Fa un po’ impressione dirlo ma sì, il Primavera barcellonese è diventato un po’ come il Coachella californiano: un festival dalla potenza immensa, uno che detta la linea, che è al centro dell’immaginario collettivo. Una major dell’intrattenimento globale. E se il senso del business degli americani non ha bisogno di troppe conferme, è invece in fondo sorprendente che una simpatica adunata indie di di ridotte dimensioni (sì, le prime edizioni del Primavera erano negli spazi nemmeno troppo ampi del Poble Espanyol, la città finto-medievale sulla parte bassa del Montjuïc) si sia trasformata, anno dopo anno, in un gigante mondiale che tutto ha e tutto fa. Lo ha fatto però con criterio: sempre inseguendo non il gusto dell’ascoltatore-a-caso, ma quello di chi invece fa della musica una questione molto, molto importante. Da trattare quindi con amore, notevole conoscenza e rispetto. Una differenza non piccolissima.
Ecco: che amore, conoscenza e rispetto e pure “senso della nicchia” possano una tantum andare d’accordo col gigantismo e col business, beh, è una bellissima notizia per tutti. A questo traguardo non si arriva però gratis, o per forza d’inerzia: da sempre nella crew del Primavera Sound c’è infatti una maniacale attenzione a non perdere mai di vista la musica come valore in sé e come fattore di elevazione sociale e culturale, oltre che come volano di fatturati. Esempi concreti? Proprio ciò di cui parliamo qui: aver dato vita da qualche anno al distaccamento Primavera Pro è infatti una prova provata di tutto questo.
Sì: perché il Primavera Pro non porta biglietti (tanto quelli si vendono comunque, con le line up siderali del festival vero e proprio); non porta incassi (è più quello che se spendi a far arrivare i vari delegati per panel, conferenze e dintorni); non porta credibilità più di quanto ne possa già avere il Primavera stesso con le sue dimensioni e la sua crescita (è un tale player globale che è nella posizione di essere ascoltato e rispettato da tutti proprio a prescindere). Eppure, il Primavera Pro c’è, esiste, lotta assieme a noi, ed è qualcosa di cui il team tutto che porta avanti il festival è parecchio fiero. Anzi – ultimamente ci tiene sempre di più a rafforzarlo.
Dal 31 maggio al 4 giugno 2023 (coincidente quindi col Primavera Sound vero e proprio), il Primavera Pro occuperà non solo alcuni spazi del gigantesco Parc del Forum con un po’ di live scrupolosamente selezionati ma avrà vita anche nel più raccolto – e molto più centrale, rispetto alla città – CCCB, il grande complesso dedicato alle arti contemporanee incastonato nel Raval (il posto insomma dove per anni si è svolta anche la parte diurna del Sónar, più di qualcuno di voi che leggete ci sarà passato).
Un fittissimo programma di workshop e panel, recuperabile sul sito ufficiale del Pro, si intreccerà con gli showcase di una sessantina circa di gruppi provenienti da mezzo mondo, selezionati dopo un confronto ed una collaborazione con vari network e partner istituzionali. L’Italia è un esempio virtuoso: porterà ben quattro live act (European Vampire, Dagger Moth, Guatemala, RIP) e in generale la sua presenza al Pro sarà il risultato degli sforzi congiunti delle quattro realtà istituzionali che più e meglio stanno lavorando per il rock e l’indie in senso lato (…lì dove di solito le istituzioni vedono solo classica, opera, jazz, o le feste da strapaese in piazza coi dinosauri bolliti). Ovvero la ER Music Commission emilano-romagnola, LAZIOsounds, Puglia Sounds e Italia Music Export.
Qualche numero: gli operatori professionali in campo musicale accreditati al Pro – si tratta infatti in primis di una cosa rivolta agli addetti ai lavori – saranno con ogni probabilità oltre 3000, gli showcase come detto quasi una sessantina, le nazioni coinvolte suppergiù un centinaio, con focus oltre che sull’Italia anche su Cile, Lituania, Taiwan, Nuova Zelanda, Hong Kong, Austria, Argentina. Ci si troverà tutti quanti per affrontare temi oggi molto “pop” (come AI, web3…) ma anche per confrontarsi su strategie (di crescita e/o di sopravvivenza), criteri (di qualità prima ancora che di quantità), prospettive.
Davvero: numeri alla mano, il Primavera poteva farne tranquillamente a meno di questa declinazione Pro. Eppure troviamo che sia importantissima: è la dimostrazione di come si senta ancora molto “parte di una scena”. Certo, allargata, allargatissima, come scena; non sono più gli happy few che pretendono il concerto degli Shellac o piantano un casino. Chiaro. Ma anche coi numeri faraonici che fa adesso, il Primavera è e continua ad essere il festival di massa col maggior numero di fan degli Shellac presenti e paganti, in termini assoluti. Che poi ci ormai ci sia di tutto in cartellone, non solo l’indie-vecchio-stile, è un po’ il segno dei tempi. Basta guardare in Italia. Un tempo “indie” era un perimetro ben preciso. Oggi è (anche) i baffi e i mustacchi di Tommaso Paradiso amorevolmente intervistati da Mara Venier. Ma anche di questo, sarà divertente parlarne al Pro. Noi, ci saremo. E avremo modo di raccontarvi come butta.