Era l’8 maggio del 1963 quando Dr. No, meglio conosciuto in Italia come Agente 007 – Licenza di uccidere, arrivava nelle prime sale americane. Una distribuzione limitata, che si sarebbe poi ampliata a fine mese a New York e Los Angeles. Erano passati sette mesi dal debutto cinematografico dell’agente al servizio segreto di Sua Maestà britannica James Bond, matricola 007 (con il doppio zero che sta ovviamente a identificare il fatto che ha facoltà di eliminare chiunque si metta tra lui e il compimento della missione). Il debutto in patria, inteso come Regno Unito, è datato infatti 5 ottobre 1962, e addirittura sarebbe arrivato prima in Italia che negli Stati Uniti, il 9 febbraio del 1963. Insomma, tanti compleanni per il protagonista della saga cinematografica più longeva della storia, nato dalla penna di Ian Fleming, ex agente dei servizi segreti britannici anch’egli.
Fleming fu tra gli architetti della Operation Mincemeat, che nel corso della Seconda guerra mondiale sviò i tedeschi sull’esatta ubicazione dello sbarco degli alleati in Italia. Dalla storia è stato tratto un buon film uscito l’anno scorso, in Italia con il titolo L’arma dell’inganno. Con ambizioni da scrittore sin da quando indossava la divisa, Fleming fa nascere il suo alter ego letterario nel 1953. È Casino Royale il primo romanzo di 007, ancora oggi lettura affascinante per atmosfere, scrittura e situazioni. Dr. No è la sesta missione di James Bond, pubblicata nel 1958, e altrettanti ne sarebbero seguiti, gli ultimi due pubblicati postumi perché Fleming non ha potuto godere, purtroppo, del successo cinematografico della sua creazione. Fu stroncato da un infarto il 12 agosto del 1964, conseguenza di una vita in cui non si è mai fatto mancare alcol e nicotina in quantità. Come Mr. Bond, d’altronde.
Come tutti i film che hanno segnato l’immaginario collettivo, anche Licenza di uccidere ha tante storie da raccontare, dalle iniziali difficoltà produttive alla scelta dell’attore protagonista, che sarebbe dovuto diventare l’essenza stessa di James Bond negli anni a seguire. Sean Connery all’epoca aveva 31 anni, un rispettabile curriculum di seconda fascia il cui maggiore successo era un film della Disney diventato negli anni cult per gli appassionati del genere, Darby O’Gill e il re dei folletti. Scozzese ruvido dalla magnifica presenza scenica, l’attore si trasformò in James Bond con naturalezza, indossando uno smoking e accendendosi una sigaretta con uno stile unico. È così che facciamo la conoscenza di 007 nel film, seduto a un tavolo da gioco e pronto a sfruttare il suo fascino irresistibile nei confronti del gentil sesso.
Licenza di uccidere fu un successo, Connery diventò immediatamente una star di livello mondiale, tanto che il personaggio iniziò presto a stargli stretto, soprattutto dopo le belle interpretazioni diretto da due maestri come Sidney Lumet (La collina del disonore, 1965) e Alfred Hitchcock (Marnie, 1964). Ma questa è un’altra storia. La storia di Licenza di uccidere è invece fatta di un bikini, quello di Ursula Andress che interpreta l’intrepida Honey Rider, delle esotiche ambientazioni giamaicane (Fleming si era trasferito a vivere lì una volta andato in pensione), di un cattivo rimasto impresso nella memoria e di un personaggio che in piena Guerra Fredda deve combattere un’organizzazione segreta mondiale, la SPECTRE, che ha come unico obiettivo portare il caos tra i blocchi contrapposti.
Bond era l’eroe di cui il mondo aveva bisogno, quello che con le sue gesta avrebbe risolto la crisi dei missili di Cuba e salvato la vita a JFK, il reverendo King e Bobby Kennedy. Non è successo niente di tutto questo, la Storia è andata avanti e 007 ci si è adattato, cercando di non svilirsi troppo, soprattutto nei confronti delle donne. Una volta caduta la cortina di ferro ha trovato nuovi nemici da combattere, tanto quelli non mancano mai, sempre bloccati a sette secondi dal compimento del loro diabolico piano. Ha cambiato molti volti, è diventato sempre più umano, fino all’apoteosi del regno di Daniel Craig. E adesso non c’è più. Per il momento, naturalmente. Perché, nonostante quanto accaduto in No Time to Die, 007 è immortale come tutti i grandi eroi, bisogna solo trovare l’uomo giusto che lo possa incarnare, a seconda dei tempi che corrono. E sottolineiamo uomo, perché, al netto dei molti pettegolezzi, Barbara Broccoli, figlia di Albert “Cubby” e con Michael G. Wilson erede dell’impero EON Pictures che produce il franchise, ha più volte ribadito che non è sua intenzione trasformare il personaggio al femminile.
E quindi aspettiamo che arrivi un nuovo James Bond, districandoci tra i molti nomi che si stanno rincorrendo da diciotto mesi o giù di lì. In questi primi mesi del 2023 sembrava che la scelta fosse caduta su Aaron Taylor-Johnson, 33 anni a giugno, britannico, affascinante e talentuoso, come ha dimostrato in Animali notturni di Tom Ford, e molto avvezzo all’azione (Kick-Ass, Bullet Train). I soliti bene informati lo davano come praticamente certo, dopo due provini segreti andati benissimo. Ma adesso sembra essere tornato prepotentemente in corsa Richard Madden, protagonista di quel mezzo disastro che è Citadel, la spy-series dei fratelli Russo, che in un video in cui lo vediamo in compagnia di Stanley Tucci (anche lui nel cast della serie Prime Video) scherza, ma non troppo, sul fatto che potrebbe essere lui l’erede di Daniel Craig. E visti i commenti, i fan apprezzerebbero. Bisogna vedere se la storica casting director della saga, Debbie McWilliams, sarà dello stesso avviso. In un’intervista rilasciata alcuni mesi fa, Debbie ha detto che probabilmente il nuovo Bond sarà un attore poco noto, intorno alla trentina. Madden ne compirà 37 a giugno e, per quanto conosciuto, non è esattamente uno di quelli di cui tutti riconoscono la faccia, quindi diamolo ancora in corsa.
Altra questione è invece chi sarà a creare la nuova Età del Bond sullo schermo. C’è chi scommette su Phoebe Waller-Bridge, che dopo il successo di Fleabag è diventata uno dei grandi misteri dell’industria audiovisiva mondiale. Ha tirato fuori un prodotto di successo, Killing Eve, e un sonoro fiasco come Run, serie HBO cancellata dopo una stagione. È stata scelta come co-sceneggiatrice di No Time to Die al fianco del regista Cary Joji Fukunaga e degli esperti Neil Purvis e Robert Wade, padri del Bond contemporaneo. Del suo contributo si sono accorti in pochi. Prossimamente la vedremo dividere lo schermo con Harrison Ford nel quinto capitolo di Indiana Jones, mentre Prime Video le ha appena rinnovato un contratto stipulato nel 2019 e che ha portato nel conto corrente di Phoebe 60 milioni di dollari in tre anni per non fare niente. E altrettanti ne riceverà nel prossimo triennio, al momento per sviluppare una serie tratta dalla saga videoludica di Tomb Raider. Lara Croft o James Bond? Ai posteri, e a Barbara Broccoli e Michael Wilson, l’ardua sentenza. Noi intanto aspettiamo e celebriamo ogni anniversario che ci possa ricordare che l’agente 007 al momento sta bevendo vodka martini da qualche parte e aspetta solo la missione giusta per salvare il mondo. E anche il box office mondiale.