In queste ore si parla moltissimo delle ambiguità riscontrate durante l’informativa alle Camere del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, relativa alla strage di Cutro. Subito dopo la tragedia, l’inquilino del Viminale aveva fatto parlare di sé per le sue dichiarazioni equivoche: il ministro aveva chiamato in causa una fantomatica «vocazione alla partenza» da parte dei migranti, equiparandoli a degli irresponsabili pronti a mettersi in mare nonostante i rigori dell’inverno e le condizioni di navigazione proibitive, aggiungendoci pure il carico paternalistico – «La disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli», aveva suggerito, attirandosi tutte le critiche del caso.
Le argomentazioni che Piantedosi ha portato in Parlamento ieri per persuadere deputati e senatori della bontà del suo operato sono state messe in discussione da diversi esperti: «Sostenere che i soccorsi sarebbero stati condizionati o impediti dal governo costituisce una grave falsità», ha detto, senza però fornire ulteriori dettagli sulla ricostruzione della catena di comando di quella notte. Il punto focale della vicenda, al centro di articoli, analisi di giuristi e di un’inchiesta della Procura di Crotone, è sempre lo stesso: alle 22.26 di sabato 25 febbraio, un aereo di Frontex ha individuato il peschereccio, avvisando Carabinieri e Guardia di Finanza e includendo nell’informativa anche la Guardia Costiera.
A partire da questa premessa l’obiettivo è comprendere se, di fronte a un barcone di migranti che naviga in mare aperto – con condizioni meteo annunciate in peggioramento – si sarebbe dovuta attivare un’operazione di soccorso (Sar). Piantedosi ha ritenuto di no, dato che l’individuazione della Sar non può prescindere dalla segnalazione di una situazione di emergenza. Senza la configurazione di una evidenza di pericolo (in gergo, distress), l’evento va gestito come intervento di polizia (law enforcement) e, di conseguenza, affidato alla Guardia di Finanza invece che alla Guardia Costiera. Il ministro, infatti, ha rivelato che l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera non ha ravvisato una situazione di pericolo per l’imbarcazione, sottolineando anzi il buono stato di navigabilità. Negli scorsi giorni, però, Frontex si è divincolata sollevando un problema di individuazione della competenza ad agire: infatti, sostiene l’Agenzia, la responsabilità di dichiarare l’operazione di ricerca e salvataggio spetta gli Stati nazionali interessati. Sul punto è intervenuta anche Katarzyna Volkmann, responsabile dell’ufficio stampa di Frontex, che in un’intervista al Corriere ha spiegato che gli aerei dell’Agenzia «pattugliano aree selezionate oltre le frontiere esterne dell’UE nell’ambito della sorveglianza aerea multiuso». Di conseguenza, ha spiegato Volkmann, «Se qualcuno nota una barca che necessita di assistenza l’agenzia informa l’autorità nazionale responsabile delle attività di soccorso nell’area e segue le sue istruzioni in linea con il diritto marittimo internazionale».
Inoltre Giuseppe Legato, giornalista de La Stampa, ha analizzato in profondità la segnalazione di Frontex, individuando cinque elementi che, a sua detta, avrebbero dovuto suggerire la configurazione di una Sar, invece di un’operazione di polizia, ma che sono stati mal considerati o addirittura ignorati. La segnalazione di Frontex – si legge nell’articolo – viene inviata a 27 indirizzi email alle 23.03 del 25 febbraio, cinque ore prima del naufragio. Come riporta Legato, prima delle 23 il sistema di monitoraggio satellite Flyng fish di cui il veicolo di Frontex è dotato capta una telefonata partita da un apparecchio satellitare a bordo della barca e diretta verso la Turchia. L’agenzia ha informato le autorità italiane di alcune bocchette aperte a prua, cioè l’apertura degli oblò dell’imbarcazione probabilmente per consentire alle persone di respirare. Questo doveva far già pensare alla presenza di una barca con un numero eccessivo di passeggeri. Una fonte di Frontex ha poi aggiunto a Euractiv che le autorità italiane erano a conoscenza di queste informazioni. La segnalazione, inoltre, menzionava altre criticità che avrebbero potuto suggerire l’esigenza di un’operazione di soccorso, come la presenza «probabili persone aggiuntive sotto coperta» e di «Giubbotti di salvataggio non visibili». Infine, la presenza di un solo «uomo fuori coperta» su un’imbarcazione di quel tipo non poteva essere considerato un fatto comune. E avrebbe dovuto far scattare qualche allarme.
Questi cinque elementi avrebbero dovuto spingere le autorità italiane a inquadrare l’operazione come Sar, e non come law enforcement. Piantedosi non ha ritenuto necessario chiarire questo punto.