Non poteva che essere Sofia Coppola a portare sullo schermo la versione di Priscilla. Perché, come direbbero i detrattori, “fa sempre lo stesso film”. O, ribaltando la prospettiva, parla di quello che in qualche modo conosce e ogni film è una parte più o meno sfumata di lei. Come si conviene a un’autrice.
La prima sequenza è un’istantanea del suo cinema: i piedi con le unghie laccate corallo su sfondo di moquette rosa, l’occhio bistrato con la virgola di eyeliner, le ciglia finte da cerbiatta, la cofana corvina. Sono frammenti della donna che è entrata nell’immaginario collettivo, quella che Elvis ha “creato” per sé: «Ero la sua bambola vivente, mi ha insegnato tutto. Come vestirmi, come camminare, come truccarmi e portare i capelli, come comportarmi e come restituire l’amore, a modo suo», scrive Priscilla herself nel suo memoir, di cui appunto il lungometraggio si nutre avidamente – d’altra parte la signora Presley ne è produttrice non poco ingombrante, presentissima a Venezia 80, tanto da oscurare regista e protagonisti.
Una Barbie (sì, again: perché quel film, che lo si voglia ammettere oppure no, ha fondato un nuovo paradigma) personale e, proprio come la bambola, sostanzialmente asessuata agli occhi di The Pelvis. Che la loro relazione sia rimasta immacolata finché era ragazzina ci tiene a sottolinearlo Priscilla. E, di conseguenza, a ribadirlo Sofia.
È – appunto – appena adolescente che incontriamo il personaggio, nell’autunno del 1959: Priscilla Beaulieu vive con i genitori in una base dell’aeronautica militare americana nella Germania Ovest. Elvis è di stanza a Bad Nauheim all’apice della sua fama. Un ufficiale amico del divo la invita a una serata a casa Presley. Lui ha 24 anni, lei 14: “Cavolo, sei una bambina!”. Seguono altri rispettosissimi (per la gioia di mamma e papà Beaulieu) incontri, una vacanza a Memphis e poi la decisione: per Priscilla si aprono i cancelli di Graceland. Che si chiudono alle sue spalle, once and for all.
L’opera di Miss Coppola è popolata di giovani protagoniste femminili privilegiate e uomini potenti che le tengono “prigioniere” in luoghi magnifici: il Park Hyatt di Tokyo, lo Chateau Marmont di L.A., ovviamente Versailles. Ecco, il pensiero corre inevitabilmente a Marie Antoinette: Priscilla è un’adolescente che vive isolata, rinchiusa nella gabbia dorata di una lussuosa tenuta in cui però non può far entrare nessuno, impegnata a compiacere il suo re, ad essere tutto quello che Elvis si aspetta che lei sia. Cioè fondamentalmente tenera, silenziosa, comprensiva, sempre disponibile. A differenza però della regina di Francia, incastrata dal gioco matrimoniale dell’Ancien Régime, Priscilla sta vivendo il suo sogno: quello di essere la moglie di Elvis. Soltanto che la sua prigione, oltre a Graceland, è proprio l’amore per il mito, la leggenda che per lei è però – soprattutto – l’uomo.
Saggiamente Coppola dipinge The King of Rock’n’Roll attraverso gli occhi di Priscilla: niente concertoni, niente movimenti di bacino che infiammano le folle (e persino le suore della scuola cattolica della moglie: “Che Dio benedica te e le tue anche”, a mani basse miglior battuta del film), ma vita quotidiana, il che significa, accanto all’innegabile affetto, anche pillole su pillole e scatti di rabbia. Quello del “Made in Euphoria” Jacob Elordi è un Elvis più radicato nella realtà della scintillante creatura da palcoscenico di Austin Butler, e Coppola usa le luci per renderlo perfino più somigliante all’originale. Il confronto manco a dirlo, è impari.
E la Priscilla di Cailee Spany è troppo evanescente per restituire un range di emozioni larghissimo, che va dagli occhioni spalancati e desiderosi dell’attenzione di lui all’apprensione, fino alla paura. E alla decisione di chiedere il divorzio, che – nelle intenzioni del film – sarebbe il traguardo ultimo dell’emancipazione della nostra eroina. Un affrancamento però che resta sottinteso, e che, almeno da quello che vediamo sullo schermo, non è il percorso di autodeterminazione femminile che Coppola vorrebbe raccontare. Oltre alle ottime musiche del marito Thomas Mars e dei Phoenix, un’eleganza di stile intramontabile e un décor sempre impeccabile, Priscilla è un’istantanea, sì, ma un po’ sbiadita, del cinema di Sofia.