Alberto Piccinini: Pensa che II solco di pesca era il titolo di un filmetto erotico del 1976 che poi girò parecchio sulle tv private di notte, dieci anni dopo: storia di un fotografo ossessionato dai culi femminili e le sue avventure con amanti e cameriere. Niente di che. Regia di Maurizio Liverani, critico cinematografico iscritto al PCI che nei tardi anni ’60 stracciò la tessera, si buttò a destra e girò un primo film dal titolo piuttosto cult: Sai cosa faceva Stalin alle donne? Flop terribile, un po’ come i programmi di Pino Insegno, è il destino. Che ti devo dire? Siccome qua a Roma l’Esselunga è un’entità lontana ed esotica – un po’ come Whole Foods a New York – ho potuto osservare la questione con una certa distanza accademica, come un filmetto di Muccino. Per esempio mi ha molto interessato la lettura della pesca come metafora sessuale. Non una banana, neppure una mela regala la bimba al papà. Probabilmente lei è più diabolica di quanto pensiamo (i bambini lo sono sempre) perché così il significato della pesca sarebbe “rifatti una vita”, più o meno. Il padre – ma certi particolari si notano soltanto dopo – è stato buttato fuori casa. Invece sul Facebook dei fan di Radio 3 ho trovato ivece un dibattito esaltante sulla pronuncia esatta di pesca: pèsca oppure pésca? È un bel problema, che evidentemente interessa un target piuttosto in là con gli anni. Infatti Michele Serra l’altro giorno su Repubblica scriveva pèsca, mettendo bene in vista l’accento.
Giovanni Robertini: Eh, a proposito di metafora sessuale cito il poeta Sfera Ebbasta: “Testa coda, sto con la mia tipa su una Tesla / Chiappe sode, mmm, emoticon della pesca (skrt, skrt)”. Altro che Recalcati, che in un delirio di swag radical chic mi esce la pesca come simbolo di immortalità nella mitologia cinese! Che poi l’Esselunga di via Solari a Milano, dove è stato girato lo spot, è un noto meeting point per single: verso l’ora di cena se giri con un carrello vuoto e una bottiglia di vino e incroci una/uno con il carrello vuoto e una bottiglia di vino, altro che pesca… una sorta di Tinder fisico dove matchare tra il reparto surgelati e il banco dei salumi. Insomma, eccolo il vero spot: due si incontrano al supermercato, si piacciono e vanno a casa a fare l’amore, musiche di Annalisa, anzi, dell’Annalisa di dieci anni fa, Giusy Ferreri. Prima di cantare, ricordo, Giusy faceva la cassiera all’Esselunga di Corbetta, provincia di Milano. Fossi un creativo pubblicitario… ma per fortuna no, non lo sono.
AP: Parlando ancora accademicamente dello spot Esselunga, chi ho veramente adorato stavolta è Elly Schlein: «Non vorrei deludere nessuno, ma non ho ancora visto lo spot di cui oggi si parla», ha dichiarato a non so più chi. Brava. Una volta avrebbero risposto così Craxi o Andreotti, adesso pare una cosa radicalissima. E lo è. Magari avessimo la forza di farlo ogni tanto. Io dico sempre ai nostri figli (di divorziati, ci mancherebbe): lascia stare le pesche, prendi appunti, metti da parte, che poi coi traumi dall’infanzia ci scriverai il tuo bel coming of age novel. Oppure una canzone. Certo pensa che sollievo avere un figlio o una figlia trap, invece che far parte di quella piccola borghesia operosa che produce cantautori indie slavati e con velleità poetiche. Perché i figli cantautori indie a noi padri ce li faranno scontare tutti i traumi che abbiamo inflitto, e se non avranno successo ci faranno scontare anche quello. Invece il figlio trap è più comodo: alla mamma regala la casa, al papà se non è già morto in un regolamento di conti prima lo va a trovare in carcere poi invecchiando una casetta a Miami ci scappa pure.
GR: Era pieno di figli trap al Marrageddon milanese di sabato scorso a fare cori da stadio per Paky, Kid Yugi, Artie 5ive, loro coetanei. C’era anche un messaggio di Baby Gang che sarebbe dovuto essere lì ma alla fine non gli hanno dato un secondo permesso, dopo quello ottenuto per il concerto di Lazza di qualche giorno prima. C’era in videomessaggio, come da Fazio, e poi Marra ha detto l’unica cosa politica della maratona rap: se non conosci tutta la storia, non giudicare. Più o meno quello che non fa Andrea Crippa, il vicesegretario della Lega, mio nuovo guilty pleasure dei trash talk: ma l’hai visto? Lui sembra davvero uno di una baby gang, purissimo maranza in giacca e scarpe di legno. Mena e fa rissa di parole come Salvini ai vecchi tempi. Ora provo a mettergli l’Auto-Tune con l’AI, chissà che non migliori.
AP: Sarà l’autunno alle porte, sarà che ho visto al tg le immagini per il compleanno di Silvio Berlusconi dall’ultimo piano del palazzo della Regione, con Salvini, Barbara, Galliani, Confalonieri il video celebrativo e la scoperta della targa celebrativa. Molto oltre ogni possibile orizzonte fantozziano. Sarà che stamattina ho ascoltato l’ultimo album degli Animal Collective che è appena uscito. Dentro c’è una canzone di 22 minuti sul diventare grandi, guardarsi allo specchio, accorgersi che le “opportunità radicali” sono passate da un bel pezzo. Mezzo Beach Boys mezzo Pink Floyd, è il loro stile. La canzone si chiama Defeat, sconfitto, anche se vorrebbe dire il contrario. Succede sempre così nelle canzoni. E adesso vado alla Conad qua sotto che è già tardi.
GR: Viva gli Animal Collective e l’autunno di psichedelia e funghetti (vanno bene anche porcini)! Io volevo sentire il nuovo Oneohtrix Point Never ma non ho fatto in tempo. Mi sono perso nel pezzo di oltre 10 mila battute che gli ha dedicato il New Yorker. Diecimila! Un pezzo di giornalismo vero dove scopri che suoi genitori sono immigrati ebrei russi e che, prima di lasciare l’Unione Sovietica, sua madre insegnava lezioni di musica e suo padre suonava una tastiera Roland Juno-60 in un gruppo rock chiamato Flying Dutchmen. Non quei pezzi cotti e mangiati, probabilmente scritti con ChatGPT che mi capita di scrollare ogni giorno. Lo so, lo so, è un commento boomerissimo il mio, ma vuoi mettere la bellezza di leggere Amanda Petrusich su un treno Roma-Foggia come un Elkan qualunque, mentre intorno a te stanno tutti a twittare dello spot dell’Esselunga? Chiudo traducendo le parole robotizzate di Oneohtrix Point Never che aprono uno dei pezzi del disco e che la nostra Amanda Petrusich non si fa sfuggire: “Se svuoto la mente, scavo il cranio, quali doni troverei? Non c’è niente dentro, solo una lumaca che fornisce un percorso appena illuminato da casa tua alla mia”. Buon weekend.