Un cospiratore. Un corruttore. Un tiranno. Una minaccia. L’immagine di Donald Trump restituita dal procuratore distrettuale di Manhattan Alvin Bragg è quella di un cattivo dei fumetti, un personaggio cinematografico che può essere combattuto solo dai supereroi.
E forse è davvero così: i quattro anni di presidenza del multimiliardario ce li ricordiamo tutti. Ricordiamo anche quello che è successo dopo, le elezioni del novembre del 2020 e i suoi conteggi chilometrici che per settimane non hanno dato risultati chiari (o quantomeno non ufficiali), l’assalto di Capitol Hill istigato con una serie di dichiarazioni non meno che infernali, cosa che gli è valsa anche uno storico ban da Twitter. E ora l’incriminazione per trentaquattro capi d’accusa, a partire dalla corruzione della pornostar Stormy Daniels, della modella di Playboy Karen McDougal e di un portiere della Trump Tower, tutti apparentemente custodi di indicibili segreti e dunque pagati per tacere. O almeno così dicono le accuse.
Si cita spesso la storia di Al Capone, uno che nella vita ne ha fatte di cotte e di crude ma che alla fine è stato incastrato solo per una banale accusa di evasione fiscale. Il paragone non è improprio: tra le tante malefatte compiute da Trump nella sua vita, forse la giustizia è arrivata a punire quelle meno rilevanti, meno comprensibili all’opinione pubblica, in qualche modo più gloriose per lo stesso imputato.
Lui ha fatto di tutto per cercare di rendere epico il momento del suo arresto: voleva le telecamere e i fotografi, pretendeva lo scatto segnaletico da detenuto, probabilmente per usarlo poi come manifesto elettorale (i suoi avvocati, intanto, trattavano per evitarlo). I giudici glielo hanno negato, del resto quello di Trump è un volto inconfondibile e non c’è rischio che possa scappare da qualche parte senza che nessuno lo riconosca. È anche il motivo per cui non lo hanno trattenuto in custodia: un po’ perché i reati di cui è accusato sono di classe E (i meno gravi) e un po’ perché non ce n’è motivo. La procedura penale statunitense, a guardarla da vicino, è davvero pomposa e retorica come in Law and Order: ti convocano per dirti le accuse, ti mettono in stato di arresto per leggerti i tuoi diritti e per ammettere una tua dichiarazione («Non colpevole», ovviamente, quella di Trump) e poi una bella pacca sulla spalla in attesa del prossimo passaggio.
L’ex presidente dice che c’è accanimento contro di lui, anzi parla addirittura di complotto, spiega che Hillary Clinton e Joe Biden hanno fatto cose terrificanti ma che nessuno si è mai sognato di incriminarli, che vogliono fermare con le manette la sua rincorsa alla Casa Bianca per il 2024.
I Repubblicani sembrano apprezzare: i sondaggi danno Trump in netto vantaggio su tutta la concorrenza, il sapore del sangue eccita più le vittime che i carnefici, forse. O forse in questa storia è quasi impossibile distinguere le due figure: chi sono le vittime e chi i carnefici?
In ogni caso, finito lo spettacolino dell’arresto, Trump ha ricominciato come prima e più di prima a istigare i suoi. I cronisti hanno notato l’assenza di Melania al suo fianco: solo un caso? In realtà ai suoi seguaci di questi aspetti frega tra il poco e il niente: Trump non è Trump, è lo strumento migliore con cui combattere gli odiati democratici, i liberal, i mezzi socialisti (ok, una cosa del genere in Europa fa ridere, ma tant’è), le élite globaliste e mondialiste che vogliono rovinare il sogno americano. Quindi vale tutto, ogni mezzo è buono in guerra perché, signore e signori, di questo stiamo parlando: è una guerra.
Lo spettro della guerra civile americana, in effetti, è stato evocato in più occasioni dai commentatori e Trump viene visto come l’uomo che soffia sulla brace di una società sfilacciata e disgregata, in cui la classe media ha perso certezze, la povertà è sempre più visibile nelle periferie e un pugno di ricconi continua a fare soldi su soldi su soldi su soldi, senza guardare in faccia a nessuno e, soprattutto, distanziandosi ormai di anni luce dal resto della società.
Lo abbiamo visto all’opera – l’hanno visto tutti – e sappiamo bene che non è Trump l’uomo in grado di restaurare il sogno americano, posto che sia mai esistito. E del resto non si è ancora ben capito come lui – miliardario di New York, proprietario di una torre in pieno centro, uomo dai mille affari e dai mille interessi – possa essere considerato alfiere della rinascita degli esclusi. Eppure così è. Basta guardare le facce dei presenti ai suoi comizi, dicono tutto della base sociale del partito repubblicano di Trump. Sembrano personaggi dei libri di Stephen King, forse l’unico che con decenni d’anticipo, e attraverso lo strumento della narrativa fantastica, ha capito di cosa parliamo quando parliamo di «white trash». E non solo: il consenso di Trump pare essere trasversale anche in altri gruppi etnici. Misteri della politica contemporanea: come si fa a sostenere qualcuno che è palesemente contro i tuoi interessi, il tuo modo di fare, il tuo modo di essere? La soluzione arriverà solo con le presidenziali del 2024.
Il romanzo noir e scandalistico delle incriminazioni sarà benzina sul fuoco, non acqua in grado di ripulire un partito repubblicano ormai vittima dei mostri che lui stesso ha contribuito a creare.