C’è stato un tempo nel quale il famolo strano era la regola nel rock. Voglio dire, i Roxy Music avrebbero potuto essere una normalissima band che proponeva canzoni di successo, con musicisti della madonna e un frontman che non temeva paragoni in quanto a capacità vocali e carisma. Invece no, hanno scelto la strada più tortuosa e affascinante: hanno preso il rock basico e lo hanno sparato mille anni avanti.
Molti pensano che il merito di ciò sia soprattutto di Brian Eno che filtrava strumenti e voci col suo VCS3 e li restituiva trasfigurati. Da buon pittore prendeva un semplice paesaggio e lo trasformava in un quadro astratto. Non ancora soddisfatto, screziava poi la tela sonora con ulteriori stridori e deflagrazioni assortite. Ma gli altri non erano da meno in quanto a inventiva. Al netto di una sezione ritmica destinata a mille cambi di personale, i Roxy potevano contare su Phil Manzanera, che era amalgama perfetto tra Jimi Hendrix e Robert Fripp, e Andy Mackay, eccellente sassofonista di ampie influenze nonché oboista, colui che sdoganato per primo lo strumento in uso nella classica rendendolo rock.
Infine il cantante charmant per eccellenza: Bryan Ferry, dotato di voce da crooner calda e romantica con un’espressività da paura, oltre che incarnazione di Elvis sparato in una stazione spaziale. Beccatevelo nel primo album, con ciuffo antigravitazionale e giacchetta leopardata. E vogliamo parlare del fluido Eno piume-di-struzzo o di Manzanera The Fly anni prima di Bono?
Con un pacchetto del genere, ti metti a fare del semplice rock? Usi quella musica come base e sopra ci piazzi tutto il piazzabile. Con i Roxy Music le maglie del suono si slabbrano e accolgono pop, jazz, glam, prog, contemporanea, elettronica, musique concrète, follia. Ascolti una canzone che parte normale e dopo poco già è mutata in altro, una mutazione spontanea, mai forzata, una musica che si amplia per partenogenesi, si autoricrea e scavalca confini. Non può accontentarsi delle regole commerciali, anzi, tali regole si adattano alla proposta dei Roxy, che entrano in classifica con brani stordenti e stranianti, dove non sai mai cosa aspettarti, minuto dopo minuto. Il tutto a luccicare di vivida sensualità sottolineata dalle modelle in copertina. Musica, bellezza ed eleganza in un tutt’uno.
Quando Eno se ne va, diminuiscono le peripezie sperimentali, ma il suono non perde certo il suo appeal. Si fa via via più raffinato e già diventa anni ’80, certa new wave e soprattutto il movimento new romantic è in tutto e per tutto opera dei Roxy, con una schiera di imitatori, dai Duran Duran in avanti, a pagare pegno.
Purtroppo i Roxy Music hanno avuto vita breve, solo otto album in studio in dieci anni e poi il via alla carriera solista di Ferry (in realtà iniziata da tempo), ancora oggi in grado di ammaliare ma in larga parte orfana di quel pazzesco guizzo art rock che ha invece guidato la carriera di Eno e qualche bella sortita di Manzanera (da procurarsi assolutamente l’esordio Diamond Head, con Robert Wyatt, lo stesso Eno e molti altri cervelloni). Ma accontentiamoci di ciò che hanno fatto e mettiamolo in classifica, con la speranza che i Roxy non smettano di influenzare nuove schiere di musicisti coraggiosi.
Flesh + Blood
1980
La normalizzazione del suono Roxy messa in atto nella seconda metà dei ’70 passa anche per due inutili cover di In the Midnight Hour (Wilson Pickett) e Eight Miles High (The Byrds) inserite nel settimo album Flesh + Blood. Il resto ha la classica raffinatezza del gruppo senza lasciare segni particolari se non qualche simpatica invenzione che va a screziare i brani. Detto ciò il gusto funky e disco che aleggia in Flesh + Blood lo rende un fresco cocktail.
Manifesto
1979
A metà decennio i Roxy sbandano e si prendono una pausa. Tornano nel 1979 rendendosi conto che molte istanze messe in atto nei primi dischi sono diventate la norma del post punk e di altre neonate tendenze. In Manifesto si avverte la mancanza delle atmosfere più spericolate, ma la band riesce a reinventarsi in maniera interessante: il singolo Trash diventa inno da club e il glamour del tutto riesce a coinvolgere.
Siren
1975
Ultimo atto prima della pausa, Siren ha già un piede nel disimpegno ma piazza alcuni graffi che fanno sanguinare: Love Is the Drug, con bassi pulsanti e sax in un’affascinante vicenda da nightclub, fa guadagnare il più grande successo negli Stati Uniti. Al basso ora c’è John Gustafson, ex Quatermass, che plasma il ritmo gommoso di un album registrato a tarda notte, con la sirena Jerry Hall in copertina a lanciare un richiamo che ha il suono del synth ebbro di Both Ends Burning, metamorfosi di immagine e suono in un unicum.
Country Life
1974
Celebre per la sua copertina osé per l’epoca (con le due modelle Constanze Karoli, sorella di Michael dei Can, ed Eveline Grunwalde) e la presenza di Eddie Jobson (più tardi negli UK), Country Life è l’ultimo atto prettamente art rock della band, con trattati melodrammatici di Ferry sulla nightlife e un romanticismo fatto di archi, pianoforte e tastiere camaleontiche. La tavolozza si colora anche di umori funk, Casanova ha tutto ciò che mancava perché la mistura fosse completa.
Stranded
1973
È il primo album dopo la partenza di Eno e paradossalmente il preferito dal non-musicista. L’assenza si avverte, ma Ferry non si lascia smontare e ne approfitta per mettere in atto una trasformazione in dandy biancovestito. Comincia un avvicinamento al pop tout court ma non si fa a meno della sperimentazione. Si noti la magnificente Amazona con i suoi cambi di registro e una A Song for Europe monumentale nel suo appassionato svolgersi.
Avalon
1982
Avalon definisce il sophisti-pop che avrebe imperversato negli anni ’80. La band chiude e lo fa in gloria, con tanto di citazione all’isola nella quale riposa Re Artù. L’atmosfera è di grandeur malinconica – “Ora la festa è finita / e sono così stanco”, sospira Ferry nella title track – ed è tutto un trasudare romanticismo vellutato, con due strumentali a chiudere il cerchio sulle pagine più eclettiche. Poi i Roxy Music cedono il posto agli epigoni, la loro missione è compiuta.
Roxy Music
1972
Oltre cinquant’anni dopo, il debutto dei Roxy Music rimane una bomba che connota il prima e il dopo del rock. Un rock elastico che da Re-Make/Re-Model in avanti urla col fuoco dei sintetizzatori e apre varchi su ciò che sarà il panorama musicale negli anni a venire. C’è la contemporanea che sposa Chuck Berry e il Mellotron dei King Crimson (l’album è prodotto da Pete Sinfield e Bryan Ferry si era candidato nei Crimson, un volta intuitene le peculiarità Fripp aveva favorito l’esordio dei Roxy) in Ladytron. Roxy Music è proto-punk, proto-new wave, proto-21st century pop. I Roxy Music saranno sempre più avanti di qualsiasi presente.
For Your Pleasure
1973
L’anno dopo l’esordio aggiustano ulteriormente il tiro, più coesi che mai anche se in realtà Eno e Ferry discutono alacremente il loro ruolo di primedonne. Dall’attrito nasce il capolavoro e non ci sarà mai una canzone migliore su una bambola gonfiabile di In Every Dream Home a Heartache, che vive grazie al violento esorcismo made in Eno. Anche i momenti più diretti di For Your Pleasure sono colorati di cacofonia pop-avantgarde, e Beauty Queen è struggimento puro. Inoltre c’è l’apice nell’apice: The Bogus Man, 10 minuti di ipnosi kraut-glam da qui all’eternità.