Sono stata nel miglior ristorante di Milano secondo TripAdvisor, e ho capito perché è al primo posto | Rolling Stone Italia
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Sono stata nel miglior ristorante di Milano secondo TripAdvisor, e ho capito perché è al primo posto

Si chiama Mabuhay!, è un locale di cucina filippina in Porta Volta, ed è il primo di 6.223 insegne meneghine: un azzardo? Forse sì, ma anche un messaggio forte e chiaro al settore che, previo un bagno d’umiltà, andrebbe colto

Binalot-adobo-filippino-con-pollo-grigliato

Ho viaggiato in tutto il Sud-est asiatico, e le Filippine – a fronte del mare più incredibile, della natura e della fauna marina più pazzesche che abbia mai visto – sono il Paese dove ho mangiato peggio. Non me ne vogliano i filippini, la cui gentilezza è stata una delle cose che mi ha fatto amare l’arcipelago delle Calamian, Camiguin, Panglao, Moalboal e Boracay, ma della cucina locale conservo ricordi piuttosto bizzarri e abbastanza slegati da piatti particolari.

In ordine sparso: l’impressionante concentrazione di catene verticali di ristoranti (filippini) specializzate in qualsiasi tipologia di cibo internazionale e locale, molte delle quali di proprietà della Jollibee Foods Corporation, multinazionale ampiamente conosciuta per via dell’omonimo fast food. La restante fetta del mercato è spartita con la Max’s Group, e insieme compongono un curioso mosaico di pizzerie, hamburgherie, ristoranti cinesi, ristoranti a buffet, pasticcerie, barbecue americani, barbecue africani, barbecue di pollo e via dicendo. Il business è talmente fiorente che, specie nelle aree metropolitane, diventa difficile scegliere un ristorante che non faccia parte di una delle suddette catene. Quando, a Cebu, mi sono impuntata a voler andare in baracchino fatiscente di street food, una colonia di ratti giganti m’è passata davanti mentre addentavo uno spiedino, e insieme a lei tutta la vita vissuta sino a quel momento.

Ancora, l’illusione che nelle Filippine si usassero le bacchette: no, ci sono forchetta e cucchiaio. Nessun coltello. La signora che una sera cenava nel tavolo dietro al mio aveva commentato la cosa con un laconico «avranno paura che qualcuno faccia un attentato». Ebbene, non è per il timore di pazzi accoltellatori seriali, bensì per comodità: il riso è l’alimento alla base di un gran numero di stufati e di piatti assai popolari, dunque rende inutile l’utilizzo del coltello. In caso di evidente difficoltà, o si ricorre alle mani, oppure si maneggia il cucchiaio a mo’ di coltello – nota a margine: per me è stato difficilissimo.

Solo tre paragrafi di premessa per arrivare al punto: da qualche mese, al numero uno della classifica dei ristoranti a Milano su TripAdvisor, c’è proprio un ristorante filippino. Una circostanza piuttosto singolare ai miei occhi e al mio palato, non serbando nella memoria una traccia distintiva dell’identità culinaria filippina: esclusi gli onnipresenti adobo di maiale e halo-halo, tutto ciò che rammento è un confuso mix di influenze ispaniche, asiatiche e americane, che però non hanno contribuito a creare una specificità ben definita. A essere sincera, che la cucina filippina sarebbe stata the next big thing milanese lo andavo millantando già da un po’ per via di alcune aperture (oltre a Jollibee, Yum, Kusina Ni Lodi, Musikahan, FAVE Street Food House), e il successo di Mabuhay! – che in filippino è un saluto di benvenuto – ne è stato la conferma.

Decido di provarlo un giovedì sera dopo un aperitivo in via Volta, insieme a un’amica curiosa quanto me: solitamente non battiamo quella zona, quindi perché non levarci lo sfizio? Mabuhay! È un piccolo locale affacciato sui Bastioni di Porta Volta, l’arredamento è minimale e piuttosto impersonale, ma d’altronde mica siamo lì per valutare il design. Il menu si presenta come un mix di piatti giapponesi e filippini: accanto a onigiri, okonomiaky, yakisoba, yakiudion e takoyaki trovano spazio lumpiang Shanghai, siomai, adobo di maiale e di pollo grigliato, Tokwa’t baboy, pancit e tapsilong. In assenza di birra locale, optiamo per un paio di Ichnusa non filtrate e iniziamo ordinando gua bao (un’incursione cinese: panini al vapore con straccetti di maiale marinato, cetrioli, insalata, maionese Kewpie e Sriracha) e ravioli filippini. Se il bao, sebbene gustoso, non sia nulla di nuovo sotto il sole, i ravioli hanno una sfoglia sottilissima che esalta alla grande un ripieno di carne di maiale, carote, castagna d’acqua, cipollotti, aglio, uova e pepe: forse più una polpetta che un raviolo ma non cavilliamo troppo, ché in merito ai dumpling non esiste fortunatamente un unico partito d’appartenenza e ne vorremmo sempre come se piovesse – indipendentemente dallo spessore della pasta.

Il cameriere ci consiglia le due varianti di binalot na adobo, e noi eseguiamo: maiale arrosto uno, pollo grigliato l’altro, entrambi in salsa di soia, con riso bianco, pomodorini, cetriolo e uovo sodo; il tutto avvolto in foglie di banana che vengono flambate direttamente al tavolo sprigionando un aroma delizioso. I piatti sono abbondanti e gustosi; il servizio attento e gentile, del tipo che percepisci l’intenzione di guidarti alla scoperta di una cucina a torto snobbata e sottovalutata. Leggi, se avessi mangiato così anche durante le mie tre settimane trascorse nelle Filippine, con tutta probabilità rivedrei di conseguenza l’incipit di questo articolo. La domanda ora è d’obbligo: Mabuhay! merita di occupare la prima posizione della classifica dei ristoranti di Milano secondo TripAdvisor? La risposta la dà il conto: ventitré euro a testa per due antipasti, due portate principali e due Ichnusa da 50 cl.

Tradotto in milanese contemporaneo: niente. Senza andare a scomodare i massimi sistemi, il messaggio che passa forte e chiaro è che la stragrande maggioranza dei frequentatori di ristoranti è stufa di mangiare spesso poco, altrettanto spesso male, spendendo cifre insensate. Stellati a parte – per i quali vale una differente tipologia di discorso – in città non si riesce più a cenare pagando meno di sessanta, settanta euro a cranio, a patto di non ripiegare su una pizza o su un cinese scrauso. E quei sessanta, settanta euro – fatta tara dei vari piccoli produttori, del carciofo coltivato nella valle dell’Eden, del vitello andato in terapia prima di essere macellato, dei vini ‘simpatici’ che sono più bibite che vini – sempre più di frequente non valgono il cibo proposto e ingerito. Definire Mabuhay! Il miglior ristorante milanese probabilmente è un azzardo, ma in quali altri locali è possibile concedersi una cena buona, sostanziosa, non banale, a un prezzo equo e sostenibile?

Vedo già i detrattori sul piede di guerra, pronti a infamare il locale, la cucina, la proposta, il conto: la verità è che – in una città dove qualunque ristoratore è libero di presentare e qualunque cliente è libero di scegliere qualsiasi format gastronomico gli sia più congeniale – il pubblico (se vi fa sentire meglio, definitelo pure «l’utente medio») decide di premiare un posto che riesce a unire qualità, quantità e un conto più che corretto. Lascio a voi tutte le conclusioni del caso: io non ho nulla da aggiungere vostro onore, anzi, quasi quasi vado a spararmi un altro binalot na adobo pork, e chi s’è visto s’è visto.

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