Per un genitore non biologico vivere in Italia è un incubo | Rolling Stone Italia
Genitorialità

Per un genitore non biologico vivere in Italia è un incubo

Grovigli burocratici, ostacoli, pregiudizi e assenza di tutele: nel nostro Paese il "genitore intenzionale" è, di fatto, un genitore a metà

Per un genitore non biologico vivere in Italia è un incubo

Rome, ITALY: Same sex couple kisses during a candlelight vigil in front of the parliament in Rome, 25 January 2007, to press Italy's government to grant legal recognition to unmarried couples regardless of sexual orientation. AFP PHOTO / GIULIO NAPOLITANO (Photo credit should read GIULIO NAPOLITANO/AFP via Getty Images)

Ormai è chiaro: la famiglia è il vero terreno di scontro di questo governo. Lo dimostrano lo stop alle trascrizioni dei figli di coppie omogenitoriali e la bocciatura della proposta della Commissione di realizzare un certificato europeo di filiazione – un documento che punta a uniformare le norme di riconoscimento in tutti gli Stati dell’Unione Europea, semplificando la vita di centinaia di famiglie cosiddette “non tradizionali”.

Più di tutto, lo dimostrano le parole che i rappresentanti di Fratelli d’Italia impiegano per portare avanti la propria battaglia ideologica – parole che, nella maggior parte dei Paesi europei, sarebbero accolte come delle farneticazioni deliranti, e che invece nei nostri lidi sembrano rispecchiare l’orientamento della maggioranza dell’opinione pubblica.

Solo nell’ultimo fine settimana abbiamo assistito a due dichiarazioni che non sfigurerebbero in un teatrino dell’assurdo, cortesia rispettivamente di Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera – ha dichiarato che «Se due persone dello stesso sesso chiedono il riconoscimento, e cioè l’iscrizione all’anagrafe, di un bambino che spacciano per proprio figlio significa che questa maternità surrogata l’hanno fatta fuori dai confini nazionali», rivelando di non possedere quel minimo di retroterra indispensabile per pronunciarsi su un tema così delicato – e della ministra per le Pari opportunità e le Famiglie Eugenia Roccella, protagonista di un siparietto che l’ha vista contrapposta a Lucia Annunziata durante l’ultima puntata di Mezz’Ora in Più.

Secondo la ministra, «Non esiste una negazione dei diritti dei bambini, tutti in Italia hanno gli stessi diritti. Il problema è che queste coppie spesso, quando tornano in Italia, non accettano il riconoscimento del padre biologico e chiedono di essere iscritti all’anagrafe entrambe». Sul piano formale, le parole di Roccella sono purtroppo ineccepibili; finora, molte coppie omosessuali che erano ricorse a fecondazione assistita eterologa all’estero o alla gestazione per altri (entrambe pratiche non ammesse in Italia) procedevano con la trascrizione del certificato di nascita ottenuto nel Paese straniero, presso il proprio Comune di appartenenza italiano. Questa soluzione, ovviamente, non rappresentava la norma, ma una strada percorribile grazie ad alcune amministrazioni cittadine illuminate e a passo con i tempi – in città come Milano (e prima ancora Torino) per esempio, sono state effettuate diverse trascrizioni. A dicembre, però, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha ritenuto non legittima questa strada, indicando come unica possibilità la cosiddetta «adozione in casi particolari». Questo è il precedente su cui i Prefetti hanno fatto leva per raggiungere la sospensione dei riconoscimenti comunali. A Milano è stato anche imposto di procedere ad «adozioni in casi particolari» per bambini nati da due madri in Italia.

Sul piano dell’effettività il discorso diventa più complesso, e la strada dell’adozioni in casi particolari palesa diversi limiti, sfociando in una violenza burocratica che si riversa, in primis, nei confronti del genitore non biologico, costretto a convivere con lo status di “genitore a metà”: ad esempio, come ha spiegato Eleonora Lorusso in un bell’approfondimento su Donna Moderna, la madre intenzionale – quella che non ha fisicamente partorito – per poter vedere riconosciuto il suo ruolo deve presentare un’istanza al Tribunale dei minori, nonostante abbia già fornito il suo consenso alla fecondazione eterologa insieme alla partner.

Il Tribunale stesso può verificare la sua idoneità genitoriale tramite assistenti sociali e i requisiti patrimoniali per accertarsi della sua solidità economica. Occorre anche il consenso della madre biologica perché l’adozione vada a buon fine e i tempi generalmente sono molto lunghi.

Nel frattempo, però, il genitore non biologico deve ottenere una delega per poter assolvere a qualsiasi compito di cura del bambino, come il ritiro da scuola, le gite, le visite mediche, le autorizzazioni, le iscrizioni sportive e tutte le attività che un genitore compie abitualmente. Di fatto la madre intenzionale finché non ottiene l’adozione non ha alcun diritto sul minore che viene ritenuto figlio della sola compagna, né in caso di decesso di quest’ultima, né in caso di separazione, quando il genitore biologico – come già accaduto – può chiedere l’interruzione dei rapporti tra il figlio e l’ex. La domanda che dobbiamo porci è semplice: un Paese progressista può, consapevolmente, negare diritti a bambini cresciuti con una famiglia che gli vuole bene?