Lui vive a New York, lei a Los Angeles. Lei ha una casa, condivisa con il figlio tredicenne, che fa proprio “casa”: vissuta, accogliente, volutamente non troppo grande. Lui vive in un asettico appartamento di Brooklyn con vista mozzafiato su Manhattan, una cucina mai usata, un set di posate mai aperto e un’evidente mancanza di ninnoli: non c’è nemmeno una foto sua o di un suo caro. I libri di lui sono disposti per colore (un crimine!); la casa di lei rivela un eccessivo amore per i dettagli. Lei è una madre single che ha resistito al fallimento di un divorzio. Lui sembra rassegnato a relazioni che non durano più di sei mesi. Lui e lei sono ovviamente fatti l’uno per l’altra: l’avreste mai detto?
Debbie e Peter, la coppia al centro di Da me o da te di Aline Brosh McKenna (disponibile su Netflix), non sembrano fatti per essere due buoni coinquilini, figuriamoci due partner a tempo pieno costretti a condividere lo spazio con un adolescente e a decidere come ordinare i libri e le piante. Interpretati rispettivamente da Reese Witherspoon e Ashton Kutcher, Debbie e Peter sono amici di vecchia data. Sono finiti a letto una volta sola, vent’anni prima, ma sono ancora abbastanza legati da parlarsi con regolarità su FaceTime; sono aggiornati (e apertissimi) su tutto quello che accade all’altro/a e sono impegnatissimi ad onorare la loro amicizia almeno finché il film non ci fa sapere che sono, appunto, “solo amici”: fino a quel momento, eravamo certi che fossero una coppia. Forse la colpa era solo nostra. Forse vedere un uomo così affezionato a una donna, così felice di vederla senza avere mai secondi fini, senza volerle saltare addosso, avrebbe dovuto insospettirci almeno un po’.
Ma proprio qui sta il trucco. Da me o da te trae il suo scarso ma inequivocabile ritmo dal fatto (no: dal problema) che Debbie e Peter sono davvero ottimi amici. Le loro rispettive personalità sono indicatori convincenti di quello che manca nell’altra persona. Lei dovrebbe essere meno severa e nervosa; lui dovrebbe cercare di non essere un irresponsabile coglione. Ciascuno riesce a migliorare l’altro e, chiaramente, ciascuno è innamorato dell’altro. E allora perché non riescono a stare insieme come una coppia “normale”? Questa è la benzina del film o, per meglio dire, la sua trappola. Da me o da te è un perfetto caso di ritorno a territori, quelli della rom-com classica, che ci sono del tutto familiari, ma che al tempo stesso non si cura di certe mancanze sostanziali. Ognuno dei due protagonisti deve scegliere tra la genuina ma incerta alchimia che condiziona le loro vite – tra i due si avverte un’evidente tensione sessuale – e la possibilità di tornare continuamente all’assetto prestabilito della loro relazione, quella fra due persone che non si sono mai lasciate proprio perché stanno bene così.
La trama è bizzarra ma molto semplice. Debbie va a New York per un seminario di una settimana (sta cercando di abbandonare il suo amore per la letteratura a favore di un lavoro più concreto e meglio remunerato): quale occasione migliore per stare un po’ insieme? Solo che, ovviamente, succede qualcosa. Debbie si trova quasi costretta a cancellare il suo viaggio perché la babysitter del figlio dà buca all’ultimo momento; e Peter, sia per amore dell’amica sia per i suoi problemi con la paternità da risolvere, decide di andare a L.A. e occuparsi del ragazzo. Lui starà a casa di lei e lei a casa di lui, in perfetto stile Cambio moglie. Peter farà la conoscenza degli amici di Debbie (tra cui un vicino buddista di nome Zen, interpretato da Steve Zahn, e la mamma di un compagno di scuola del figlio a cui dà il volto Tig Notaro) e Debbie si ritroverà ad uscire con una delle ex di lui (Zoë Chao).
Le due storyline parallele non sono però ugualmente interessanti, anche se all’inizio sembravano ben bilanciate. Quando Da me o da te comincia, vediamo Debbie e Peter divisi dal solito split-screen, alla maniera delle vecchie commedie romantiche starring Doris Day e Rock Hudson: ci sono i due a letto mentre leggono nello stesso momento, loro due che fanno il bagno nello stesso momento, eccetera eccetera. E poi arrivano le loro rispettive backstory e Da me o da te, che dura quasi due ore, perde il ritmo. Da entrambi le parti, si avverte un grande spreco di tempo: abbiamo una storia d’amore (poco credibile) da guardare, che ci importa se lei va in giro con le ex di lui o se lui gioca con il figlio di lei! Il film cerca di dare una svolta facendo entrare in scena… la tentazione. Debbie incontra un affascinante editore (Jesse Williams) con cui ha un’intesa immediata e palpabile: niente split-screen, solo un classico flirt. Peter invece ritrova una donna che non vedeva da anni (Shiri Appleby) e che riporta il film in vita – anche se il film pare non avere nessuna voglia di rianimarsi.
Dobbiamo fidarci di quello che ci viene raccontato, perché ci è chiaro da subito che tra Witherspoon e Kutcher non c’è nessuna alchimia, né romantica né tantomeno sessuale. La cosa imbarazzante e insieme incredibile di Da me o da te è lo sforzo che fa nel convincerci che sia esattamente il contrario. Kutcher, col suo sorrisone a 32 denti, non fa niente per rendere il suo personaggio interessante (o almeno un degno partner sentimentale); Witherspoon fa quello che le riesce meglio, ma anche a lei non basta (vedi la scena in cui arriva al seminario armata di zainetto e matita, con una vibe che ricorda La rivincita delle bionde). Quando entra in scena Williams, Witherpsoon sfodera il sex appeal che manca nella relazione con Kutcher; mentre Kutcher, nella sua storyline parallela, non fa ancora nulla per rendere il suo personaggio rilevante.
Ma sappiamo che il rapporto tra Debbie e Peter deve funzionare, perché è lì che il film ci deve portare. Vale la pena vedere Da me o da te solo per questo: per vedere tutto l’impegno che ci mettono tutti per non tradire questa premessa, a dispetto di tutto quello che i due personaggi principali fanno davanti ai nostri occhi. Il film sembra uno di quei quiz di OkCupid sulla compatibilità matematica tra due persone: la loro direi che si attesta attorno al 50%. Ma è proprio questa la cosa che più mi ha affascinato del film: il fatto che sia piacevolmente assurdo. Con altri due attori, almeno avremmo avuto un po’ di tensione sessuale. Con due attori più âgé, forse avremmo creduto a due personaggi così sicuri delle rispettive scelte di vita da non cedere facilmente al rapporto più facile e scontato che hanno già sotto il naso. Da me o da te non riporta in vita un genere – la commedia romantica – che, se non è proprio morto, di certo non gode di ottima salute. Ma è fatto per dirci che l’amore romantico esiste – anche quando non esiste affatto.