Le ondate di calore che, da giorni, stanno colpendo l’Italia con picchi di 40 gradi ci stanno mostrando da vicino cosa potrebbe accadere in un futuro non troppo lontano a causa del riscaldamento globale. Una parte di politica, però, ha deciso di sottostimare la questione e sposare la causa negazionista. Il parlamentare leghista Claudio Borghi ha liquidato il tema con un commento da bar dello sport: «D’estate fa caldo. Non c’è nessun motivo di creare allarmismo», ha detto senza timore di smentita. Gli ha fatto eco l’eurodeputata Silvia Sardone, che dopo essersi premurata di etichettare Greta Thunberg come una “gretina” ha provato a rassicurarci: «Ho due figli, figurati se non vorrei l’aria più pulita. Ma serve pragmatismo».
Pragmatismo, già, lo stesso che sembrerebbe pretendere Maurizio Gasparri, secondo cui bisognerebbe concentrare le attenzioni altrove e agire unicamente sulle emissioni cinesi e indiane: «Noi a livello europeo causiamo il 7 per cento dell’emissione dell’anidride carbonica del pianeta, quindi va affrontato il dossier Cina, India e il resto del pianeta. A me ad esempio ha colpito che Greta non sia andata a Pechino, dice che non prende l’aereo, allora vada in moto… Marco Polo con altri mezzi c’è andato secoli fa, perché lei no? Ha idea di come producono e di quanto inquinano?». Insomma: se la premier Giorgia Meloni dice che il centrodestra non è fatto di «pericolosi negazionisti», i suoi sodali di maggioranza fanno di tutto per smentire questo assioma. La verità, però, a prescindere dalle stronzate propagate dal Borghi di turno, è che nelle ondate di calore degli ultimi giorni di normale c’è ben poco. Ne abbiamo parlato con Luca Mercalli, meterologo, climatologo e divulgatore scientifico italiano, noto al pubblico televisivo italiano per la sua collaborazione con Che tempo che fa e per le sue battaglie contro la disinformazione climatica nella televisione pubblica.
Partiamo dalle basi: da dove vengono queste ondate di calore?
Dopo il 2003, e in particolare nelle ultime tre estati, è diventato abbastanza frequente ricevere la visita dell’anticiclone africano sul mediterraneo settentrionale. Conosciamo bene anche il suo raggio di azione: si spinge oltre le Alpi e porta temperature altissime, oltre i 40 gradi al Sud e fino ai 40 gradi in Pianura Padana. Questa ondata, però, merita un’attenzione particolare perché ha la caratteristica di essere particolarmente lunga: ha già superato i dieci giorni e, almeno nella parte centrale e meridionale del Paese, andrà avanti fino al 26 luglio.
Nulla di cui stupirsi, insomma.
Assolutamente no: parliamo di una delle tante manifestazioni dei cambiamenti climatici. Chi è anche soltanto minimamente informato sul tema sa che le temperature sta salendo in modo preoccupante in tutto il mondo: in Cina, qualche giorno fa, hanno superato i 50 gradi. Questa situazione è il risultato di una gigantesca irresponsabilità politica. Il discorso è sempre lo stesso: emissioni di gas a effetto serra non vengono minimamente ridotte, nonostante le raccomandazioni degli Accordi di Parigi. Stiamo andando in contro a quello che il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, definisce “scenario catastrofico”, ossia quello in cui l’aumento delle temperature globali sfiora i tre gradi; uno scenario che potrebbe ancora essere scongiurato, se si partisse sin da subito con una seria, efficace e realistica riduzione delle emissioni. Purtroppo, però, sono solo chiacchiere.
A proposito di chiacchiere: ha sfogliato Repubblica stamattina?
Non ancora, cosa mi sono perso?
C’è un’intervista in cui Maurizio Gasparri, parlamentare della maggioranza che sostiene il governo, ha cercato di deresponsabilizzare l’Italia dalla lotta ai cambiamenti climatici. Ha detto che «Noi a livello europeo causiamo il 7 per cento» delle emissioni, e che quindi «va affrontato il dossier Cina, India e il resto del pianeta».
È un discorso un po’ ipocrita e facilone, che non tiene conto della complessità del fenomeno. Mi spiego meglio: come sostiene Gasparri, è vero che l’Europa è responsabile del 7% delle emissioni dirette; è anche vero, però, che la stessa Europa contribuisce in modo significativo a quelle indirette, dato che ha spostato gran parte della propria industria inquinante in Cina. E poi c’è il grande tema della responsabilità storica: la CO2 si accumula nell’atmosfera e ci rimane per secoli. Il caldo di oggi è anche frutto del carbone che veniva bruciato nell’Inghilterra di Charles Dickens. La Cina, invece, ha iniziato a emettere soltanto venticinque anni fa.
Insomma, è una questione di prospettive: la Cina emette di più, ma ha meno responsabilità storica, l’Europa emette di meno, ma ha meno responsabilità storica.
Esattamente, però mi preme sottolineare una cosa: a prescindere da ogni calcolo politico dobbiamo richiamare l’attenzione sulla potenza delle leggi fisiche, che non ammettono negoziazioni di alcun tipo. La scienza ci spinge a fare i conti con la realtà: quando ci sono 50 gradi, quando il mare aumenta di livello e ti costringe ad abbandonare i luoghi in cui sei nato e cresciuto, quando l’acqua viene a mancare muori di sete, be’, ogni possibile discorso su quanto accaduto in passato finisce per sfumare. Certo: l’Europa potrebbe guardarsi alle spalle per comprendere di avere a disposizione l’esperienza e i mezzi per dare il buon esempio. Fare il primo passo non risolve tutti i problemi, ovviamente, ma è un buon punto di partenza.
Sempre parlando della Cina, Gasparri ha chiamato in causa Greta Thunberg: si è chiesto perché non abbia mai visitato Pechino. «Dice che non prende l’aereo, allora vada in moto… Marco Polo con altri mezzi c’è andato secoli fa».
Questo è folklore puro e semplice: di fronte a un problema globale, riversare con fare paternalista tutte le responsabilità su un’attivista che fa quel che può è un atteggiamento che dovrebbe imbarazzarci non poco. Che poi, mandare Greta a piedi in Cina per fare cosa? Devono andarci Joe Biden, Ursula von der Leyen, magari lo stesso Gasparri: sono questioni globali che vanno affrontate a questi livelli.
La maggioranza e il governo portano avanti una linea negazionista: quali sono gli interessi in gioco?
Ci sono interessi legati all’energia fossile, ovviamente, ma anche problemi strategici delicatissimi, legati al timore di perdere posti di lavoro. Faccio un esempio: diversi politici sostengono di volere salvaguardare l’industria dei motori a benzina e a gasolio rallentando la diffusione di quelli elettrici. L’industria delle auto, però, sta già degenerando indipendentemente dalla transizione ecologica. I grandi gruppi internazionali spostano le fabbriche per motivi che hanno poco a che fare con la riduzione delle emissioni: costi del lavoro più basso, incentivi, materie prive, legislazioni del lavoro dai contorni incerti che permettono di aumentare la forza contrattuale dell’azienda. Ecco perché questa tendenza a demonizzare la transizione ecologica per salvaguardare i posti di lavoro, quando poi i posti di lavoro vengono persi lo stesso a causa delle dinamiche del capitalismo globale, è un po’ come darsi la zappa sui piedi.
Cosa risponde agli esponenti politici che stanno minimizzando il problema?
Nulla, mi limito a ribadire l’ovvio, ossia che l’aumento di frequenza delle ondate di calore è direttamente legato al riscaldamento globale. Punto.