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Soldi in cambio di libertà: la dottrina di Giorgia Meloni sui migranti

Chiedere ai migranti di pagare una specie di cauzione per attendere in libertà l'esame della propria domanda d'asilo: analizziamo con calma l'ultima, geniale idea del governo

Soldi in cambio di libertà: la dottrina di Giorgia Meloni sui migranti

Foto: Fabrizio Villa/Getty Images

Dopo la caccia agli scafisti “lungo tutto il globo terracqueo” e la denuncia di indicibili complotti contro l’Italia, l’ultima trovata del governo Meloni in materia di immigrazione è quella di chiedere soldi ai migranti per non finire nei centri di detenzione.

Non è un modo di dire: è letteralmente quello che prevede un decreto delegato del ministero dell’interno pubblicato il 21 settembre del 2023 sulla Gazzetta Ufficiale, che va a completare il cosiddetto “decreto Cutro” approvato lo scorso febbraio – il cui obiettivo primario è l’accelerazione dei rimpatri.

La misura in questione dice che i migranti provenienti dai paesi considerati “sicuri” – che tanto “sicuri” non lo sono, tipo la Tunisia – possono depositare una specie di “cauzione” di 4.938 euro per attendere in libertà l’esame della propria domanda di asilo.

La somma è stata calcolata stimando le spese di vitto e alloggio per un mese, nonché quelle per il volo di rimpatrio in caso di esito negativo.

Questa sorta di “cauzione” non può essere rateizzata: dev’essere pagata tutta in un colpo, attraverso una fideiussione bancaria o una polizza fideiussoria assicurativa. Il pagamento non può nemmeno essere effettuato da terzi.

In sostanza, a un migrante che ha pagato i trafficanti – perché non ci sono modi legali di arrivare in Europa – è sopravvissuto al deserto, ai lager libici (o ai pogrom a Sfax) e alla traversata nel Mediterraneo si chiede di arrivare in Italia con una bella garanzia bancaria pronta all’uso.

Se questo non fosse abbastanza assurdo, alcuni esponenti della maggioranza e del governo sono convinti i migranti non abbiano problemi a reperire cinquemila euro.
In un’intervista al Corriere della Sera, ad esempio, il deputato di Fratelli d’Italia Federico Mollicone ha detto che siccome hanno già “trovato i soldi per gli scafisti” una fideiussione bancaria non è poi la fine del mondo.

Il ministro delle infrastrutture Matteo Salvini, parlando a ruota libera nella trasmissione Dritto e rovescio su Rete4, ha invece rispolverato antichi tormentoni sostenendo che “molti [migranti] arrivano con telefonino, scarpe, catenina, orologino…”. Insomma: per il segretario leghista l’Italia non sarebbe “invasa” da migranti, ma da trapper stracarichi di soldi.

Ovviamente – ma serve davvero dirlo? – la realtà è completamente diversa.

Anzitutto, come ha spiegato l’ex presidente della Corte Costituzionale Giovanni Maria Flick, una norma del genere è ad altissimo rischio di incostituzionalità: introduce una discriminante economica sull’esercizio di un diritto fondamentale.

E in più, ha continuato Flick, “i 5mila euro di cauzione sono inammissibili non solo dal punto di vista giuridico, ma umano, sociale, politico ed etico”.
In secondo luogo, è la richiesta stessa di una cauzione a essere impraticabile. Secondo l’avvocato Maurizio Veglio dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), la fideiussione dovrebbe essere fornita “entro il tempo di conclusione della procedura di fotosegnalamento”, che secondo la normativa europea è di 72 ore.

“Immaginare che una persona possa precostituire questa fideiussione prima di partire o farlo in quelle poche ore”, ha chiosato Veglio, “è piuttosto improbabile”.
Dello stesso avviso è un altro membro di Asgi, Gianfranco Schiavone. La “cauzione” è soltanto “un’espressione di estremismo politico”, dal momento che “nessuno dei richiedenti […] può arrivare in Italia nelle condizioni che richiede il decreto, ovvero essere in possesso di un documento in corso di validità e avere a disposizione [simili] risorse economiche”.

Il governo Meloni, prosegue, “vuole colpire e limitare il diritto d’asilo e colpire i richiedenti asilo solo per il fatto di esserlo”. Un’altra cosa che in termini giuridici non si può fare, visto che l’articolo 8 della direttiva UE sull’accoglienza (la 33/2013) sancisce che il richiedente asilo non può essere trattenuto per il solo fatto di essere richiedente asilo.

Durissime critiche al decreto sono poi arrivate dalla ong spagnola Open Arms, da anni nel mirino della destra italiana.

“Questa norma ricorda fin troppo i centri di detenzione libici”, si legge in un tweet pubblicato sull’account ufficiale della ong, “dove le persone riescono a uscire SOLO pagando un riscatto ai loro aguzzini. Il fatto che l’Italia, una Democrazia e uno Stato di Diritto, riproponga uno schema simile deve allarmare tutti i cittadini e le cittadine”.

Non a caso, da più parti si è parlato di “scafismo di stato” o “pizzo di stato”.

La questione del decreto va comunque inserita in un riquadro più ampio, che è la disastrosa gestione del tema migratorio da parte del governo Meloni.

In un anno di porti congestionati, drammatiche conferenze stampa, flussi del tutto gestibili che si trasformano in un “atto di guerra”, teorie del complotto rilanciate a tutto spiano e memorandum fallimentari, l’unica cosa che è rimasta da fare è prendersela direttamente con i più deboli – chiedendo loro soldi (che non hanno) per rimanere in libertà.