A giugno i Radicali hanno depositato in Corte di Cassazione una proposta di legge importantissima: prevede di superare, in senso progressista, la famosa legge 194, ossia la norma che disciplina l’aborto nel nostro Paese e che, da 45 anni a questa parte, soffre di evidenti limiti di applicabilità, dovuti al numero spropositato di medici obiettori che operano negli ospedali e nei consultori, alla crociata cieca, ideologica e antiscientifica portata avanti dalle destre e a un impianto normativo che pone costantemente in secondo piano la salute della donna.
Nel 1978, l’approvazione di questa norma rappresentò un traguardo importantissimo. «La legge 194 ha avuto l’enorme merito di decriminalizzare gli aborti nel nostro Paese», spiega a Rolling Stone Italia Giulia Crivellini, tesoriera dei Radicali. «Dall’altro lato, però, risente di tutta una serie di limitazioni, a partire dal testo: la norma, infatti, è stata il frutto di una trattativa serrattissima, e contiene una serie di zone grigie che vengono sfruttate in chiave conservatrice».
Ai tempi, il dibattito parlamentare che sfociò nell’approvazione della 194 fu accesissimo e si risolse in un compromesso a ribasso: le pressioni delle componenti cattoliche dell’emiciclo ebbero la meglio. Il risultato fu «Una legge che non parla mai di autodeterminazione e diritto all’aborto», dice Crivellini, «ma di tutela della maternità e di regolamentazione delle interruzioni volontarie di gravidanza».
Nell’articolato della 194, insomma, lo Stato concepisce l’aborto come concessione ed eccezione, senza mettere al centro la scelta in materia di libertà riproduttiva. Ecco perché la lasca formulazione di una legge così importante finisce, nella maggior parte dei casi, per diventare un appiglio argomentativo delle destre: «La 194 oggi non viene toccata perché conviene non toccarla, soprattutto per come è scritta», sottolinea Crivellini. «Prendiamo l’articolo 1, secondo cui lo Stato tutela la vita umana a partire dal suo inizio. Questa dizione, frutto dell’influenza della Democrazia Cristiana e dei deputati cattolici, è assolutamente inattuale: non è presente nel nostro Codice Civile, la troviamo solo nella Bibbia. Eppure questa formulazione ambigua ha fornito un appiglio argomentavo a quel sottobosco reazionario e antiscientifico che ha proposto progetti di legge ideologici come quelli sul riconoscimento giuridico del feto come persona e, di conseguenza, sull’equiparazione dell’aborto a un omicidio volontario».
Non dovesse bastare, l’equivocità del testo della 194 rende possibile una delle aberrazioni più assurde degli ultimi anni, ossia il finanziamento di associazioni Pro Vita da parte delle Regioni. Ad esempio, l’anno scorso in Piemonte una delibera ha dato il via libera alla creazione del fondo “Vita Nascente”, congegnato per convincere le donne a proseguire la gravidanza tramite l’erogazione di contributi economici e per consentire a queste organizzazioni di usare il logo della Regione per farsi pubblicità. L’anno prima, la giunta aveva dato il via libera alla presenza di formazioni anti scelta all’interno dei consultori. Un aspetto meriterebbe la massima attenzione, dato che i metodi ideologici impartiti nei “corsi di formazione” attivati da queste organizzazioni sono ormai ben noti: un’indagine di Quotidiano Sanità ha scoperchiato il vaso di Pandora, dimostrando come i volontari vengano inviati in queste strutture per diffondere un clima da caccia alle streghe e stigmatizzare chiunque intendesse abortire, rallentando l’accesso delle donne non soltanto all’interruzione volontaria di gravidanza, ma anche alla contraccezione di emergenza. Le tecniche adottate sono tantissime, in primis l’impiego di frasi coniate appositamente per colpire nel vivo le donne («Capisco che lei sia vittima di violenza, ma se ora abortisce farà lei stessa una violenza»); ma viene riservato ampio spazio anche alla diffusione di menzogne antiscientifiche in piena regola («Una gravidanza può guarire la leucemia», «Un aborto renderà il suo partner omosessuale», «Non può accedere all’aborto senza il consenso del partner»). «L’articolo 2 ci dice che i consultori possono avvalersi della collaborazione volontaria di alcune formazioni sociali», spiega Crivellini, «e l’interpretazione estensiva di questa formulazione ha reso possibile finanziare le associazioni Pro Vita e garantire la loro presenza in queste strutture: il governatore di turno può enfatizzare l’elemento della tutela della maternità, che a conti fatti è il principio cardine della 194, per giustificare questo tipo di operazioni ideologiche».
Un altro elemento che la proposta dei Radicali intende estirpare è la cosiddetta “Settimana del ripensamento”, ossia il principio secondo il quale devono passare necessariamente 7 giorni prima di procedere con l’intervento. Secondo Crivellini «Questa previsione è espressione di un imprinting culturale molto chiaro: l’autodeterminazione della donna passa totalmente in secondo piano. È anche una previsione antiscientifica, dato che più passa l’età gestazionale più aumentano i rischi per la salute della donna».
E poi c’è l’elefante nella stanza: l’obiezione di coscienza. La proposta prevede di eliminarla in quanto espressione di una visione anacronistica e poco a passo coi tempi. Del resto, nelle intenzioni iniziali, la possibilità di appellarsi all’obiezione avrebbe dovuto essere circoscritta a un periodo di tempo ben delineato. «Nel 1978», ricorda Crivellini, «un emendamento proposto dai Radicali proponeva di introdurre l’obiezione di coscienza soltanto in via transitoria. Un emendamento del tutto razionale, se pensiamo che fino al giorno prima dell’approvazione della 194 praticare aborti era un reato, e bisognava consentire al personale medico di adeguarsi al nuovo quadro giuridico. Purtroppo questa opzione non passò, e l’obiezione tout court divenne la regola, trasformandosi nella tragedia liberticida che viviamo oggi».
Ricalcando lo stesso spirito di quell’emendamento, se dovesse entrare in vigore, la legge tutelerebbe per un periodo transitorio le obiezioni dei medici: «Dal punto di vista politico e culturale, chi ha fatto obiezione sulla base di una legge che consentiva di non fare aborti deve essere tutelato. Chi è già obiettore deve avere la possibilità di confermare questa scelta, anche perché nella grande maggioranza dei casi il suo percorso professionale è stato fondato su questa possibilità: non possiamo punire le persone retroattivamente, vogliamo proteggere la loro sfera di libertà». Tuttavia, «Per evitare sbilanciamenti, abbiamo predisposto dei correttivi: lo Stato deve intervenire con più incisività sulla garanzia di una proporzione tra obiettori e non obiettori. Il diritto di abortire, e quindi il diritto alla salute della donna, deve essere sempre e comunque prioritario rispetto alla scelta del medico di confermare la propria obiezione. Per questo motivo, ai fini di garantire il servizio, durante il periodo transitorio il personale obiettore non dovrà superare il 50% in ogni struttura».
La legge prevede anche un allargamento significativo del periodo entro il quale è possibile abortire: «Nel testo abbiamo scelto di ampliare il raggio di possibilità di accesso all’aborto, anche sulla base delle linee guida delle OMS: estendiamo a 14 settimane il limite per poter abortire, superando la soglia irreale dei 90 giorni che vige attualmente e adeguandoci alle legislazioni di altri Paesi, come Francia, Spagna e Romania. Inoltre, estendiamo la possibilità di accedere all’IVG alle ragazze dai 16 in avanti: se possono scegliere di sposarsi, possono scegliere anche di abortire e tutelare la loro salute senza l’assenso dei loro genitori». I Radicali hanno deciso di menzionare esplicitamente la somministrazione di farmaci abortivi: all’interno del testo «La 194 è stata approvata quando l’unica opzione a disposizione era il metodo chirurgico, e quindi non prende minimamente in considerazione il metodo farmacologico. Vogliamo colmare questo vuoto e sottrarre la pillola al dibattito ideologico che la destra sta portando avanti nelle regioni».
Un ultimo punto ha a che fare con un elemento essenziale e spesso sottovalutato: l’informazione. «Con questa legge», evidenzia Crivellini, «il ministero della Salute sarà obbligato a mappare tutte le strutture in cui è possibile accedere all’interruzione di gravidanza. Ogni settimana ho una media di cinque, sei donne che mi contattano per sapere cosa fare o a chi rivolgersi. Manca del tutto un’informazione istituzionale del ministero degna di tale nome. Sul sito del ministero, nella sezione salute della donna, c’è una foto oscena di una donna che guarda i binari di un treno: l’aborto viene stigmatizzato in via istituzionale, ed è inaccettabile».