Appena trascorsi 50 minuti dentro l’ascolto immersivo di Again, il nuovo album di Oneohtrix Point Never, un lungo tappeto ambient inseguito da spasmi di glitch elettronici e flauti pastorali lascia spazio ad un improvviso silenzio, come a suggerire la scena finale del film che non sapevi di star guardando. A seguire Ubiquity Road entra così A Barely Lit Path, la traccia di chiusura del disco, in cui la voce di Daniel Lopatin (l’uomo dietro alla sigla OPN) viene come posseduta dal vocoder (già presente in scaletta in World Outside e Krumville). I versi – che precedono una lunga parte orchestrale, tra un barocco noise e un crescendo quasi epico – suggeriscono la ricerca di “un sentiero appena illuminato, dalla tua alla mia casa”. Lo schermo del cinema si spegne per il ritorno a casa.
Again, uscito ieri per Warp Records, è il decimo album per Oneohtrix Point Never e – diciamolo subito – è la conferma (se ce ne fosse ancora bisogno) del talento di Lopatin. Il guru della nuova musica sperimentale è stato per lungo tempo messo al centro dell’eterna discussione secondo cui nell’ultimo decennio una particolare frangia di musica elettronica “colta” a un certo punto sia uscita dal club per sonorizzare installazioni dentro le gallerie d’arte e flirtare con il mondo accademico. Tutto vero, per carità, ma questo capitolo sembra dirci molto altro sul livello di Lopatin, chiarendo una volta per tutte un talento che prescinde dall’amicizia con The Weeknd (solo pochi giorni fa Abel Tesfaye ha pubblicato foto dei due in studio) o le commissioni di Hollywood.
Again ci racconta infatti di un Lopatin oramai a suo agio dietro una scrittura importante, sincera e che contrariamente alle apparenze si allontana dal concetto di avanguardia-per-l’avanguardia. Guardando al microscopio ciò che succede nell’album, Again è un autoritratto. Per Oneohtrix Point Never, d’altronde, in questi dieci anni è successo un po’ di tutto: ha co-prodotto Dawn FM di The Weeknd, scritto la colonna sonora di The Bling Ring di Sofia Coppola, collaborato con David Byrne, Ryuichi Sakamoto, Anhoni, e ancora James Blake, Arca e Rosalía (che presta la voce in Nothing’s Special da Magic Oneohtrix Point Never del 2020). Per uno capace di star dietro alle mille facce della sua stessa personalità, a quanto pare, questa storia del culto fine a sé stesso e del prototipo di “persona dietro le cose sofisticate” cominciava a diventare un po’ un limite.
Perché in fondo nel mondo di OPN niente è davvero reale e tutto si trasforma quadrante dopo quadrante, come in un videogioco arcade che carica i paesaggi frame dopo frame, lasciando il dubbio su quali colori aspettarsi un istante dopo il passaggio del tuo personaggio. Per Lopatin, che somiglia sempre più ad un Edgard Varèse reincarnatosi in Aphex Twin, quella di sdoppiarsi o triplicarsi non è però una novità (a partire dallo pseudonimo Chuck Person con cui pubblicò nel 2010 in audiocassetta Chuck Person’s Eccojams che portò in auge il genere vaporwave in rete): portabandiera di una nuova wave della Warp Records con album come R Plus Seven, Replica e Garden of Delete, ha indagato nuovi territori (o personalità?) togliendosi lo sfizio di avventurarsi in tour con Nine Inch Nails e Soundgarden, lavorando a sonorizzazioni al Barbican e alla Tate di Londra.
«Non credo che la musica abbia bisogno di essere musica per essere musicale, o per essere musica», diceva in maniera un po’ criptica invitato a parlare per Red Bull Music Academy nel 2012. Poco più di un decennio dopo, nello spazio di un’ora di un disco che sembra una sci-fiction sceneggiata in presa diretta, il puzzle sembra completarsi: la sua passione per il post-rock più paranoico viene incapsulata in tinte di intelligenza artificiale, carezze glitch e riverberi orchestrali, tra straniamenti temporali interrotti, in coda, dalla luce accecante di A Barely Lit Path (arrangiata da Robert Ames, co-direttore della London Contemporary Orchestra, e orchestrata dal Nomad Ensemble). Alla fine della lunga escursione, tra paesaggi onirici e visioni surreali, il risveglio dal sogno somiglia all’ingresso in uno speakeasy in cui proiettano un film di David Lynch sonorizzato da Angelo Badalamenti e Wendy Carlos, mentre al tavolo del bar qualcuno legge una copia ormai ingiallita de Il mondo nuovo di Aldous Huxley.
Non è mistero che tutte queste costellazione di ispirazioni siano in fondo il Daniel Lopatin-pensiero: come nella pittura del fiammingo Hieronymus Bosch in cui reale e distopico sono una palette in costante contrasto, Again gioca con la dimensione del tempo per raccontarsi, senza risparmiare rudimenti della sua adolescenza, come dimostra l’invito a Lee Ranaldo dei Sonic Youth (alla chitarra su On An Axis) o la baraonda noise di Memories of Music, colma di sconvolgimenti sonori che sembrano descrivere il suo percorso fino ad oggi. Dimensione del tempo distrutta anche nelle logiche attuali: su Reddit sono stati leakati gli mp3 del disco, un gesto che sembra trascinarci indietro al Millennium bug, per quanto ormai raro e fuori contesto.
Il decimo capitolo della vita artistica di Oneohtrix Point Never somiglia alla dimenticata storia di Joe Meek, eccentrico ingegnere del suono londinese che cercò di creare una personale rappresentazione di ciò che potrebbe esserci nello spazio. Affascinato dal programma spaziale, Meek credeva a forme di vita che vagavano altrove nel sistema solare, tanto da concettualizzarne il pensiero in I Hear a New World, album uscito nel 1959, due anni dopo il lancio del satellite Sputnik 1 in orbita. Era musica che faceva già eco a una certa visionarietà pop sperimentale ma con una anima anticipatoria: invece di registrare tutte le parti dei musicisti mentre suonavano insieme, in tempo reale, Meek isolò gli strumenti e elaborò ciascun elemento, dalle chitarre alle voci, utilizzando una serie di effetti e dispositivi elettronici fai-da-te per la creazione di suoni, fino a ottenere qualcosa di straordinario e nuovo. Qualcosa che più avanti avremmo iniziato a chiamare avant pop.
Meek non sapeva né leggere né scrivere la musica, eppure aveva un talento prodigioso. Daniel Lopatin sa fare entrambe le cose, e in questo capitolo dimostra di aver maturato queste capacità al punto da spazzare via ogni qualsivoglia perplessità sul suo talento. Se I Hear a New World fotografava un momento di speranza, curiosità ed eccitazione, profetizzando — come allude l’illustrazione della sua copertina — un allunaggio che si sarebbe concretizzato un decennio dopo, Again è destinato a lasciare in eredità un linguaggio postumo al suo stesso tempo, nelle idee di un artista che ha deciso di rompere ogni regola, forse una volta per tutte. Musica classica che entra nei club, tecnologia che si sostituisce definitivamente agli umani, macchine del tempo per incontrare versioni precedenti di se stessi: non sappiamo ancora cosa sarà in grado di profetizzare questo disco, ma nel frattempo, per non sbagliare, lasciamoci ispirare dalla strada che indica.