Torna con un brano sul collasso del pianeta e sceglie un titolo come Canzoncina, con un ritornello da stacchetto televisivo e due strofe catastrofiche, il tutto accompagnato da un podcast, un videoclip-performance che (non a caso) cita gli anni ’60 e quella Vicario vibe che è un ibrido ancora difficile da spiegare ma facilissimo da riconoscere: perché chi altro riesce a farti twerkare sull’attualità? Ci stiamo uccidendo, amici miei, ma uh lalalala, chissà di noi su questa Terra che sarà.
Nel 2020 vi suggerivamo di iniziare a prenderla sul serio come cantautrice, nel 2021 l’album Bingo ha definito perfettamente la sua cifra, quella di un insolito pop impegnato ma coreografato, inclusivo ma sempre sarcastico, praticamente una dark comedy in musica. Oggi, con il progetto Showtime, la visione di Margherita Vicario si allarga ancora: non è solo quella di una cantautrice-cantattrice, ma di un’autrice a tutto tondo per cui il linguaggio discografico è imprescindibile da ogni declinazione audiovisiva (e che, non a caso, sta per debuttare con il film Gloria!, opera prima che la vedrà regista e co-sceneggiatrice). Non è una svolta né una sterzata improvvisa: che il suo percorso puntasse verso questa direzione era chiaro fin dagli esordi. Era solo questione di tempo e di forma.
E se questo è l’anno del suo Showtime, noi la incontriamo in una sorta di halftime show: nel mezzo di un progetto che anticipa l’uscita del suo prossimo EP con quattro singoli, tutti accompagnati da un podcast-talk in cui la troviamo a confrontarsi con alcuni ospiti (divulgatori, attivisti, autori) sui macro-temi dei suoi brani e dell’attualità. Naturalmente il chiodo batte sempre su religione, ambiente, disuguaglianza sociale, diritti civili e femminismo, ma è proprio la lettura della realtà in chiave femminista ad essere diventata prioritaria e inevitabile per lei: «Forse perché alla società è legato il mio ruolo di donna, e forse perché è uno dei temi cruciali di quest’epoca». Prima Ave Maria (e il talk feat. Carlotta Vagnoli, Amorevolmente incazzate) e ora Canzoncina (prodotta da Dade) con il secondo episodio del podcast, Tragicamente ottimisti, insieme ad Adrian Fartade, che riesce nell’impresa di ispirare una riflessione scientifica ma appassionante sull’estinzione umana. Qui Vicario non si limita a cantare di scenari apocalittici, ma aggiunge secca: “Niente matrimoni, e quindi niente sberle”. Insomma, ridendo e ballando ci trascina verso un punto preciso: senza femminismo non esiste neanche giustizia climatica.
«Credo che ormai il mio pubblico un po’ se lo aspetti da me. Però dopo il femminismo e il collasso ecosociale, uno dei quattro pezzi del disco parlerà solo d’amore, anzi, di un amore disperato. Che poi è politico anche l’amore, no? Ci riguarda tutti». Così questa chiacchierata tra Canzoncina, Gloria! e lo Showtime Tour 2023 che partirà a novembre, più che un fine primo tempo sembra essere l’inizio del secondo.
Nel primo episodio di Showtime raccontavi come nascono le tue canzoni: parli sempre di una creazione irrazionale, trascinata dalla musica più che dalle tematiche. Come Ave Maria, che per te semplicemente “suonava bene”. Allora perché ti ritrovi sempre a far politica?
Immaginalo come uno stagno. No, uno stagno è brutto: immaginalo come un lago o un mare. Se nella vita vera vedo un servizio di Presa diretta o delle Iene e mi metto a piangere, sono temi che mi entrano dentro e restano lì. Poi quando scrivo e compongo c’è un aspetto molto irrazionale, certo, ma nell’irrazionalità vai a pescare quello che hai dentro, senza necessariamente dire: adesso voglio fare una canzone politica. In fondo io credo che sia così per tutti, sennò non sarebbero – fammi dire un parolone – artisti.
Canzoncina com’è nata?
Era un beat che mi aveva fatto sentire Dade, il mio produttore. Inizialmente lo trovavo un po’ troppo giocoso, allora visto che voglio sempre… come dire?
Cercare rogna?
Cercare rogna, precisamente, e visto che credo d’essere percepita un po’ come quella con la voce molto pulita che piace molto ai bambini, mi sono detta: va bene, questa è proprio una canzoncina. Teniamo il ritornello spensierato, facciamo che la vita continua ed è splendida anche nel caos. Ed è vero che le nostre vite vanno avanti, ma è vero pure che ieri sera mi struccavo e pensavo: “Cazzo, lo struccante che uso poi lo butto e inquina, sono una pazza”. Capisci quale livello di consapevolezza martellante abbiamo raggiunto mentre andiamo avanti?
Ma tu sei sicura di essere percepita come una “canzoncina” e non come una “canzone impegnata”?
Non intendo che mi percepiscono frivola, ma solo un po’ leziosa, con i denti dritti, la voce pulita.
I denti dritti sono una discriminante?
(Ride) Dai, hai capito. Canzoncina è nata così, con un beat molto divertente, un ritornello semplice un po’ alla Passaparola, e poi Dade che come sempre mi fa: «Va bene, adesso scrivi la strofa». Sennò non sarei stata io, quel ritornello non bastava.
E poi arriva il titolo, come a dire: tranquilli, sto solo cantando della nostra estinzione, niente di serio.
Esatto, perché ha davvero l’aspetto di una canzoncina qualsiasi, però dentro ci sono un sacco di cose. Poi certo che hai paura che agli altri non freghi niente di quello che stai dicendo, e infatti eccoci qui. Avevamo anche pensato di darle un titolo che si prendesse più sul serio, ma le avremmo tolto forza. Così ci siamo detti: «Il salto mortale è quello, perché sembrerà sempre una canzoncina». (Canticchia il ritornello) “Uh lalalala, chissà se il senso della vita è tutto qua”. L’altro giorno ho visto Io capitano di Matteo Garrone e poi ho fatto una lunga telefonata con un amico: torniamo sempre qui, a questa specie di amnesia collettiva mentre restiamo immobili a fare le nostre cose.
C’è un momento intenso nel talk: tu e Fartade vi confrontate su quanto ci si possa sentire inascoltati scegliendo di parlare di attualità. È qualcosa che paradossalmente il pubblico si aspetta dai cantautori, ma che poi gli va quasi a noia, no?
Io penso che qualsiasi cantautore in ogni epoca proponga la sua visione su uno squarcio di realtà, che sia una realtà poetica e immaginifica come quella di Calcutta che parla di sentimenti, o più cruda e politica come quella di Giovanni Truppi. Nel mio caso mi rendo conto che a volte sarebbe preferibile che facessi anche canzoni più sciuè sciuè, come dicono a Napoli. Sarà che sono in una fase di consapevolezza totale, data spesso dai social e anche dai divulgatori che sto intervistando per Showtime. Sarà che in realtà è un’epoca felice per chi vuole avere uno sguardo attivo sul mondo, ma mi rendo conto che il tipo di scorcio di realtà che mi viene da proporre è sempre legato alla società. Forse perché alla società è legato il mio ruolo di donna, e forse perché è uno dei temi cruciali di quest’epoca: il cambiamento dei ruoli.
Infatti in Canzoncina parli di cambiamento climatico cantando “niente matrimoni e quindi niente sberle”, oppure “non ci sarà più da mangiare e quindi addio alle diete”.
(Ride) Sono fissata col sederone, eh? In tutte le mie canzoni c’è il sederone.
Ma soprattutto, per quanto il tema centrale possa variare, tu lo riporti sempre a una lettura femminista. È diventata davvero un’urgenza per te?
Secondo me è una goccia cinese, più che un’urgenza. È una specie di frequenza sotterranea che attraversa la mia vita e il mio modo di esprimermi. Ho capito che è proprio il mio punto di vista, non c’è niente da fare. E poi penso che se ne parla tanto ma non basta mai. L’altro giorno ero a un incontro con Elena Stancanelli e parlavamo del fatto che esiste una realtà virtuale e una realtà non virtuale: c’è un mondo ideale, una bolla che ci mostra come vorremmo che fossero le cose, come dovrebbero essere… ma che non si rispecchia nei fatti. Ecco, la consapevolezza mi sta mandando fuori di testa. Nelle canzoni non riesco a non richiamare quello che scopro nel mondo ideale e che, invece, nella realtà non si concretizza. Come si può non fare un’altra canzone come Mandela? A volte penso di aver anche esaurito certi temi, ma poi tornano, come quando in Canzoncina dico “non ci saran più fiumi, ma fiumi di persone che chiederanno aiuto alla televisione”. Forse sono un po’ monotematica? Può essere, ma ho questi temi che gridano d’essere quotati.
Sei così anche al di là della musica? Sei il tipo di persona che a cena con gli amici incalza su certi argomenti?
No, però pensa al tema del femminismo: noi siamo quattro figli, e ci sono argomenti che la domenica a pranzo possono far scoppiare delle scintille. Magari le figlie femmine che non accettano più certi comportamenti dei fratelli. Credo sia così in tutte le famiglie, e quando mi ci ritrovo in mezzo devo ammettere che non faccio finta di niente. Ne parlo abbastanza e mi commuovo spesso.
Cos’è che ti commuove?
Nella vita vera questi temi mi intristiscono un po’. Invece quando li metto in una canzone mi sento più determinata ad affrontarli. Magari è solo un verso, però è un verso che rimane per sempre nella mia scelta artistica.
Torniamo a Showtime: con Canzoncina siamo a due brani su quattro. Azzardiamo un primo bilancio?
Stavolta ci ho messo un po’, ho rallentato i lavori anche per dedicarmi al film, che è stato davvero impegnativo. E poi come al solito io prendo ogni canzone molto sul serio. Ho l’ossessione di prenderle a cuore, sul personale. E con Showtime è ancora diverso, perché mi viene naturale prendermi il mio tempo di fronte a questa ipertrofia musicale, a questa continua iperproduzione. Vedrai che le ultime due canzoni saranno completamente diverse e parleranno di altri temi, soprattutto l’ultima. Mi piacciono tutte, ma lei è nel cassetto da almeno cinque anni.
Cinque anni sono lunghi.
Lo so, è che ho sempre pensato che questa canzone dovesse avere un palco importante. Invece poi ho detto basta, non ce la faccio più a tenerla per me.
Per fare un altro bilancio: tu non solo rifiuti d’essere monodimensionale, non solo dici «sono cantautrice e attrice», ma quest’anno, tra Showtime e Gloria!, stai proprio mettendo in chiaro: «Sono un’autrice a tutto tondo».
Se ci pensi, il primo repertorio era quasi teatro-canzone: praticamente un one girl musical. Era già in luce tutta la voglia di creare un immaginario, un mondo, un racconto che però portavo avanti io da sola, voce e chitarretta acustica. Sono sempre stata autrice, ma in effetti questi step successivi sono un’altra cosa.
C’entrano qualcosa anche i famosi tempi maturi?
Be’, sicuramente adesso i tempi sono maturi per me. Già in Minimal Musical, il primo album, c’era materiale che sarebbe potuto diventare audiovisivo. Poi ho avuto la via intermedia con Bingo, dove invece ho lavorato a fondo sui videoclip con Francesco Coppola, che ha curato la regia di ogni brano rendendolo il più cinematografico possibile. Ora Showtime ha una mono-location e prevede tutte performance ambientate nello stesso riquadro, che poi sarebbe il teatro.
Tra l’altro con un linguaggio quasi grezzo e fintamente distratto, un po’ primi anni Duemila: non avevi budget o è tutto voluto?
(Ride) Il budget non si dice mai. Però certo, è tutto voluto. Il fatto è che da almeno tre anni non riesco a non girare senza la mia telecamerina, con cui riprendo tutto. I tour, il backstage del film, le interviste. L’ho inserita anche in Showtime perché ci stava, perché è un linguaggio che ormai mi appartiene e non costa nulla. Voglio anche vedere come si evolverà, mi piace pensare a lunga scadenza.
Possiamo dire che il tema di Ave Maria è una miccia che s’accende facilmente, mentre con Canzoncina – e l’annesso talk – risultare attraenti era più complicato?
Sì, sapevo che l’argomento era più complesso in questo senso. Tutto Showtime è impostato come un vero incontro lì per lì, non sono né un’attivista né una divulgatrice, il mio punto di vista è quello di una cittadina che chiede delle cose. E poi il podcast non è scritto, è volutamente improvvisato, anche se è evidente da che parte sto io. Potevo scegliere tanti divulgatori di quel tipo ma ho voluto Fartade per la sua capacità di far virare l’argomento sugli esseri umani, sul modo che hanno di affrontare le tragedie. Pensa al passaggio in cui parliamo del buco nell’ozono. Mi piace che l’episodio si concentri anche sull’unione tra arte e scienza, due enormi facoltà degli esseri umani: l’arte per tradurre la realtà e la scienza per guardare al futuro. Ad esempio Adrian parla del prossimo milione di anni, e quella mentalità mi fa impazzire.
L’aspetto interessante è che il tuo pubblico si aspetta esattamente questo da te, che sei diversa da Calcutta o da Truppi, certo, ma pure da Marracash e Bianconi.
Forse se lo aspettano, sì. E non sottovaluto assolutamente il mio pubblico, so benissimo chi sono le persone a cui mi rivolgo, che poi sono quelle che vengono a sentirmi dal vivo. Io comunque appartengo a un’altra generazione ormai, ho 35 anni, vengo dagli anni ’10 dell’indie italiano. Sai com’è oggi, c’è l’artista streaming, quello radio… io credo di essere un po’ l’artista live. Ho meno ascolti streaming e più persone che vengono a sentirsi un concerto. Magari la dimensione live è quella che mi rappresenta di più, perché mi diverto da morire a stare su un palco.
Credi che il tuo target sia ancora “universitarie al primo anno”?
(Ride) No, è un po’ cambiato. Gli universitari crescono e magari hanno fatto pure dei figli. Però sì, le giovani donne che si affacciano alla vita restano un pubblico presente. Che poi non è vero giovani donne, perché in realtà ai live è pieno di ragazzi, quindi anche quando dicono che è musica per femmine: no. Ci sono studenti, quarantenni che portano i figli ai concerti, bambine e bambini di 8, 9 anni. Il fatto che ci siano dei bambini nel mio pubblico mi sembra sempre una ficata, perché sono un pubblico purissimo, loro mica li freghi.
Il tuo primo film da regista si chiamerà Gloria! e sarà ambientato sul finire del Settecento: mica spunterà Umberto Tozzi in qualche scena d’epoca?
No, devi aspettarti più un bel Vivaldi di inizio Settecento. E poi non c’avevo proprio i soldi per mettere Gloria di Umberto Tozzi, scherzi? (ride)
Invece troveremo una sorta di coerenza estetica tra il film e il tuo immaginario discografico (videoclip, live, messa in scena dei temi)?
Anche qui l’immaginario è molto prepotente proprio perché è un film in costume, pieno di musica. Dei miei videoclip non ho mai fatto la regia, però è vero che c’è molto di mio. Con l’impianto visivo ci sarà per forza coerenza, perché il direttore della fotografia nonché primo operatore del film è lo stesso di tutti i miei videoclip, Gianluca Palma. La grande differenza è che in questo film io non recito, però ho scritto la sceneggiatura. Quindi chi mi conosce potrà sentire risuonare un modo di parlare dei personaggi o quello che penso delle istituzioni clericali. È anche un film molto femminile e femminista, c’è sicuramente coerenza con la persona che sono. Però ricordiamoci che è un’opera prima, è un debutto. Ma ci saranno anche tutte le musiche scritte da me e prodotte da Dade: era quello che volevo fare da tanto tempo. I detrattori diranno: «Seh, vabbè, mo’ pure la regista». Ma chi se li incula.
L’hai detto. Ave Maria, Canzoncina, e poi? Ce lo anticipi come andrà a finire questo Showtime?
E poi ci saranno le separazioni d’amore, di un amore disperato, e infine un tema bellissimo, che non vedo l’ora di far uscire. Una canzone che ho co-scritto con Andrea Bonomo ed è partita da un suo ritornello. È una canzone sulla guerra, ma raccontata dal punto di vista delle donne e dei bambini. Che sono uguali in tutto il mondo, no?
A un certo punto, in Tragicamente ottimisti, c’è uno zoom su un tuo primissimo piano: mentre Fartade parla, tu stai piangendo.
Mi sono commossa, sì. Perché Adrian ha raccontato che prima dell’umanità c’erano solo dei pesci sul fondo del mare, e guardavano la superficie dell’acqua pensando che fosse un altro pianeta, come noi oggi guardiamo Marte. Quella lettura della realtà e quell’ampiezza di visione mi emozionano molto. Mi commuove che lui abbia un modo di parlare così incredibile e che gli esseri umani abbiano una mente così elastica.
In quel momento ho pensato a La meglio gioventù, quando cantavi: “C’avete preso e buttato nel vento / È andato tutto distrutto / Avevamo tutti almeno un sogno, ce ne hanno chiesti di più”.
La meglio gioventù… Ero un po’ di cattivo umore, quel giorno che l’ho scritta. Sentivo di dover lottare contro il mondo. E oggi la lotta continua, però con un po’ più di speranza rispetto a prima.