Si aprono le danze a Cannes 2023, con l’usuale parata di star sul tappeto rosso del Festival, deciso quest’anno a recuperare terreno nei confronti del rivale di sempre, la Mostra del Cinema di Venezia. Il direttore artistico Thierry Frémaux già durante la conferenza di stampa di presentazione non le ha mandate a dire al cinema italiano, sottolineando di avere preso il meglio di un’industria che non può competere con quella francese. Dopo avere visto il film d’apertura, Jeanne du Barry, qualche dubbio sorge spontaneo sulla veridicità dell’affermazione. Ma andiamo con ordine.
Senza girarci troppo attorno, oggi era il giorno del grande ritorno in società di Johnny Depp, il figliol prodigo che vuole farsi perdonare e riprendersi il posto che una volta gli spettava di diritto. L’arrivo di Jack Sparrow è stato come sempre tumultuoso, a partire dalle polemiche sulla presenza stessa del film a Cannes, visto che in Francia vige adesso una regola per cui i film a cui partecipano persone accusate di comportamenti inappropriati non possono correre a premi o partecipare a eventi. Il direttore artistico del Festival Frémaux aveva già detto la sua in proposito in conferenza, dicendo di non essersi minimante interessato al lungo processo che ha visto Johnny contro l’ex moglie Amber Heard e che a suo parere il film poteva andare tranquillamente anche in concorso, aggiungendo che la scelta di prendere Depp come protagonista del film è stata della regista.
Insomma, un po’ di gossip ufficiale per accogliere al meglio sul tappeto rosso quello che una volta era uno degli uomini più sexy del mondo e che adesso, nonostante abbia perso qualche chilo e fatto un giro di punturine per rivitalizzare il viso, sembra quello che in fondo è, un affascinante uomo di mezza età. Che non ha perso però l’animo della rockstar, che con pochi gesti ben piazzati è riuscito a far impazzire tutti di nuovo nel giro di pochi minuti. Occhiali scuri, tolti al momento giusto a favore dei fotografi, a svelare quello sguardo, incorniciato da un tocco di make-up, che ha fatto impazzire un paio di generazioni di spettatori e spettatrici. Gli scatti di rito, e poi l’ingresso in sala, tra un saluto, un ammiccamento e un occhiolino, una scena che curiosamente si replica proprio nel corso del film quasi con gli stessi movimenti. E sì, caro vecchio Johnny, sai ancora cosa vuol dire essere Re.
La cerimonia di inaugurazione, seguita alla sfarzosa sfilata di attori e registi sulla Montée des Marche, la scalinata che porta alla Sala Lumière del Palais des Festivals, è stata condotta da Chiara Mastroianni, che con grande e consumata professionalità ha presentato la giuria e il suo presidente, il due volte vincitore della Palma d’oro Ruben Östlund (nel 2017 con The Square e l’anno scorso con Triangle of Sadness). Il simpatico cineasta svedese ha anche cercato di intrattenere il pubblico con numeri da stand-up comedian consumato, ma la compostezza dell’evento evidentemente non lasciava molto spazio alla leggerezza. La cosa importante è che abbia ribadito l’importanza della visione in sala collettiva dopo l’egemonia delle piattaforme scaturita dalla pandemia. Da un graffiante autore come lui ci saremmo aspettati qualcosa di più originale, ma accontentiamoci. Dopo un intermezzo musicale abbastanza superfluo nell’economia della serata, arriva il momento clou, la Palma d’oro alla carriera a Michael Douglas (accompagnato sul red carpet dalla moglie Catherine Zeta-Jones e la di loro splendida figlia), che verrà ricordata probabilmente per il peggior video celebrativo di sempre, in cui mancavano film di un certo spessore come Qualcuno volò sul nido del cuculo e Sindrome cinese (entrambi prodotti da Douglas). Ci ha pensato poi il figlio di Kirk, dopo aver ricevuto il premio dalle mani di una rediviva Uma Thurman, a mettere le cose a posto. Un pezzo di storia del cinema che ci ha tenuto a ricordare i maestri che lo hanno formato, in particolare Karl Malden, a cui faceva da spalla nella serie Sulle strade di San Francisco, e naturalmente il leggendario padre.
Ad aprire ufficialmente il Festival ha provveduto la protagonista del manifesto ufficiale di quest’anno, Catherine Deneuve (mamma di Chiara Mastroianni, una bella riunione di famiglia). Il tempo di un po’ di imbarazzo sul palco a causa di una regia televisiva non proprio lucidissima, ed ecco finalmente che si abbassano le luci per cominciare a vivere la lunga maratona di film che si concluderà il 27 maggio con la proclamazione del palmarès. Sperando che la situazione migliori prontamente, perché se dovesse essere vero l’antico adagio che il buongiorno si vede dal mattino, allora non siamo messi benissimo.
Jeanne du Barry è il sesto lungometraggio diretto da Maïwenn, artista franco-algerina con una lunga carriera alle spalle, amatissima in Francia e in particolare da Cannes, dove sono andati in concorso i suoi ultimi quattro film, vincendo anche premi importanti. L’avere scelto Johnny Depp per interpretare Sua Maestà Luigi XV ha sicuramente aiutato la decisione di averlo come film d’apertura, ma non è stata sufficiente per concorrere anche quest’anno per i premi. Jeanne du Barry era una cortigiana che, grazie alle sue abilità e al suo amore per la cultura, entrò nelle grazie del sovrano, diventandone poi la favorita. Una figura per molti versi affascinante, interpretata dalla stessa Maïwenn in età adulta, e una storia dalle grandi potenzialità. Che in effetti l’attrice e regista coglie, inserendo in quello che è un biopic a tutto tondo una satira anche feroce dell’esercizio del potere e dei secolari privilegi di casta. Il tutto però non supportato da una forma cinematografica all’altezza. Nonostante lo sfarzo della produzione, Jeanne du Barry fa venire più volte alla mente le immortali parole di René Ferretti quando ricorda il suo lavoro su Caprera. La messa in scena, dalla regia al montaggio a, soprattutto, la fotografia è quella di un prodotto molto contemporaneo, leggi Netflix, che guarda caso ha una compartecipazione (alla faccia del Festival che non vuole i film della piattaforma).
Il redivivo Johnny fa il suo, che a dire il vero al cinema è da tempo equivalente al minimo sindacale, ma è sufficiente a essere comunque una spanna sopra il resto del cast. Recita in un ottimo francese (d’altronde ha passato gran parte della vita al fianco di Vanessa Paradis), ed è perfettamente nella parte, quella di un uomo costretto a vivere sotto perenni riflettori e che deve rendere conto a una corte che vuole solo nutrirsi al suo generoso seno. Una condizione che ha conosciuto sin troppo bene. E sembra trasparire in lui la consapevolezza degli errori passati, oltre che una sorta di confessione a posteriori, quella di avere amato sinceramente la donna che gli ha fatto abbandonare la famiglia, la suddetta Amber. Peccato che, al contrario di Jeanne, gli abbia rovinato la vita. Questa trasfigurazione autobiografica – che forse il motivo per cui, alla fine della proiezione, Johnny si è lasciato andare a un pianto in sala – è senza dubbio la parte più interessante di un film che di mancanze ne ha invece molte, a partire dalla protagonista, che è riduttivo definire sopra le righe.
Johnny Depp is teary-eyed as “Jeanne du Barry” receives a seven-minute standing ovation following its premiere at #Cannes2023. https://t.co/vCSwNkhYVL pic.twitter.com/NAigHMBwny
— Variety (@Variety) May 16, 2023
Maïwenn si aggira per Versailles con un sorriso inquietante perennemente stampato sul viso, solo ogni tanto sostituito dalla mestizia della sua condizione di cortigiana rifiutata dalla corte. Vorrebbe essere Vivienne Westwood, sembra più Harley Quinn dopo un elettrochoc, ma anche una Cenerentola senza lieto fine, come sottolineato dal look delle figlie del re, agghindate come le perfide sorellastre della fiaba. Su tutto poi aleggia il fantasma di Maria Antonietta, non quella abbastanza insipida che come impone la Storia incontriamo a un certo punto del film, bensì quella di Sofia Coppola, film a cui Maïwenn stessa ammette di essersi ispirata, e in cui Jeanne era interpretata da una bravissima Asia Argento. In entrambi i casi, confronti che è meglio non approfondire.
Nel complesso, a parte aver riportato Depp sulla Croisette, Jeanne du Barry è una falsa partenza per Cannes 2023, sottolineata dall’accoglienza educatamente gelida al termine della proiezione per la stampa. Poi, naturalmente, sarà un trionfo. Ma quella è un’altra storia.