Le persone si possono dividere in due categorie: quelle che simpatizzano in modo empatico con i ricchi e famosi e quelle che non li riescono proprio a sopportare. Beckham, la nuova docuserie uscita questa settimana su Netflix e realizzata da Fisher Stevens (sì, proprio lui, il nerd di Corto Circuito e, più di recente, tra i volti di Succession), tira una linea decisa tra questi due modi di pensare. Odi et amo, proprio come la carriera di David Beckham.
Per chi si pone dal lato della barricata dell’odio, qui i presupposti per l’hating sfrenato ci sono tutti. Parliamo infatti di un documentario su Beckham voluto dallo stesso Beckham, quindi potete immaginare come la narrazione – per quanto Stevens si sforzi di renderla plurale e corale – resti sempre filtrata dallo stesso calciatore. Tutto dipende da Beckham: le partite e i campionati vengono vinti solo grazie a lui, le partite e i campionati vengono persi solo per colpa sua. Che una partita di calcio coinvolga 22 atleti poco importa, se in campo c’è Becks gli altri 21 sono figuranti. «Siamo una famiglia, si vince e si perde tutti assieme», dirà il suo compagno di squadra al Real Madrid Roberto Carlos ricordando lo scudetto vinto insieme dopo anni di sofferenze, ma per i coniugi Beckham (e Stevens che li segue a ruota faticando a prendere una distanza oggettiva) non funziona proprio così: tutti gli altri sono comprimari. In ultimo, ma estremamente importante, Beckham è stato un calciatore dal talento cristallino, di una bellezza fuori dal comune, che ha sposato una delle donne più famose dell’epoca, la Spice Girl Victoria Adams. E nonostante questo, nella serie è sempre lì a piagnucolare: basterà questo a far impazzire anche il più tranquillo degli hater.
Per chi, invece, ama crogiolarsi nei mondi impossibili delle star, la storia di Beckham è un rollercoaster emotivo che sembra scritto appositamente per la televisione. Cresciuto nelle giovanili della sua squadra del cuore (anche se più per volontà di un padre molto insistente, poco indagato nella serie), cioè il Manchester United, il piccolo David riesce a diventare il giocatore simbolo del suo team e della Nazionale inglese. Tutti lo vogliono, tutti lo amano; ma lui perde la testa per Posh Spice (di cui parla ancora oggi pieno d’amore), i due si sposano e la coppia diventa un brand mondiale che fa impazzire i tabloid (c’è chi nella serie li paragona a Lady Diana). Le pressioni dei media e dei paparazzi, e una serie di pessime scelte sportive, trasformano la carriera di Beckham in una sinusoide impazzita: vince tutto con il Manchester, ma viene venduto dalla società senza pietà; è l’enfant prodige del calcio inglese, ma delude una nazione intera ai Mondiali venendo fischiato per gli anni a venire; va a giocare nei Galácticos del Real Madrid (con Ronaldo, Figo, Zidane, per intenderci), ma verrà messo fuori squadra per aver firmato un contratto per trasferirsi nelle desolate terre calcistiche degli USA. C’è tutta ciò che serve per la mitologia dell’eroe: la scalata dalla working class, i successi, le cadute, gli amori, i tradimenti, il lieto fine. E Beckham non fa nulla per dissimulare quest’immagine da sé: bello, bellissimo ancora oggi a 48 anni (a differenza dei compagni intervistati), è un martire, è l’atleta che ha dovuto subire ogni pressione possibile per portare i calciatori nell’Olimpo in cui li conosciamo oggi.
In mezzo a questa tragedia greca, però, la vera protagonista è lei, Victoria Adams. Presentissima nei quattro episodi (Stevens le concede ampio spazio), è la (finta) spalla ideale del marito. Borghesissima e autoironica in un modo tutto suo (il momento in cui prova a spacciarsi per figlia della working class e Beckham la costringe ad ammettere che veniva portata a scuola in Rolls-Royce è il più alto della serie), sempre alla moda oggi come ieri (sarà lei a costruire i tanto chiacchierati look del marito a fine anni ’90) e – apparentemente – molto più attenta ai bisogni del partner e dei figli, Victoria Adams è ancora adesso la Posh Spice tanto odiata/amata. È lei che, lo si voglia o no, direziona l’intero racconto. È lei che innalza il culto popolare attorno a Beckham, è lei che – prima con i tour, poi con le gravidanze – condiziona le prestazioni in campo di Beckham, è lei che, in base alle simpatie con allenatori (Sir Alex Ferguson del Manchester United non poteva sopportarla) e nazioni (celebre l’uscita ai tempi del Madrid: «La Spagna puzza d’aglio»), muove la carriera del marito nelle direzioni a lei più favorevoli.
Questa docuserie, in fondo, è niente più che una storia d’amore. Una storia d’amore tra Victoria e David più che tra Beckham e il mondo del calcio. Certo il calcio ha la sua importanza (pregevoli i filmati d’epoca e le interviste a Ronaldo, Figo, Capello, Salgado, Gary Neville, Cantona, Keane, Sir Alex Ferguson, Florentino Pérez, giusto per citarne alcuni), ma la distanza di Stevens da quel mondo la si percepisce: è il football raccontato da chi non sa nulla di quello sport (e che infatti lo chiama soccer). Questa mancanza – ammessa dallo stesso regista a Variety («Non sapevo molto di lui, se non che era un bel ragazzo che piaceva ai brand e che aveva sposato una Spice Girl») – si porta dietro delle carenze nella narrazione, come la linea temporale piegata a proprio piacimento dal regista e che non rende davvero onore alla carriera del golden boy (a tal proposito consigliamo The Class of ’92, documentario che racconta molto meglio l’importanza di Beckham e della sua generazione nel calcio moderno e nella storia del Manchester United).
David Beckham è stato l’antesignano del calciatore moderno. È stato il primo vero calciatore a legarsi in modo così stretto ai brand, trasformando la sua persona in icona mondiale. Beckham è stato più-grande-del-calcio, anche se forse questo gli è costato molto sul campo da gioco. Ha vinto tanto, ma meno di quanto avrebbe potuto, è stato tra i migliori, ma non ce lo ricordiamo per questo. Il Beckham atleta è stato pian piano mangiato da tutto ciò che succedeva off the pitch, non è un caso infatti che sia stato praticamente allontanato da tutti i club in cui ha militato (United, Real, la Nazionale) nonostante a detta di tutti gli intervistati fosse una bella persona e nonostante lui stesso ci racconti di grandi complotti mediatici attorno a sé.
Beckham è la celebrazione di un personaggio di culto degli anni ’90 e del primo decennio del millennio, un personaggio che nella sua evoluzione ci ha svelato con largo anticipo il mondo turbocapitalista che saremmo andati a vivere. L’unica cosa che conta alla fine di questi quattro episodi, come viene spesso ripetuto dai protagonisti della docuserie, è che David e Victoria stiano ancora assieme. Un po’ per amore, un po’ per brand, il lieto fine c’è. E va anche bene così.