‘The Idol’ is burning
Chiacchieratissima ancora prima del suo debutto, la serie creata da ‘Mr. Euphoria’ Sam Levinson e The Weeknd, starring quest’ultimo e Lily-Rose Depp, è un viaggio di sola andata nel lato oscuro dell’industria discografica, con sesso, droghe, violenze, eccessi e tutto quello che serve per fare scandalo. Ne abbiamo parlato con i protagonisti all’anteprima mondiale di Cannes, prima dell’arrivo in Italia su Sky e NOW
Foto: HBO
È stato uno degli eventi più attesi e mediaticamente coperti del Festival di Cannes 2023, un tappeto rosso di mezzanotte per presentare al mondo The Idol, serie chiacchieratissima – in Italia dal 5 giugno in streaming solo su NOW e disponibile anche su Sky – pure prima di vederne anche solo mezza immagine per sbaglio. Ma non poteva essere altrimenti, dato che si tratta della nuova creatura di Sam Levinson. Nello specifico, l’autore di Euphoria, la serie che ha ricreato Zendaya, portandola dalla dimensione Disney a quella di peccaminoso sogno per uomini e donne e di tutte le età. Ma andiamo per ordine. Sam Levinson: chi era costui? Perché nel giro di quattro anni è passato dall’essere un quasi perfetto sconosciuto a uno dei profeti della serialità?
Intanto, cominciamo col dire che Levinson non porta questo cognome per caso. È il figlio di Barry, premio Oscar per Rain Man e regista di tanti altri film di alto livello come Sleepers, Good Morning, Vietnam, Rivelazioni, tanto per citarne tre a caso. Sam esordisce al cinema a 7 anni come giovane attore in Toys, al fianco di Robin Williams (che in quel film indossava la giacca multiuso inventata da Giancarlo Giannini). Si è fatto la sua gavetta, il ragazzo, esordendo poi alla regia nel 2011 con Another Happy Day e scrivendo anche per il padre (ha co-sceneggiato The Wizard of Lies, il biopic su Bernie Madoff con protagonisti Robert De Niro e Michelle Pfeiffer). Dopo la sua seconda regia, Assassination Nation, è arrivata la bomba.
Euphoria in realtà nasce da una serie israeliana con lo stesso titolo andata in onda nel 2012. Levinson la prende e ne fa un manifesto dei nuovi teenager americani. Addio Beverly Hills 90210, ciao ciao One Tree Hill, Dawson l’hanno preso a colpi di crick e John Hughes è lontano un secolo. Gli adolescenti di Euphoria fanno tanto sesso, si drogano, bevono, vengono abusati, picchiati, violentati, non hanno un rapporto con la famiglia e non sanno che posto hanno o avranno nel mondo. Tutto raccontato nello stile HBO, in modo molto esplicito, con tanta carne esposta, un linguaggio diretto e anche crudo, trasformando la stellina per famiglie Zendaya in un oggetto del desiderio per cui sentirsi sporchi. E non solo lei, perché dalla serie sono venute fuori un bel po’ di nuove stelle, da Sydney Sweeney a Barbie Ferreira a Storm Reid. Due stagioni, una terza che arriverà forse nel 2025, dato che ancora non ne sono iniziate le riprese e che a causa dello sciopero degli sceneggiaturi non sono per il momento nemmeno all’orizzonte.
Ma Levinson nel mentre ha avuto il tempo di girare un film durante il lockdown, Malcolm & Marie, con protagonisti ancora Zendaya e John David Washington, film che è in qualche modo l’anticamera di The Idol, storia di come il successo influisca sui comportamenti delle persone, in questo caso un regista e sceneggiatore e la sua compagna. Produzione a bassissimo budget andata direttamente su Netflix, dove il film è stato molto visto in 190 Paesi nel mondo, come direbbe Nanni Moretti, con pareri discordanti sulla riuscita, ma unanimi plausi nei confronti della performance della protagonista.
Era il 2021, e in quegli stessi mesi Levinson inizia a parlare con Abel Makkonen Tesfaye, meglio noto come The Weeknd, cantante e produttore discografico canadese che nonostante i suoi 33 anni già vanta una carriera di successi più che decennale. L’idea è semplice: The Weeknd vuole raccontare tutto quello che si nasconde dietro una giovane artista musicale, un mondo fatto di grandi interessi economici, violenze fisiche e psicologiche, eccessi di sostanze e di comportamenti, sesso, scandali e, soprattutto, di come i soldi uccidano l’arte. Levinson ascolta, gli piace tutto e ci mette il suo. Così nasce The Idol e la storia di Jocelyn, una giovane stella del pop che deve riconquistare la scena dopo un esaurimento nervoso, conseguenza della prematura morte della madre a causa di un tumore. Un tour cancellato, tanto tempo lontano dai riflettori, con il gossip che alimenta dubbi sulle reali possibilità che possa tornare a esibirsi a causa della sua sanità mentale. Come dite, vi ricorda qualcuno? Sì proprio lei, l’unica e sola Britney, che viene citata dopo più o meno 7 minuti (vado a memoria, non mettetevi lì col cronometro) dall’inizio del primo episodio.
Dietro Jocelyn c’è una macchina inarrestabile, dalla discografica ai manager agli addetti alla comunicazione, passando per la coreografa, gli assistenti personali, i consulenti creativi, le giornate di riprese per i videoclip, le prove dei balletti, eccetera eccetera. Quello che manca, paradossalmente, è proprio la musica, almeno quella che vorrebbe fare Jocelyn, perché per il suo ritorno non ci si può affidare al talento, bisogna essere scientifici, la hit deve essere un successo, non c’è spazio per le artistiche bizze di una ragazzina. Almeno fin quando Jocelyn non incontra Tedros, leader di una setta dal passato torbido e misterioso. Tra i due c’è subito un’intesa sessuale selvaggia che libera anche il desiderio di Jocelyn di riprendere in mano la sua vita e metterne insieme i pezzi. Ma Tedros è un uomo pericoloso, dietro al quale potrebbe perdersi per sempre.
Queste, in sintesi, le premesse di The Idol, che racconta molto bene quello che c’è dietro un artista musicale oggi, e Levinson non perde l’occasione di raccontare la storia di questa moderna Cappuccetto Rosso dello showbusiness a modo suo. Tanta pelle scoperta, sesso, droghe, alcol, revenge porn, abusi psicologici e fisici, insomma Euphoria traslato nell’industria musicale. E per lanciare un prodotto così potente non poteva esserci palcoscenico migliore del più prestigioso al mondo, il Grand Théâtre Lumière del Palais des Festivals di Cannes. Le serie presentate sulla Croisette si contano sulle dita di una mano, Levinson entra in un club speciale al fianco di David Lynch, Marco Bellocchio, Nicolas Winding Refn (e Marco Tullio Giordana, perché La meglio gioventù spiccò il volo proprio a Cannes molti anni fa).
E poi, rigorosamente dopo la mezzanotte, è arrivato per il cast il momento di festeggiare alla grande, con un party super esclusivo (noi c’eravamo) con red carpet, champagne a fiumi, musica, glamour e anche un deejay d’eccezione: The Weeknd in persona. E naturalmente, a guardare i suoi già adoranti proseliti, la donna che ha dato corpo e spessore a Jocelyn, la giovane attrice cresciuta guardando cosa il successo ha fatto alla sua famiglia: Lily-Rose Depp, figlia di Johnny e Vanessa Paradis. Una che sa che essere un idolo può farti perdere la testa, come ha raccontato lei stessa a Cannes. «Assolutamente, ma credo che molto dipenda dal tipo di persona che sei, da quelle che ti circondano e da come scegli di vivere la situazione. La fama è un effetto collaterale del fare ciò che ami». Lily-Rose ha conosciuto molto bene Jocelyn, diventata parte di sé. «Lavora da quando era bambina, è cresciuta molto in fretta e non ha avuto un’infanzia normale, tutte cose che hanno contribuito a renderla la giovane donna che è diventata».
Per un’attrice, per quanto figlia d’arte che ancora si deve affermare, il ruolo di Jocelyn è da una parte un’occasione unica da prendere al volo, dall’altro un rischio incredibile. Ma su questo la giovane Depp ha le idee molto chiare. «Rischiare non mi spaventa, e sono sempre stata interessata a cose che forse non sono per tutti o provocatorie. Ma più di ogni altra cosa, trovo che Jocelyn sia un personaggio affascinante, complesso e così pieno che mi ha dato la possibilità di immergermici emotivamente. È il sogno di un’attrice e mi sono data pizzicotti tutto il tempo pensando: “Non riesco a credere di poter essere lei”. È stato divertente, stimolante, e mi sono sentita molto forte insieme a lei, conoscendola e riempiendola con parti di me stessa e anche con cose che non mi appartengono affatto».
24 anni appena compiuti, Lily-Rose ha una carriera cinematografica in progressione, ma a dispetto del glamour e del fashion, la persona a cui probabilmente deve di più è quel geniaccio del New Jersey di Kevin Smith, che la fece esordire in Tusk, il primo horror della Far North Trilogy in cui interpreta la, guarda un po’, commessa Colleen Collette, personaggio che avrebbe poi ripreso nel successivo Yoga Hosers e nell’imminente finale Moose Jaws. In tutti e tre recita al fianco del padre Johnny. La prima consacrazione a Cannes l’ha avuta con La danseuse (Io danzerò) nel 2016, biopic sulla vita della ballerina e coreografa Loïe Fuller in cui lei interpretava nientemeno che Isadora Duncan, una delle più grandi danzatrici di tutti i tempi. Destino? Lo vedremo, fatto sta che in sette anni la carriera di Lily-Rose ha preso il volo. Noi l’abbiamo adorata nell’Uomo fedele, bel film di e con Louis Garrel (dov’è la novità?) e in Silent Night, commedia horror sci-fi nerissima della britannica Camille Griffin colpevolmente mai giunta in Italia, in cui recita al fianco di Keira Knightley e Matthew Goode. Ma è stata anche al fianco di Timothée Chalamet, per breve tempo anche suo boyfriend, nel Re di David Michôd (lo trovate su Netflix) e prossimamente la vedremo in The Governesses, film dall’alto tasso di erotismo prodotto da A24 e in cui divide la scena con Renate “La persona peggiore del mondo” Reinsve e poi nell’atteso Nosferatu di Robert Eggers, le cui riprese sono finite da pochi giorni.
L’oggetto del desiderio di Jocelyn, Tedros, è interpretato dallo stesso creatore della serie, The Weeknd, «una specie di Dracula che vuole attirare nella sua rete Jocelyn». Il cantante ha detto che The Idol è stata scritta con l’intenzione di «creare qualcosa di speciale, che facesse divertire il pubblico e incazzare qualcun altro. Volevo raccontare una fantasia oscura e contorta sull’industria musicale, prendere tutto quello che so su di essa e amplificarlo». Ed è esattamente quello che ha fatto insieme a Sam Levinson. The Idol è una serie che va da Showgirls a Whiplash passando per 9 settimane e ½, e se da una parte l’estrema sessualizzazione del contesto ha scatenato molte critiche, dall’altra c’è da dire che tutto è costruito per mettere alla berlina un mondo in cui la mercificazione del corpo è diventata da tempo il migliore strumento di marketing per vendere dischi (pochi), biglietti dei concerti (tanti) e soprattutto l’immagine del talent, sempre pronto a mettere nome e faccia su un profumo, un paio di scarpe o un paio di mutandine sexy, di qualunque genere esso sia.
Levinson questo lo sa benissimo. «Viviamo in un mondo molto sessualizzato. Soprattutto negli Stati Uniti la pornografia influisce fortemente sulla psiche dei giovani. È un fenomeno che è evidente nella musica pop: quando un personaggio ha un forte senso di sé e al contempo una potente carica sessuale, si finisce per sottovalutarlo come artista». Nonostante, come detto, Britney sia citata nel primo episodio, il regista nega che sia lei la fonte d’ispirazione per il personaggio di Jocelyn. «Non stiamo cercando di raccontare la storia di una popstar in particolare. Quello che ci interessa è come il mondo la percepisce, e la pressione che esercita su di loro. Jocelyn non è ispirata a Britney Spears, che in ogni caso considero una delle più grandi popstar di tutti i tempi».
Attorno a Jocelyn si muove una vera e propria corte, con una gerarchia e dei ruoli precisi. A capo di tutto c’è Nikki Katz, potente e spietata executive producer della discografica che ha sotto contratto la giovane gallina dalle uova d’oro. La interpreta Jane Adams, attrice favorita di Todd Solondz, protagonista di Happiness e Life During Wartime (Perdona e dimentica). Attrice di grande talento che siamo stati abituati a vedere in ruoli ben diversi da questo. Nikki è semplicemente una stronza. «Sì, è vero», mi ha confermato Jane a Cannes. «Lo deve essere, è un mondo brutale quello in cui lavora. E per sopravvivere, deve essere una dura. Ma penso anche che ci sia bisogno di persone come lei, qualcuno che dica cosa non funziona o cosa si deve cambiare. Lei non ha problemi a farlo, ed è parte della ragione per cui Jocelyn ha così tanto successo. L’industria del cinema e quella musicale sono complesse, ma non diverse da altre. In un ristorante a cinque stelle c’è ugualmente molta pressione, è quello che succede quando si ha a che fare con persone molto brave nel loro lavoro e quando ci sono molti soldi in ballo».
Jane si è molto calata nella parte, tanto che ha difeso a spada tratta la giovane protagonista della serie da chi ha criticato le sue molte scene di nudo. Quando ne abbiamo parlato si è piuttosto infervorata. «Non capisco, non mi sembra nemmeno reale. Sono indignati, sono sconvolti… ma per cosa? Specialmente in Francia e in questo festival, in cui le belle donne nei film non sono mai mancate, la gente ha un problema con tutto questo? Ne ho abbastanza, sono arrivati a censurare le parole che possiamo usare e pensare. Non posso lavorare in questo modo. Sono un’attrice, mi piace fare cose divertenti e per farle devo poter dire cose che potrebbero offendere qualcuno. Se vengo censurata non mi è possibile. La stessa cosa vale per Lily-Rose».
Hank Azaria, attore raffinato, visto in molti film al fianco di Ben Stiller e soprattutto voce di Boe (Moe) nei Simpson e di altri probabilmente trecento personaggi nel corso della serie, interpreta Chaim, uno dei manager di Jocelyn, ma le due persone realmente più vicine alla ragazza sono Leia, la sua assistente personale (interpretata da Rachel Sennott, lanciata dal notevole esordio di Emma Seligman, Shiva Baby), e Xander, il suo direttore creativo. Ne veste i panni uno che l’industria musicale la conosce bene dall’interno, la popstar australiana Troye Sivan. «Sì, in quindici anni ho visto alcune cose che ho ritrovato in alcuni dei personaggi di The Idol, e anche alcune dinamiche che ho vissuto personalmente. Di contro, posso dire che la mia vita non ha mai avuto niente a che fare con quella di Jocelyn», ci ha detto Troye quando abbiamo chiacchierato con lui sempre a Cannes. Sul suo personaggio è molto preciso. «È il migliore amico d’infanzia di Jocelyn, ma anche il suo dipendente. E nel corso della serie si capisce quanto sia comune nell’industria musicale che i talent assumano il loro migliore amico come assistente o qualcosa del genere».
Il cast è completato da Jennie Ruby Jane, nota anche come la Jennie Kim delle Blackpink, cantante e rapper sudcoreana, che interpreta la back-up dancer di Jocelyn; mentre Dan Levy, figlio di Eugene e creatore e star della serie Schitt’s Creek, è l’ufficio stampa della giovane star. Eli Roth interpreta il responsabile di Live Nation, una delle maggiori società di promozione di concerti del mondo. Scorrendo i nomi troviamo anche Elizabeth Berkley, che fu proprio la protagonista di Showgirls, il film (incompreso) di Paul Verhoeven, un Eva contro Eva nella Las Vegas più sordida. E poi la compianta Anne Heche, morta in seguito a un incidente d’auto l’11 agosto dell’anno scorso. Questa è di fatto la sua ultima interpretazione, il suo addio a un mondo sommerso e oscuro che forse non comprenderemo mai fino in fondo.
(Con la collaborazione alle interviste di Akim Zejjari)