Se è vero, come diceva Leopardi, che soltanto gli esseri intelligenti provano noia, allora i Santi Francesi devono essere dotati. Non solo perché apprezzano questo stato psicologico, e un po’ se lo vanno a cercare, ma gli hanno dedicato persino una canzone, La noia appunto. Per «dargli un valore positivo», ci hanno spiegato Alessandro De Santis e Mario Francese che compongono il duo che lo scorso anno ha vinto X Factor e che non fanno nulla per uscire da una condizione che a molti potrebbe spaventare. Per loro, invece, è fonte di grande ispirazione. Tanto che nel video dell’ultimo pezzo appare una sorta di postfazione dove precisano: “Siate placidi, miei cari. Non c’è motivo di affannarsi. Guardatevi intorno, lo vedete? È quasi tutto spazio vuoto. Tornerà il tempo della noia. E in quel vuoto brillerà meraviglia”.
Li abbiamo incontrati mentre sono in procinto di partire per un nuovo tour estivo (qui le date, da oggi a Pavia), dopo quello invernale nei club. Auspicano «la sparizione totale dei social», che già usano soltanto come «bacheca lavorativa».
Com’è che a 24 e 25 anni voi decidete di dedicare una canzone alla noia?
Alessandro De Santis: Semplicemente è un tema che ci è molto caro, perché tendiamo a essere fermi, un po’ spettatori di quello che succede. Prima o poi tutti entrano a contatto con la noia e devi solo trovare il modo per accettarla o condannarla, dipende dal tuo atteggiamento. Noi abbiamo capito come comportarci, e cioè accettando questo sentimento che non è necessariamente negativo.
Alla fine del video appare una scritta che sembra un po’ il vostro manifesto…
Alessandro: Esatto, è quella sensazione che proviamo quando siamo annoiati, una sorta di vibrazione nell’aria. Quando ti dai la possibilità di stare fermo, di aspettare, di guardarti intorno, è come se succedesse qualcosa. E troviamo che sia uno dei viaggi più belli che ci possano succedere.
Oggi con i social non ci si annoia più. Voi li usate pochissimo.
Alessandro: Siamo molto riservati. Negli anni la situazione è peggiorata, prima eravamo più attivi.
Mario Francese: È sempre stata la nostra caratteristica, positiva o negativa. Da quando ha iniziato a far parte del nostro lavoro, però, ci siamo ancora più distaccati dai social. Li usiamo come una bacheca lavorativa per ricordare i nostri appuntamenti live o l’uscita di progetti musicali. Sarebbe figo se in futuro non dovesse essere necessario neanche questo.
Quindi siete, drasticamente, per la sparizione dei social?
Mario: Sappiamo che al momento non è possibile, ma in futuro sarebbe bello. La auspichiamo.
Alessandro: Ogni volta anch’io mi chiedo quanto sarebbe figo se non ci fossero i social, se non dovessimo usarli noi più che altro. Però mi rendo conto anche di quanto siano importanti e quanto bene possano fare. Intanto noi non li usiamo, siamo frenati dal raccontare nel dettaglio delle nostre vite.
Alcuni artisti della vostra generazione hanno l’ansia dei numeri, su YouTube o su Spotify. Mi pare che a voi non abbiate questo genere di patema.
Alessandro: No, perché a un certo punto abbiamo capito che volevamo lavorare con la musica e quindi per noi era inutile guardarli. Diverse persone ci consigliavano di avere pazienza e noi siamo persone particolarmente pazienti. Non ci interessano i numeri che raggiunge un singolo, quello che arriva arriva e lo prendiamo per quello che è.
Nella scorsa intervista con Rolling Stone, dopo la vittoria di X Factor, Alessandro hai detto: «Io lavoravo da Decathlon per campare, non mi fa paura nulla». È ancora quello lo spirito?
Alessandro: Sì, anche se detta così sembra che lavoravo in miniera. Vivevo come riesce a vivere un giovane con quel lavoro e con quel tipo di soldi, facendo anche un’altra professione. Abbiamo passato anni così e ora vogliamo solo far ascoltare la nostra musica e arrivare a più persone possibile.
Quando ho chiesto a Lucio Corsi se gli interessava l’attualità, ciò che gli accadeva intorno, mi ha risposto: «Nella vita di tutti i giorni sì, mentre nelle canzoni va tramutato in altro». È anche per voi così?
Alessandro: Lo sviluppo di un artista passa per diverse fasi. Ci informiamo, cerchiamo di sapere cosa succede nel mondo, ma tutto quello che ci gira intorno sta entrando molto poco nelle nostre canzoni. È più il nostro mondo che sta cercando di uscire fuori. Stiamo parlando molto di quello che ci succede dentro. Poi a volte si passa per una constatazione o una immagine esterna, ma sono sempre finalizzate a un racconto di noi.
Quali sono i vostri riferimenti musicali?
Mario: Spaziamo molto, ogni mese cerchiamo di scoprire nuove cose per rimanere stimolati. Chiaramente ci sono artisti che ci hanno cambiato l’approccio alla musica. Come i Beatles, che ascoltiamo fin da bambini, oppure i Twenty One Pilots, dai quali ogni giorno impariamo qualcosa. In generale siamo frenetici, ascoltiamo musica diversa e ci lasciamo trasportare.
Alessandro: Io aggiungo i Killers, che ascolto da quando sono piccolo.
Che musica state ascoltando in questo periodo?
Alessandro: Non stiamo ascoltando musica nuova, ma siamo davvero infoiati con i Sick Tamburo. Quel genere in particolare, non tanto come ispirazione perché li troviamo degli artisti incredibili.
La scena musicale italiana, in generale, è vitale o in una fase di stagnazione?
Alessandro: Non credo sia un periodo stagnante. A volte le radio o le classifiche ci fanno credere che tutto sia uguale e omologato, però la musica bella c’è e basta aver voglia di andarla a cercare e non arrendersi a quello che per forza ci viene proposto. Se invece sei un musicista, bisogna solo aspettare che arrivi l’occasione di raggiungere un pubblico più ampio.
Mario: C’è talmente tanta musica che a volte è la pigrizia che porta le persone a non trovarla.
Quali artisti giovani o emergenti apprezzate di più?
Alessandro: Ci viene in mente Bias, Nicolas Biasin, oppure Emma Nolde. Così come i Tropea, che non sono più giovanissimi ma meriterebbero molto più pubblico di quello già bello e coerente che hanno.
Se vi capitasse di avere un successo come quello dei Måneskin, siete sicuri di riuscire a rimanere sempre così “annoiati”?
Alessandro: Non è qualcosa a cui pensiamo spesso. Però ci fidiamo tanto della nostra mancanza di interesse verso certe cose. Magari un successo del genere poi ti smuove, ma in questa fase ci affidiamo ancora molto a come siamo fatti e e non credo che ci cambierebbe più di tanto.
Mario: Era già la paura quando dovevamo entrare a X Factor l’anno scorso e alla fine non è successo assolutamente niente. Ci piace fare musica come prima. È cambiato molto intorno a noi, per fortuna, ma noi il montarci la testa non sappiamo neanche cosa significhi.
Avete altre fonti di ispirazione oltre alla musica?
Alessandro: Il cinema e la danza ci interessano più di tutto, oltre alla musica. Però ci ispira di più la scienza. Cioè scoprire cosa è reale e quanto poco importante è l’umanità se la vediamo da lontano.
Mario: E di quanto poco conosciamo dell’universo.
Quindi bisogna immaginarvi sdraiati, un po’ annoiati, a guardare il cielo e a porvi delle domande…
Alessandro: Ecco, siamo noi. È la nostra immagine ideale nel porci delle domande. E per noi è più importante farsele che rispondere. Solo così si rimane curiosi.
C’è qualcosa che vi ripetono spesso le persone che vi conoscono da più tempo, come gli amici o i genitori?
Alessandro: Mario, vai tu che hai più amici…
Mario: Solitamente ci dicono bravi, nient’altro. Ma l’immagine più bella è stata dopo la vittoria di X Factor con i nostri genitori che ci aspettavano fuori con una bottiglia di spumante.
Tra poche ore comincia il vostro nuovo tour. Dal vivo immagino ci sia meno possibilità di annoiarsi.
Alessandro: Il tour nei club di gennaio è andato meglio di come ce lo aspettavamo, le date erano tutte piene e questo ci ha molto colpito. Diciamo che la nostra mancanza sui social viene ricompensata dal vivo.
Mario: I live sono l’unico momento nel quale noi e il pubblico ci guardiamo in faccia e quando succede è molto più difficile mentire. Quindi saranno momenti di vera condivisione.
E fra dieci anni come saranno i Santi Francesi?
Alessandro: Ogni tanto ci pensiamo, ma è una di quelle domande alle quali, a un certo punto, tendiamo a voltare la testa dall’altra parte e a non dare una risposta. Noi vogliamo soltanto vivere di musica, visto che è l’unica cosa dove pensiamo di avere una seppur minima utilità.