A un certo punto in Did You Know That There’s a Tunnel Under Ocean Blvd si sente il sermone del pastore-delle-star Judah Smith. In puro stile Lana Del Rey, la cantante l’ha registrato col telefono durante una funzione. Si sentono le risatine sue e d’una amica mentre Smith predica d’amore e lussuria, oltre a leggere passi dal Libro dei salmi.
Sembra un passaggio strano e superfluo nel contesto del nono album di Del Rey, specie tenendo conto dei temi che vengono affrontati e soprattutto se si pensa alle posizioni di Smith su aborto e omosessualità. Che c’entra con la visione di Lana lo si capisce dalle due frasi finali di Smith. “Pensavo che le mie prediche fossero rivolte soprattutto a voi”, dice probabilmente rivolto alla platea di centinaia, se non migliaia di fedeli della sua megachurch, “ma vi dirò la verità e non vi piacerà: ho scoperto che riguardano principalmente me”.
Il punto è che in Ocean Blvd Del Rey cerca di scavare ancora più profondamente dentro di sé, sovvertendo quanto avevamo capito (e forse frainteso) a proposito di ciò che vuole dirci. Racconta chi è, ma anche perché è così usando storie sulla sua famiglia, su una relazione fallita, sul suo desiderio contraddittorio d’essere notata e allo stesso tempo di nascondersi.
La famiglia è uno dei temi centrali di Ocean Blvd. Del Rey elabora il dolore e la solitudine che sono parte della sua storia familiare. Apre il disco con The Grants, una riflessione cupa sui concetti di perdita e dolore realizzata con l’aiuto di Melodye Perry, Pattie Howard e Shikena Jones, tutte presenti nel documentario di una decina d’anni fa sul mondo delle coriste 20 Feet from Stardom. In Grandfather Please Stand on the Shoulders of My Father While He’s Deep-Sea Fishing riflette sull’aldilà, pregando perché il defunto nonno protegga suo papà Rob Grant. In Kintsugi affronta l’esperienza terribile di assistere alla morte di una persona cara.
A&W (il titolo sta per “American Whore” e non si riferisce all’omonima root beer) e Fingertips sono due facce della stessa medaglia. Sono entrambe riflessioni sullo sviluppo sessuale, sull’allontanamento di una madre e sullo strazio di trascinarsi un trauma fino all’età adulta. Se nella prima Del Rey riflette sui media e sui partner, in Fingertips parla allo specchio mentre cerca un po’ di sostegno da parte degli adorati Charlie e Caroline, il fratello e la sorella. “Morirò o arriverò al traguardo dei dieci anni in cui sconfiggerò il decadimento dei telomeri? E, se lo farò, voi sarete lì con me? Padre, sorella, fratello?”.
Emerge un tema ricorrente, soprattutto nella prima parte: il dolore per una storia finita (Del Rey ha fatto affiggere un solo cartellone pubblicitario per promuovere l’album, proprio a Tulsa, Oklahoma, la città in cui vive il suo ex). “Non si tratta più di avere qualcuno che mi ami”, dice chiaramente in A&W. Non fa terra bruciata, ma sceglie di riappropriarsi della propria magia e di celebrare la lucidità finalmente conquistata in Sweet: “Quando lo sai lo sai, è il momento, è il momento di andare”.
Nel bel mezzo di questo processo di autoanalisi, Del Rey non può fare a meno di ripensare al suo passato musicale. Canzoni come Candy Necklace ricordano le interpretazioni civettuole di Born to Die e del successivo Ultraviolence, due dischi che hanno fatto capire che Del Rey stava percorrendo una strada musicale tutta sua. Ci sono vari accenni a Norman Fucking Rockwell! disseminati in tutto il progetto: in A&W è interpolata la title track, l’incipit di Cinnamon Girl apre Candy Necklace e Taco Truck x VB evoca con la sua “VB” Venice Bitch e chiude l’album in modo freak e psichedelico.
A livello di suono, Ocean Blvd si configura come una versione evoluta di Born to Die, una miscela anacronistica, di cui solo Del Rey è capace, di poesia beat anni ’60, pop pianistico radiofonico anni ’70 e produzione contemporanea. È uno dei suoi album più soft e la maggior parte dei brani si regge sul pianoforte. Jon Batiste e Riopy mettono a disposizione i loro talenti fuori dal comune creando un’atmosfera lounge, ma a guidare il disco è soprattutto lo stream-of-consciousness di Del Rey.
Magnifica ed esilarante, A&W rappresenta un cambio di rotta dell’album con un rap sexy e un beat trap. Da qui in poi ci si muove in un territorio insolito con rullante trap, synth di Fishtail e un cameo di Tommy Genesis in Peppers, che campiona il brano di Genesis Angelina. Contiene alcuni dei versi più riusciti di Del Rey. “Io e il mio ragazzo ascoltiamo i Chili Peppers”, canta, per poi buttare lì un “il mio ragazzo è risultato positivo al Covid, non importa, ci siamo baciati, quindi qualsiasi cosa abbia lui, ce l’ho anch’io”.
Dai testi filtrano alcuni dei pensieri più cupi di Del Rey, ma l’elemento più significativo del suo songwriting, qui, è la speranza. Il dolore è accompagnato da una visione del Paradiso che la vedrà riunirsi, un giorno, coi membri della famiglia e gli amici che ha perso. In Margaret canta di come il suo amico e collaboratore Jack Antonoff abbia incontrato la sua fidanzata Margaret Qualley (curiosamente, è la seconda volta nella carriera di produttore di Antonoff in cui un’artista con cui lavora è talmente toccata dalla sua storia d’amore da scriverci sopra un’intera canzone). Let the Light In, con Father John Misty, sembra un ricordo della ragazza spensierata e innamorata che Del Rey piange in Fishtail e A&W. Ma la sua luminosità potrebbe anche essere un invito, a quella ragazza, a tornare quando sarà pronta a farlo.
Con tutti i riferimenti a Norman Fucking Rockwell! che ci sono nell’album, la domanda che molti si pongono è se Lana Del Rey riuscirà mai a superare quel capolavoro. Inutile chiederselo. Tutto ciò che la cantante ha fatto da allora (fra cui Chemtrails Over the Country Club e Blue Banisters) ha rappresentato un’evoluzione della visione artistica che aveva messo in campo in quell’album, una visione che la rende unica dal punto di vista creativo. Lana Del Rey predica a se stessa e facendolo dà vita a un’opera d’arte destinata a rimanere.
Da Rolling Stone US.