più grande che ci sia, se sei una persona competitiva, come lo sono io, la differenza è che tutto passa in secondo piano. Quegli spot, a seconda della riuscita o meno, possono decretare il successo o il fallimento di un’azienda, si danno battaglia senza alcuna esclusione di colpi solo per essere i più twittati o menzionati nelle chiacchiere del giorno dopo around the water cooler (il punto dell’ufficio in cui si rompono le palle gli impiegati all’ora di pranzo, nda).
Priorità?
Numero 1: il casting, è la cosa più importante in uno spot numero uno del Super Bowl, tipo quello di Snickers con Betty White è un ottimo esempio di casting incredibile. Numero 2: capire qual è il pubblico di riferimento è altrettanto fondamentale – vedi i miei esempi per prodotti come BMW, BudLight, GoDaddy, E-Trade – e presentare un quadro “americano medio” sentimentale, pittoresco, a volte disneyano, che sottolinei i nostri sentimenti come Paese (Storia, onestà, amicizia, pazienza, grandezza). Il tutto per costruire la relazione del brand con il cliente. Numero 3: capire il clima sociale e politico di quel momento per uno spot del Super Bowl è molto, molto importante. Ancora di più adesso, negli ultimi tre o quattro anni, dove non è più possibile proporre un cast di soli bianchi, di soli uomini, dove diversità e inclusività sono finalmente diventate importantissime, fattori che rispecchiano la quotidianità degli americani. Infine la struttura della storia è assolutamente fondamentale, se si vuole realizzare uno spot vincente per il Super Bowl. E per spiegarlo faccio l’esempio del commercial della Volkswagen con Darth Vader bambino e i poteri dell’Impero di Guerre stellari. La storia deve avere la classica struttura hollywoodiana di un film. Devi catturare i telespettatori, che nel frattempo stanno bevendo, chiacchierando, andando al cesso… tu li devi inchiodare allo schermo nei primi cinque secondi. Poi, una volta catturati, c’è la parte centrale, che è quando inizi a costruire il prodotto. Gli ultimi 10 secondi sono quelli che ti ammazzano. Volkswagen ha fatto centro. Zero dialogo, visibile e comprensibile in centinaia di lingue, visivamente semplice ma che permette al pubblico di partecipare e interagire.
Come si comincia a costruire uno spot vincente?
Prima di tutto rifiutando a priori le proposte scarse, quelle che hanno zero possibilità di successo. Non scelgo mai storie in cui non mi identifico, meglio evitare quelli considerati stinker (che puzzano, nda). Scelgo solo quelli che secondo me hanno la possibilità di vincere, quelli che, con un mio tocco, spaccano schermo e cuori degli spettatori. Tutte scelte studiate minuziosamente a tavolino.
Cosa funziona e cosa invece no?
Ricordando il mio primo commercial per Monster.com, consiglio assolutamente di ingaggiare bambini, ragazzini, kids in generale. La gente è aperta ai bambini, grazie a Dio. E si possono pensare molti colpi di scena che spingono a guardare quella pubblicità. Kids are good.
Animali: sì o no?
Gli animali, in generale, funzionano, suscitano emozioni piacevoli a livello cerebrale. Ovvio, devi evitare di maltrattarli ma mi sembra il minimo… Cani, cavalli, volpi, uccelli: ci sono un sacco di animaletti carini che ti possono dare un punteggio più facile dei bambini.
Cose da evitare?
L’umorismo, quello da toilette o quello sboccato da chiacchiere fra soli uomini. Meglio evitare un’idea che possa qualificare il tuo prodotto come… a shitty brand (un prodotto del cazzo, nda).
Sentiamo spesso che il sesso in tv non vende. Sei d’accordo?
È un rischio, è complicato, prima avevi meno paletti, ora è più difficile che mai. Non credo sia particolarmente efficace, ma può creare un marchio in cerca di polemiche e controversie, che vuole farsi notare, anche se poi dovranno anche affrontare censura, network e la NFL come lega, che ha un potere immenso. In ogni caso, ne ho fatto uno per quest’anno (ride).
Proprio tu, che sei famoso per il tuo GoDaddy commercial nel Super Bowl del 2005…
(Ride) Sì, vero, e per quello spot hanno cambiato alcune regole. Però ci sono due cose da dire: la prima è che il cliente, GoDaddy, voleva che il suo marchio fosse impresso sul seno di una donna o sulla sua maglietta. La seconda, ed è questo che mi ha attratto, è che l’idea era contro la censura, umoristica, improntata anche sulla satira, e quindi ho trovato bellissima l’idea di sfruttare la controversia di Janet Jackson, ricordate? L’accordo sul famoso “incidente” del suo vestito. Esattamente. Adesso non si potrebbe più fare.
Star e vip oppure meglio gente normale?
Servono solo quelle celebrità di cui la gente vuole parlare. Quando ho iniziato, c’erano un sacco di vip di livello mediocre che usavano il Super Bowl per reinventarsi. Ora no, solo A List, la crème de la crème: quest’anno vedrete Will Ferrell, Melissa McCarthy, Miles Teller, Alicia Silverstone, Sylvester Stallone… E so di Bryan Cranston e Aaron Paul di nuovo insieme per vendere popcorn.
Qual è il tuo preferito?
Quello per E-Trade. Era uno spot dove c’era solo una scimmia con due uomini che applaudivano per 30 secondi in un garage. Stavano lì e battevano le mani senza alcun motivo. La tag line del commercial era: “Noi di E-Trade abbiamo appena sprecato tre milioni di dollari. E voi cosa fate con i vostri soldi?”. Geniale su molti livelli, perché un marchio che ha abbastanza soldi da buttarli via così diventa mitico, ne parlano tutti.
Ma tu segui la partita?
In genere cerco di guardare la partita da solo e quindi di analizzare tutto… e non me ne frega un cazzo della partita. Lo faccio solo se ci sono i Patriots.