In un film meraviglioso, Hong Kong Express – il primo “occidentale” di Wong Kar-wai – un poliziotto si chiede se l’amore, come i barattoli di ananas che tanto piacevano alla fidanzata che l’ha piantato, abbia una data di scadenza. L’unica strategia che trova per superare il lutto è correre fino a prosciugare tutti i suoi liquidi. Fino a perdere ogni lacrima.
Non trovo metafora migliore per descrivere i due concerti sold out – 55 mila spettatori circa per tre ore di durata – che Bruce Springsteen e la rediviva E Street Band hanno messo in scena nelle due date di apertura della tranche europea del tour 2023, il 28 e il 30 aprile, sul palco dello Stadio olimpico Lluís Companys di Barcellona.
Ma andiamo con ordine.
Il Boss è arrivato nel capoluogo catalano mercoledì scorso al Grand Hotel La Florida, sulla collina più alta della città, il Tibidabo, assieme a Patti Scialfa e la E Street Band. Ospiti del frontman e della di lui moglie due famosissime coppie: Michelle e Barack Obama, Steven Spielberg e Kate Capshaw (l’indimenticabile co-protagonista di Harrison Ford nel secondo film di Indiana Jones). Giusto per tenere a bada il delirio collettivo.
La Springsteen-mania ha scaldato una città che – al contrario di una parte della Spagna arroventata da un clima impazzito con punte di 38 gradi – si è smarcata dal caldo torrido e, nella notte di sabato, dopo due giorni di sole primaverile, ha visto scendere la prima pioggia da mesi. Domenica, invece, ha piovuto quasi fino all’inizio dello show.
La prima serata sul promontorio più basso del Montjuïc, dove si adagia lo stadio e svetta la fiamma olimpica, è stata quella delle grandi aspettative: tesa, coreografica, scoppiettante e vagamente surreale. L’ex first lady americana, Patti Scialfa e la ragazza di Indiana Jones e il Tempio Maledetto, verso la fine del concerto, si sono improvvisate coriste durante l’esecuzione di Glory Days davanti a un pubblico per metà sorpreso e per l’altro ignaro di quel che stava accadendo sul palco. Un’ospitata che ha subito fatto il giro del mondo e che avrebbe intitolato tutte le recensioni del concerto all’indomani. Nel frattempo, da sotto un tendone nero sul lato destro del palcoscenico, Spielberg girava un mini-film per memorie private riprendendo noi del pubblico e nel dettaglio la moglie attrice ai cori con le sue amiche. Al termine di Glory Days, Barack Obama, bevendo da un calice a coppa, si riprendeva Michelle, prima baciandola con passione, poi avvinghiandosi alle sue spalle con fare romantico e infine accennando un semi-danza nella successiva Dancing In The Dark.
Michelle Obama i Kate Capshaw, dona d’Steven Spielberg, coristes de luxe al concert de @springsteen a l’Estadi Olímpic #inforac1 #Springsteenbarcelona pic.twitter.com/gKNoPUFYe3
— Maria Cusó Serra (@MariaCuso) April 28, 2023
E pensare che due ore e mezzo prima, a qualche minuto dall’attacco frenetico dell’incipit No Surrender, regnava uno stato nervoso, quello che induce a una lotta col torpore di chi esce da un lungo letargo che mai – in quel dato momento – avrebbe fatto pensare a un momento così gossipparo. Un inedito nella carriera di Springsteen come, si suppone, in quella della storia dei Presidenti degli Stati Uniti.
La tensione, due ore e mezzo prima, si poteva tagliare col coltello. Anche se oltreoceano si erano già consumate 27 date (il tour 2023 è partito da Tampa il 1° febbraio e farà tappa in Italia il 18 e 21 maggio – Roma e Ferrara – e il 25 luglio, ultima data europea, a Monza) i fan europei, disabituati all’epica realtà, erano eccitati e nervosi come un diavolo in corpo che si danna perché un corpo non ce l’ha.
Dopo sette anni di assenza dalle scene del collettivo musicale diretto dal rocker del New Jersey, il “Fuck Covid! We Are Alive” (così recitava un cartello in bella vista fronte palco ripresa sui megaschermi, assieme ai volti accesi e sognanti dei fan più duri e puri, quelli con un numerino nero impresso sulla mano che si erano fatti una decina di appelli nei giorni precedenti per aggiudicarsi un posto sottopalco), una paventata terza guerra mondiale, l’età che avanza inesorabile e implacabile, un album del 2020, Letter To You, portato dal vivo solo con questo tour 2023, era comprensibile che albergasse un certo straniamento.
Almeno fino a quando non si è visto apparire realmente Bruce. L’ultimo a uscire da dietro il palco dopo che si sono presentati alla folla improvvisamente ridestata, fra inni e applausi scroscianti, tutti i membri della E Street Band. Springsteen indossa – e identico abbigliamento vestirà domenica – una delle sue classiche mise: camicia nera a maniche corte, jeans neri, stivali. Taglio “punk” cortissimo ai lati dei capelli rimasti. Sulla spalla destra regge la sua leggendaria Fender ibrida, metà Telecaster, metà Esquire. A settembre compirà 74 fucking years.
Dopo No Surrender – “nessuna resa” è sempre un bel messaggio da sentire – da Born In The U.S.A., la band guidata dalle ritmiche centrali di Max Weinberg e Garry Tallent, supportata dal piano di Roy Bittan, dall’organo di Charles Giordano e dalle corde di Steven Van Zandt (dimagrito quasi all’inverosimile dopo una rigorosissima dieta senza zuccheri e un training specifico), Nils Lofrgen e Soozie Tyrell e pompata dal sax di Jake Clemons (il sempre efficace nipote d’arte del compianto Big Man, Clarence Clemons) la scaletta prosegue imitando, come ci si aspettava con un po’ di malcontento degli springsteeniani viziati e abituati troppo bene da anni a cambi continui in scaletta, la sequenza di canzoni dei concerti americani.
Un fuoco di fila che inanella Prove It All Night, Out in the Street e Candy’s Room, Ghosts e Letter To You dall’album omonimo (quest’ultima con sottotitoli in catalano, così come per le altre tratte dal medesimo disco: Last Man Standing, dedicata alla memoria di George Theiss, primo mentore di Bruce Springsteen nella metà degli anni ’60 che lo introdusse nella band Castiles, e l’acustica I’ll See You in My Dreams, omaggio al discografico-promoter australiano Michael Gudinski, collocata durante il tour alla fine dei concerti).
Con la sezione Kitty’s Back, Nightshift (la cover dei Commodores inclusa in Only The Strong Survive) Mary’s Place e The E Street Shuffle entrano in scena gli altri componenti dell’ensemble. La sezione fiati e percussioni capitanata da Ed Manion e Anthony Almonte e le coriste Lisa Lowell, Michelle Moore e Ada Dyer. Ruba la scena Curtis King Jr. che duetta con Bruce durante la famosa hit della Motown portata al successo da Lionel Richie e soci e dedicata a Marvin Gaye e Jackie Wilson.
In questo blocco R&B non stona Human Touch al suo debutto nel tour e unica sostanziale differenza dai concerti più recenti. Prima dei pezzi incandescenti da luci accese nello stadio fa la sua bella mostra la precisa sguaiatezza folk di Pay Me My Money Down, cover della canzone tradizionale portata al grande pubblico dai Weavers di Pete Seeger e poi dal Kingston Trio.
È già il tempo dei grandi classici degli anni ’70 fra cui spiccano Backstreets, Because the Night, Badlands e Thunder Road. Gira l’orologio e dagli anni ’80 arriva Born in the U.S.A., l’immancabile Born to Run, Glory Days (ornata dai cori illustri di cui sopra), Bobby Jean, Dancing in the Dark. Chiude la festa intergenerazionale Tenth Avenue Freeze-Out con Bruce che – noncurante di un fisico sempre massiccio ma ovviamente meno “prestante” – si sbottona la camicia in stile incredibile Hulk, con un ironico moto di eros verde.
«Us estimem!», vi amiamo, dice in lingua catalana il rocker del New Jersey all’amato popolo di Barcellona. Un gruppo di genovesi a me vicino mormora con sarcasmo un cliché fantozziano che in italiano suona consonante: «Ragazzi, vi stimo tantissimo». Anche di battute sono fatti i concerti.
La sera del 30, domenica, dopo molta pioggia il clima si è rasserenato. E questa serenità sembra abbia pervaso la serata e i musicisti che hanno suonato per le loro tre ore d’abitudine con un piglio più rilassato e piacevole. Non è stata la grande soirée del debutto europeo – per gli amanti del gossip questa volta c’era Tom Hanks che da grande fan ha cantato ogni singola canzone in scaletta – ma musicalmente è stata di migliore qualità. A partire dall’attacco affidato per la prima volta nel tour a My Love Will Not Let You Down e a qualche dinamico cambio di scaletta con Johnny 99 da Nebraska, Ramrod da The River (con Stevie – molto più presente e in forma di venerdì – e Bruce a inscenare la gag dove guardano in camera come due pazzi stralunati) e Trapped, cover di Jimmy Cliff spesso presente nei suoi concerti.
Riepilogo. Bruce e i suoi non si sono risparmiati e non lo faranno fino alla fine del tour. Questa è una quasi-certezza. Perché sudare fino all’ultima goccia – come l’agente di Wong Kar-wai – è la loro virtù più preziosa. Nei testi e nei commenti in stile recital durante lo spettacolo, Springsteen parla di vita e di morte, inneggia al carpe diem, ricordando di volersi bene, di amare i propri cari, di celebrare la vita perché col passare degli anni i “ciao” o i “domani” si fanno più radi, soppiantati dagli “arrivederci” e dagli “addii”.
Nonostante la grande musica, l’ottima forma di Springsteen e quella capacità inestricabile di aver saputo conservare e tramandare con le sue canzoni il fuoco di un’eterna giovinezza, le domande si affollano. Manca qualcosa? Per ora sì… È venuta meno l’urgenza espressiva che era connaturata a concerti più variegati, cambi dell’ultimo momento, più interconnessi con le richieste dei fan che brandivano in mano i loro cartelloni e, fino a qualche anno fa, li lanciavano sul palco e in una riffa improvvisata gestita dal Boss, si smontavano e rimontavano scalette, si sentivano rarità. Ogni concerto era un’avventura. Bruce stesso alternava il party per famiglie a un’attitudine più punk, più ruvida e ombrosa che blandiva il fan duro e puro amante dei dischi fino a Nebraska.
Si vedrà nelle prossime tappe del tour se questo approccio più rigido del solito si modificherà, una volta presa maggiore confindenza. Poi, di certo, con lo stupore di molti (il bollettino più famoso delle notizie su Springsteen, Backstreets.com ha addirittura chiuso i battenti) è venuta meno un po’ di quell’integrità morale che è stato un fondamento dell’etica di Springsteen. I prezzi elevatissimi di una bella percentuale dei biglietti venduti del tour, “grazie” a strumenti indecenti come i prezzi dinamici (leggasi: Ticketmaster) sono stati uno scandalo per la platea di chi segue le gesta di Bruce sempre incline a comprendere le istanze di un pubblico popolare. Venendo alle cose più spicciole delle due serate catalane: una birra costava la bellezza di 10 euro, una T-shirt ufficiale 50 euro. Ma queste sono solo crepe, danni consueti di noi esseri umani. La natura estetica è intatta. Ed è incredibile che lo sia ancora.
Ma la vera domanda, quella che tutti i fan del Boss si fanno, forse è un’altra: il sogno springsteeniano sta volgendo al termine? E qual è la sua data di scadenza?