L’11 settembre 2001 Madonna avrebbe dovuto esibirsi allo Staples Center di Los Angeles col suo Drowned World Tour. Ora di mezzogiorno, il mondo era cambiato irrimediabilmente e il concerto rimandato.
Madonna è tornata in studio subito dopo la fine del tour col produttore Mirwais, quello di Music. Scossa dagli eventi dell’11 settembre, ha cominciato a dire ai giornalisti che la fama e la fortuna l’avevano distratta dalla realtà. Ha passato un anno e mezzo a creare il suo album più politicizzato, socialmente impegnato e divisivo di sempre: la priorità era mettere in discussione il sogno americano.
All’inizio del 2003, Madonna e Mirwais hanno dato gli ultimi ritocchi al disco. Proseguendo nel solco del suono cyberfolk di cui la coppia è stata pioniera in Don’t Tell Me del 2000, American Life spaziava dal tema della perdita della madre durante la prima infanzia alla recente presa di coscienza della vacuità della celebrità, vale a dire ciò che lei stessa incarnava.
La regina della trasformismo ha scelto d’inaugurare la nuova era col brano che dà il titolo all’album, una canzone di protesta in salsa electroclash che metteva in discussione la cultura americana del perfezionismo, la competizione folle, la ricerca spasmodica della fama. Essendo stata scelta per lanciare il disco, per American Life bisognava fare un video sfrontato e diretto, all’altezza del sound e del messaggio. L’idea era di usare le immagini seducenti e spettacolari che ci si aspetta da Madonna come cavallo di Troia per prendere posizione contro l’inutilità della guerra e la cultura vacua e superficiale del consumismo.
Concepito e pubblicato mentre scoppiava la guerra in Iraq, il video (una combinazione di alta moda, riferimenti sfacciati alla cantante e immagini di guerra) rappresenta con ogni probabilità il momento più controverso di una carriera che già ne aveva avuti molti. Non solo: per la prima volta Madonna capitolava di fronte alle reazioni dei media e alle pressioni della censura, una svolta inattesa per un’artista che si era scagliata allegramente contro il Vaticano con il video di Like a Prayer e che aveva sconvolto i genitori di mezzo mondo con le immagini sessualmente esplicite di Justify My Love, di Erotica e del famigerato libro Sex.
Dopo un lungo tira e molla con MTV, il 16 aprile 2003 è stata pubblicata una versione molto annacquata del video di American Life. Oggi, il team che l’ha realizzato riflette su quel momento singolare nella carriera di Madonna e nella vita americana.
Per il video di American Life, Madonna ha riunito una squadra di collaboratori fidati, tra cui il regista Jonas Åkerlund, con cui aveva realizzato i video di Music e Ray of Light, la stilista Arianne Phillips e il coreografo e direttore creativo Jamie King. A gennaio del 2003 è stato indetto un casting.
Mirwais (produttore musicale): «Il demo originale era una canzone suonata da me, intitolata Modern Life. Come succede spesso quando collaboriamo, ho scritto io la prima strofa e il ritornello, poi entrambi ci siamo dannati per un anno e mezzo per sviluppare e completare la canzone, fino ad averne la versione definitiva. Alla fine penso che sia un’opera d’arte brillante, cazzo. E non perché sono il coautore e l’ho prodotta io».
Jamie King (coreografo): «Il primo step è stato un incontro alla Maverick Records. Lei mi ha fatto ascoltare la canzone e m’ha spiegato quel che aveva creato con Mirwais. Mi ha chiesto di selezionare modelli e ballerini che potessero rappresentare il messaggio. Per le ballerine, il mandato era di trovare un gruppo di donne toste, tipo guerriere fiere e ribelli che potessero essere la sua gang e rappresentare tutte le donne. Era prima che andasse di moda avere persone di tutte le corporature e taglie sulle passerelle e nei video, e questo è solo uno dei tanti aspetti per cui il progetto era in anticipo sui tempi».
Arianne Phillips (costumista): «Quando abbiamo realizzato il servizio fotografico per la copertina dell’album, a cui è ispirato il video, abbiamo pensato ai ribelli, iconoclasti e rivoluzionari, da Che Guevara a Patty Hearst, che stranamente veniva associata ai rivoluzionari, anche se non è chiaro se fosse una vera rivoluzionaria o la vittima di un rapimento. E poi Angela Davis, le Pantere Nere: tutti quelli che si sono opposti al sistema. Il nostro obiettivo era immortalare una sorta di rebel couture».
Jonas Åkerlund (regista): «L’idea della sfilata di moda credo mi sia venuta durante la preparazione del tour. Era un periodo spaventoso, eravamo tutti preoccupati per la guerra».
Arianne Phillips (costumista): «L’idea di Jonas era inscenare una sfilata di moda a tema bellico. C’erano il concetto dell’assurdità della guerra, l’idea di “moda rivoluzionaria” e delle passerelle inavvicinabili ed elitarie».
Nicola Doring (produttice video): «Siamo totalmente avulsi dalla realtà perché non viviamo in prima persona la guerra. Ce ne stiamo tutti seduti lì, coi nostri bei vestiti addosso, mentre la gente viene ammazzata. In un certo senso, il video portava il pubblico in guerra».
Il video originale di American Life si apre con sequenze delle combattenti che si preparano alla battaglia, intervallate da scene di Madonna che canta per il pubblico della sfilata su enormi schermi piazzati sopra una passerella a forma di crocifisso.
In rete circolano diversi finali alternativi del video. In uno, la bomba cade sulla passerella. Mentre l’ordigno esplode, Madonna, sugli schermi, si tappa le orecchie . In un altro montaggio, la bomba viene intercettata a mezz’aria da un sosia di George Bush: si tratta in realtà di un accendino, che usa per accendersi un sigaro. In un altro ancora, Bush condivide il sigaro con un sosia di Saddam Hussein, prima di dargli un bacio sulla guancia. Quest’ultima versione è stata mostrata durante il Reinvention Tour.
Jonas Åkerlund (regista): «Era un progetto ambizioso. Abbiamo girato tutto qui a Los Angeles, nell’arco di almeno tre giorni. C’erano tantissime comparse. È stata la prima volta, credo, in cui le persone hanno dovuto consegnare i telefoni prima di entrare in studio. Non tanto per evitare che scattassero foto, ma perché eravamo preoccupati che la canzone fosse registrata e venisse diffusa prima del tempo».
Arianne Phillips (costumista): «C’erano due look principali, quello mimetico l’ho realizzato io. Volevo che fosse credibile, quindi ho usato un tessuto camouflage dell’esercito americano. L’idea era che vestisse i panni di una leader militare, ovviamente con accessori bondage in pelle. Abbiamo chiesto a Stella McCartney, che è amica di Madonna, di creare qualcosa di specifico per il video, ossia il look che si vede nell’inquadratura in cui canta col cappello».
Jamie King (coreografo): «È un crescendo. Quella dei gabinetti è importantissima, come prima scena, c’è lei che raduna la sua banda e la prepara a combattere contro il sistema. La si vede incidere “Proteggimi” con un coltello sulla parete di uno dei bagni. La gente non lo sa, ma è tutto perfettamente coreografato. Con Madonna tutto, fino all’ultimo dettaglio, viene studiato. Abbiamo passato giorni a provare e riprovare quel gesto su un cartoncino, in modo che venisse scritto a tempo con la musica. È una scritta ironica, tipo: “Ma davvero siamo protetti? Guardate cosa stiamo facendo, mandiamo i nostri figli a morire in guerra”».
Jonas Åkerlund (regista): «Ho insistito molto sul fatto che la sfilata iniziasse in un certo modo e si sviluppasse fino al finale col pubblico che applaude e pensa che tutto faccia parte dello spettacolo. C’è un forte senso dell’ironia».
Jeremy Scott (fashion designer): «Ho visto le comparse sul set e il sosia di George Bush. Ricordo di aver pensato: oh oh, è provocatorio. Ma stiamo pur sempre parlando Madonna, è sempre stata una provocatrice fin da quando ero un suo fan, al liceo.
Jonas Åkerlund (regista): «Ci sono anche i sosia di Donatella Versace e Jack Nicholson e, credo, anche delle sorelle Hilton. Nulla di personale nei loro confronti: era solo un modo divertente per mostrare quanto siano distanti quei due mondi».
Nicola Doring (produttrice video): «Credo che ci fosse anche Gheddafi, o forse era Saddam? Penso anche Anna Wintour».
Eric Broms (direttore della fotografia): «Ricordo che uno dei fashionisti in prima fila era un tizio calvo che lavorava come addetto all’accoglienza al Bar Marmont».
Constance Cooper (comparsa): «Lavoravo allo Chateau Marmont e Jonas era spesso ospite dell’hotel. Era al corrente della mia fama come drag queen e avevamo già lavorato insieme al clip di Beautiful di Christina Aguilera. Quando mi ha chiesto di partecipare al video, mi ha spiegato che avrebbe messo dei sosia di celebrità in prima fila a una sfilata di moda. Gli ho chiesto: e io chi dovrei interpretare? E lui: “Te stesso, ovviamente”».
Peter Törenstam (direttore degli effetti): «Era surreale vedere quel massacro sulla passerella, con la gente del bel mondo della moda che applaudiva e rideva prima di accorgersi che era tutto vero».
Jamie King (coreografo): «Stavamo ricreando delle scene di guerra che avevamo visto solo in tv. Ma era importante: dovevamo essere espliciti nel mostrare la devastazione della guerra, non volevamo che si finisse per diventare insensibili di fronte a queste cose».
Eric Broms (direttore della fotografia): «Non credo che nessuno si aspettasse di veder volare pezzi di corpi e schizzi di sangue sulla passerella. Ma, quando si gira, si è così concentrati sulle riprese che ci si dimentica di queste cose».
Nicola Doring (produttrice video): «Reese Witherspoon stava girando un film nello stesso edificio ed è stato dolcissimo: ha portato dei biscotti per Madonna e la sua famiglia. Nel frattempo noi eravamo lì, coi soldati, a far saltare in aria gente».
Jamie King (coreografo): «Ho conosciuto il mio ragazzo, Shawn, durante queste riprese: lui è uno dei modelli. È quello che spaventa le due ragazze ed è anche il soldato a cui vengono fatte saltare le budella».
Shawn Breathwaite (modello): «Un giorno stavamo provando le nostre camminate da passerella, quando Madonna è saltata su palco e ci ha detto che non sapevamo che cazzo stavamo facendo e di guardare lei. Ha preso una delle nostre giacche, se l’è buttata in spalla e ha fatto la migliore camminata da modella di tutti i tempi».
Jamie King (coreografo): «Tipico di Madonna».
Al termine delle riprese, Åkerlund e Madonna hanno iniziato il lungo e faticoso processo di montaggio del video. Un comunicato stampa del 9 febbraio 2003 per American Life, l’album, anticipava l’esistenza del video, annunciando che avrebbe «espresso una visione globale della nostra cultura e della guerra incombente attraverso una supereroina impersonata da Madonna. Inizia come una sfilata di abiti militari d’alta moda, si evolve in una situazione folle che descrive gli effetti catastrofici e gli orrori della guerra».
La guerra era davvero alle porte. In tutto il mondo, milioni di persone erano scese in piazza per manifestare contro la guerra. Nonostante la fortissima opposizione alla guerra di molti, negli Stati Uniti si registrava anche un aumento del consenso, in particolare da parte dei veterani e di coloro che avevano dei familiari in servizio nelle forze armate.
MTV ha dedicato ampio spazio al video nelle sei settimane che ne hanno preceduto l’uscita, anche se il canale era in ancora in trattative col team di Madonna per le modifiche che avrebbero dovuto essere apportate affinché il network prendesse in considerazione la messa in onda. L’artista ha difeso strenuamente la libertà di espressione, spiegando in una dichiarazione del 14 febbraio 2003: «Mi sento fortunata a essere una cittadina americana per molte ragioni, una delle quali è il diritto di esprimermi liberamente, soprattutto nel mio lavoro». E poi: «Non sono anti-Bush. Non sono a favore dell’Iraq. Sono a favore della pace… come artista, spero che questo video susciti riflessioni e dialogo… non mi aspetto che tutti siano d’accordo con me. Sono grata di avere la libertà di esprimere questi pensieri, ed è così che onoro il mio Paese».
Nicola Doring (produttrice video): «Solitamente facevamo la postproduzione in Svezia. È stato difficile per via di tutte le autorizzazioni per i filmati di repertorio. Ogni volta che mandavamo una versione in approvazione per la messa in onda, Jonas e Madonna dovevano inventarsi un modo per aggirare i commenti che arrivavano [da MTV]. C’era molta censura su tutto quello che facevamo, non solo sulle cose di Madonna. All’epoca ci si aspettava sempre di essere censurati».
Jonas Åkerlund (regista): «Non riuscivamo a decidere il finale. Abbiamo montato un sacco di versioni diverse. Ce n’è una in cui Bush accende il sigaro, un’altra in cui lo condivide con Saddam Hussein».
Arianne Phillips (costumista): «A quel tempo, MTV aveva molta voce in capitolo e influenza sui video che programmava. Ero presente durante alcune delle conversazioni col management, in cui MTV presentava una lista di richieste e requisiti da soddisfare per potere passare il video. Ricordo che Madonna all’inizio si è impuntata, rifiutandosi di annacquare il video: “Ok, allora non andrà su MTV”. Non era disposta ad assecondarli, non accettava di farsi censurare».
Jonas Åkerlund (regista): «Ho detestato quel periodo. Era un momento delicato, i video venivano esaminati al microscopio come mai prima. Né mi piaceva lavorare con MTV, perché censuravano di brutto tutto quel che facevi. Fare video musicali è diventato nuovamente creativo solo quando YouTube è diventato più forte di MTV».
Il 20 marzo 2003 le forze alleate hanno invaso l’Iraq. Il 28 marzo, l’opinione pubblica aveva cambiato decisamente orientamento e Madonna ha annunciato che avrebbe apportato modifiche importanti al video. Secondo MTV, la cantante avrebbe detto: «Abbiamo la versione dei nostri sogni, ma non è il momento giusto… abbiamo studiato il video per mesi, ma non sapevamo tutto quello che sarebbe successo nel mondo».
Eppure, tre giorni dopo, Madonna ha annunciato che avrebbe rinunciato a far uscire il video negli Stati Uniti (anche se, a quel punto, il video completo e in gran parte non censurato era già stato trasmesso da alcune emittenti europee). «Ho deciso di non pubblicare il mio nuovo video», ha esordito Madonna in un comunicato. «È stato girato prima dell’inizio della guerra e non credo sia opportuno mandarlo in onda in questo momento».
Due anni dopo, Madonna ha dichiarato al quotidiano spagnolo El País che la paura per la vita dei suoi figli e l’impatto potenzialmente negativo sulla carriera dell’allora marito Guy Ritchie l’avevano convinta a ritirare il video. «Ero pronta battermi, ma avevo una famiglia». La popstar ha anche spiegato di avere cambiato idea dopo avere visto l’ostracismo nei confronti delle Dixie Chicks, colpevoli di essersi espresse negativamente su Bush.
Il 16 aprile, Madonna ha presentato in anteprima una versione radicalmente modificata del video. In questa versione, c’è una sola inquadratura di Madonna, con un look creato da Stella McCartney per l’occasione e ispirato alla divisa di un generale dell’esercito. La popstar canta direttamente alla telecamera per tutta la durata della canzone. Dietro di lei sventolano le bandiere di vari Paesi, comprese quelle della Palestina, di Porto Rico e della Groenlandia. Dopo un mese e mezzo di attesa e di copertura mediatica, la canzone ha scioccato quasi tutti, non per le immagini brutali o la scarsa sensibilità, ma per la sua strana semplicità. Con così poco da gustare, a livello visivo, il momento più memorabile per la maggior parte degli spettatori si è rivelato essere la strofa rappata dall’artista, per la quale è stata presa in giro.
Jonas Åkerlund (regista): «Mi trovavo in Svezia, quando Madonna mi ha chiamato: “Il video non può funzionare così com’è”. Non riuscivo a capire. Non ero d’accordo. Pensavo: che sta dicendo? Perché dovremmo tirarci indietro? Ho capito quando sono andato in America, dove le persone erano davvero preoccupate per le loro vite e avevano i figli in guerra».
Jamie King (coreografo): «Come artista che ha partecipato al progetto è stato deludente? Certo che sì. Ci è costato un sacco di lavoro e studio e cura per far passare il messaggio. Mi chiedo sempre, come fa anche Madonna: perché? Di cosa abbiamo paura? Non sono cose di cui dovremmo parlare?».
Nicola Doring (produttrice video): «Più di tutto pensavo che fosse triste che dovesse andare così, che la gente non volesse sapere la verità. Che c’era di così scandaloso nella realtà?».
Jonas Åkerlund (regista): «La decisione di fare marcia indietro rispetto all’idea originale non è stata da lei. Io ci ero abituato, perché avevo subìto la censura molte volte, ma in questo caso specifico avrebbe avuto senso non piegarsi. Il tempismo ha giocato a nostro sfavore. Se avessimo fatto uscire il video una settimana prima, o qualche settimana dopo, le cose sarebbero andate diversamente».
Jeremy Scott (fashion designer): «Credo abbia giocato parecchio ciò che è successo alle Dixie Chicks. Sono state ostracizzate per essersi pronunciate su Bush. Ricordiamoci, poi, che stiamo parlando di Madonna, che in quel momento aveva due figli piccoli. Sono sicuro che si cambia quando si hanno dei bimbi».
Eric Broms (direttore della fotografia): «Il video con le bandiere non era niente di che. Non aveva senso abbinato a una canzone del genere. Alla fine hanno parlato più del suo modo di rappare che del video».
Mirwais (produttore musicale): «La gente la prendeva in giro perché pensava che Madonna non sapesse rappare bene. Nessuno ha capito che lei ha deciso, o meglio, noi abbiamo deciso di tenerla così. L’ha voluta lei così, non c’entrava nulla con la bravura o la performance vocale. I critici sono stati piuttosto ingenui a pensare che non avremmo potuto semplicemente aggiustare quella parte in studio. Abbiamo tenuto di proposito quel flow rigido e robotico e la pronuncia buffa. Era una cosa autoironica, un’affermazione del suo status e, soprattutto, una presa in giro dei cliché musicali dell’epoca».
Rivedendolo a distanza di vent’anni, risulta chiaro che la contiguità temporale del video e dell’invasione non era l’unico aspetto per cui sarebbe stato attaccato. Stranamente, pochi critici hanno tirato in ballo la questione se l’uso di filmati autentici di Paesi in guerra rappresentasse una forma di sfruttamento. Se il video originale fosse stato pubblicato per intero, forse Madonna avrebbe dovuto affrontare un’ulteriore ondata di critiche che chiedevano se fosse appropriato usare immagini di bambini mediorientali feriti per lanciare un disco pop.
Al netto delle questioni di patriottismo e di gusto, il video originale di American Life, che è poi finito online, ha comunque riscosso per certi versi un grande successo. È senza dubbio un prodotto divertente e curato che rende merito all’artista e al suo team. Contiene una serie di dichiarazioni politiche forti che lasciano lo spettatore scosso, soprattutto dopo il crescendo finale. Al centro c’è ovviamente Madonna, che ancora una volta innova, supera i limiti di ciò che ci si aspetta da una popstar e balla come se ne andasse della sua vita.
Jonas Åkerlund (regista): «Il messaggio di American Life è importante oggi come non mai. Abbiamo davvero fatto dei progressi? Quando fai un video con un messaggio tanto forte e con la star numero uno al mondo speri che abbia un qualche impatto. Ma non sono così sicuro che qualcuno abbia imparato qualcosa da questo video».
Arianne Phillips (costumista): «La cosa che colpisce, guardando American Life oggi, è che si potrebbero sostituire le riprese con quelle della vita post-pandemia, del post-Trump, di ciò che sta accadendo in Ucraina, del cambiamento climatico. È ancora attualissimo. Dobbiamo parlare ancora di più di queste cose».
Jamie King (coreografo): «Sono felice di aver partecipato al video e del fatto che sia ancora attuale. Ancora oggi è provocatorio, fa parlare ed è potente e rilevante come allora».
Mirwais (produttore musicale): «Penso che quello che Jonas ha creato con Madonna sia un capolavoro. Molto all’avanguardia, a livello di messaggio sociale».
Nicola Doring (produttrice video): «Ancora una volta, Madonna era avanti rispetto alla sua epoca. Lei è sempre avanti».
Da Rolling Stone US.