Ribadisco l’assunto iniziale della grande attitudine della cultura anglosassone, specie di quella britannica, al giallo. I nomi e i titoli sono stati fatti. Fra i nomi di autori e di personaggi che possano attestarsi sulla stessa piattaforma di qualità, non ci sono italiani. La tradizione gialla italiana ha radici decisamente meno nobili. I nostri autori hanno preferito raccontare storie di matrice sociale, fantastica, realista o intimista. O magari leggere-con-qualità. I nomi sono i soliti: Visconti, Fellini, De Sica, Rossellini, Antonioni, Risi e Monicelli. Il giallo, il poliziesco, eccetera nascono come generi minori, quasi non-generi. E parlo di un tempo quando i generi esistevano, perché nell’era recente del cinema italiano non esistono più. Devo davvero forzare la memoria per estrarre un giallo italiano “di genere”: La ragazza del lago, di impianto quasi tradizionale. Il film, con Toni Servillo che indaga, diretto da Andrea Molaioli, è però soltanto parzialmente italiano, essendo tratto dal romanzo della norvegese Karin Fossum.
Tornando alle stagioni dei generi, la nostra scarsa attitudine, la nostra quasi dipendenza da modelli nati altrove emerge semplicemente facendo dei nomi. Gli altri avevano Bogart, noi Enrico Maria Salerno; gli altri Clint Eastwood, noi Maurizio Merli. Ragionando “italianamente” sui generi, ecco venir fuori due talenti nostrani e smaliziati, buoni per tutte le storie: Marcello Mastroianni e Ugo Tognazzi. Il primo è il commissario nella Donna della domenica, scritto dai nostri giallisti più accreditati, Fruttero & Lucentini. Mastroianni è un buon, italico poliziotto anche in Doppio delitto di Steno. Di Tognazzi ricordiamo Il commissario Pepe, di maigretiana memoria, e I giorni del commissario Ambrosio. E poi due citazioni importanti: Franco Nero nel ruolo del capitano dei carabinieri Bellodi nel Giorno della civetta e Pietro Germi che fa il commissario della squadra mobile di Roma nel Maledetto imbroglio, tratto dal romanzo Quer pasticciaccio brutto de via Merulana. E così con Leonardo Sciascia e Carlo Emilio Gadda annoveriamo anche noi due grandi scrittori alla voce “giallo”.
Dal versante pittoresco del nostro cinema, certo frequentato, ecco uscire delle buone trovate. Una è quella del “Monnezza”, il Tomas Milian con parrucchino riccioluto protagonista di una serie di film diretti da Bruno Corbucci. Ricordiamone due: Delitto al ristorante cinese e Delitto sull’autostrada. Nel 2005 Claudio Amendola ha riproposto il personaggio del Monnezza. Si è arrabbiato molto Tomas Milian, e si sono molto arrabbiati gli appassionati dell’antico Monnezza, un vero e proprio culto. Milian e gli appassionati… non avevano del tutto torto. Non si può ignorare anche la lunga serie di “Piedone”, con Bud Spencer che agiva in situazioni italiane ma non sempre. E anche noi abbiamo avuto un bello con la pistola, molto vicino a certi detective americani: Franco Gasparri, che ha dato vita a Mark il poliziotto in tre film, diretti da Stelvio Massi, nella metà degli anni Settanta.
Naturalmente un nome che deve ricorrere è Dario Argento. I suoi film hanno indubbiamente il marchio della riconoscibilità immediata, che è un merito. E ne hanno uno ancora maggiore: sono stati esportati. E non accade davvero spesso al nostro cinema. Il giallo riguarda Argento solo parzialmente. Nel tempo l’autore si è evoluto verso l’orrore, toccando elementi anche estremi del soprannaturale e del demoniaco. Ma almeno tre titoli vanno ricordati: L’uccello dalle piume di cristallo, Il gatto a nove code, Quattro mosche di velluto grigio. I gialli, appunto.
La citazione sopra del commissario Pepe “maigretiano” porta di riflesso al giallo francese. Per qualità e popolarità, Georges Simenon non ha molto da invidiare ad Agatha o a Conan Doyle, e Maigret certo equivale a Holmes e Poirot. Il cinema francese, contrariamente a noi, alimenta il genere a modo suo: il modo è il noir. Le radici sono quelle del grande cinema francese di cui ho più volte scritto, quello del Fronte Popolare. La ricerca è quella dell’uomo isolato, con regole sue, senza nessuna protezione privata o istituzionale, che finisce nella disperazione o peggio. È un modello che ben presto diventerà il villain di tanti titoli francesi.
Tutti i grandi attori e quasi tutti i registi francesi hanno interpretato e firmato storie di mala. Jean Gabin è il capostipite, si porta dietro Ventura, Delon, Belmondo. Gabin, eroe dei film di Renoir e Carné con problematica da arcigno intellettuale anche se era muratore, soldato o ferroviere, era l’organizzatore del Grisbi vent’anni dopo, per la regia di Becker, anche lui grande maestro di cinema. Era poi il patriarca del Clan dei siciliani di Verneuil, ed erano passati altri vent’anni. Gabin è davvero il cinema francese, soprattutto è il noir del cinema francese. Ma non è finita, la più popolare espressione del poliziesco francese si chiama, appunto, Simenon autore e Maigret commissario, e ancora Gabin attore.
Non esiste un vero erede di Gabin, esistono attori che hanno ripreso alcuni dei suoi ruoli. Alain Delon ha percorso, a sua volta, quasi tutte le strade del cinema, dunque anche il thriller e il poliziesco. Delon è stato killer in Frank Costello faccia d’angelo, è stato il villain-con-princìpi in Borsalino e in altre storie. Così come è stato poliziotto. Ricordo l’ambizioso e calligrafico Flic Story, e ancora due titoli di Georges Lautner, Esecutore oltre la legge e Morte di una carogna. Lautner è legato a un altro grande francese, Jean-Paul Belmondo, uno che è stato guardia o ladro con disinvoltura. Concetto che vale anche per Jean-Louis Trintignant e per Lino Ventura. Sono i nomi del mosaico del nero francese. Un bel mosaico.