Per molte ragioni, Mike Flanagan è l’autore perfetto per l’era Netflix che stiamo vivendo. Il gigante dello streaming ha cominciato, negli ultimi anni, a realizzare meno stagioni per ogni serie, e spesso a cancellare intere serie prima che abbiano chiuso il loro arco narrativo. Tecnicamente Flanagan non sta facendo un’unica serie: scrive e dirige diverse miniserie in cui tende a scritturare gli stessi attori, come Carla Gugino, Henry Thomas, Rahul Kohli e sua moglie Kate Siegel. I differenti progetti – tra cui The Haunting of Hill House, The Haunting of Bly Manor e Midnight Mass – non sono sempre uguali per registro e toni, ma in un modo o nell’altro possono essere catalogati sotto il genere horror. E, presi tutti insieme, costituiscono una più ampia antologia dell’orrore letterario, finendo per risultare una versione meno kitsch di American Horror Story. Costruendo i suoi progetti in questo modo, Flanagan continua dunque a raccontare le sue storie stagione dopo stagione, e senza temere che Netflix gli chiuda le produzioni: è un metodo di lavoro molto astuto, il suo.
La sua ultima creatura – La caduta della casa degli Usher, su Netflix dal 13 ottobre – riporta sullo schermo molti degli interpreti che ci sono familiari, e rivisita alcuni dei temi cari a Flanagan, dalle famiglie disfunzionali al fatto che siamo sempre perseguitati dal nostro passato. È un ottimo prodotto per moltissime ragioni, ma, per qualche motivo, è il primo progetto di Flanagan che non sembra trovare in Netflix la sua vera casa: funzionerebbe molto meglio come serie di cui esce un episodio alla settimana, invece che come prodotto da binge-watching.
Come The Haunting of Bly Manor, la nuova serie è una fusione di diverse opere dello stesso autore: in questo caso, Edgar Allan Poe. La cornice narrativa si ispira al racconto omonimo: il ricco Roderick Usher (Bruce Greenwood) narra al pubblico ministero C. Auguste Dupin (Carl Lumbly) la storia della rovina della sua famiglia. Ma altri lavori di Poe vengono inseriti nel corso della storia, come il giovane Roderick (interpretato nei flashback da Zach Gilford) che scrive la poesia Annabel Lee come omaggio alla sua prima moglie (Katie Parker) o i titoli di certi episodi presi direttamente dal corpus letterario di Poe (vedi La maschera della Morte Rossa o Il pozzo e il pendolo).
Se avete una conoscenza superficiale di Poe, o se proprio non conoscete affatto i suoi racconti, La caduta della casa degli Usher funziona comunque come universo a sé. Se invece sapete quanto sono importanti i corvi nel mondo dello scrittore, o capite perché Roderick e sua sorella Madeline (Mary McDonnell) fissano un muro di mattoni in cantina, allora ciò costituisce un divertente plus. Altre citazioni valgono come semplici Easter eggs: Dupin, per esempio, prende il nome dal personaggio di Poe che viene unanimemente considerato il protagonista dei suoi gialli degli esordi.
La serie vanta un grande cast sia nei flashback del passato che nel racconto presente, dove troviamo i sei figli di Roderick – il nullafacente Frederick (Henry Thomas), l’influencer Tamerlane (Samantha Sloyan), la ricercatrice medica Victorine (T’Nia Miller), il magnate dei videogiochi Napoleon (Rahul Kohli), la PR Camille (Kate Siegel) e l’aspirante proprietario di club Prospero (Sauriyan Sapkota) – ciascuno alle prese con un periodo complicato della sua vita, tutto ciò mentre Dupin sta cercando di arrestare Roderick in quanto boss di una società farmaceutica che forse ha giocato un ruolo chiave nella tragica crisi degli oppioidi. E mentre i fratelli (*) muoiono uno dopo l’altro, Roderick e Madeline continuano a vedere Verna (Carla Gugino), la barista che avevano incontrato in un momento cruciale delle loro vite decenni prima, e che non pare invecchiata di un giorno.
(*) Tutti i nomi dei personaggi sono omaggi a Poe, ma la maggior parte di loro preferisce un soprannome più semplice e moderno: Leo invece di Napoleon, Perry al posto di Prospero, eccetera.
Flanagan stavolta alza moltissimo l’asticella, mettendo insieme i classici di Edgar Allan Poe con elementi di Succession e Dopesick – Dichiarazione di dipendenza. Forse è troppo per una singola storia, ma la cornice narrativa riesce a tenere insieme tutto. Greenwood e Lumbly sono già apparsi in precedenti film di Flanagan (erano insieme in Doctor Sleep, e Greenwood interpretava la parte del marito di Gugino nel Gioco di Gerald), ma questo è il loro esordio nel Mike Flanagan Expanded Television Universe. Sono entrambi due veterani che hanno già interpretato diverse variazioni di questo stesso ruolo: Greenwood è stato spesso il compiaciuto bastardo che riesce sempre a farla franca, Lumbly il prode ufficiale retto e indignato di fronte all’ingiustizia. In questa serie, portano il loro carisma dentro la cupezza della storia e la tengono insieme, nonostante le tante tangenti che prende Flanagan. La serie sarebbe sufficientemente appagante anche se ci fossero solo questi due signori che parlano nel salotto di quella che sembra una casa infestata: non avremmo nemmeno bisogno dei flashback su ciò che ci viene descritto da Roderick.
Il resto del cast non è da meno. La grande McDonnell è forse un po’ sottoutilizzata, ma incarna meglio di chiunque altro la spietatezza che ha portato gli Usher così in alto, condannandoli allo stesso tempo al loro infausto destino (*). Mark Hamill, con la sua voce roca e profonda, porta un’aria di dark comedy nei panni del faccendiere di famiglia Arthur Pym, che, dice Dupin, è il classico tipo che chiami quando per sbaglio uccidi una prostituta e devi far sparire il corpo. Gli episodi centrali si focalizzano sul fratello Usher di turno destinato a morire, e Siegel, Kohli, Miller e gli altri sono tutti molto bravi.
(*) In uno degli ultimi episodi della serie, Madeline recita un monologo che è il tentativo di Flanagan di dire la sua su capitalismo, politica attuale, e lo stato generale in cui versa il mondo. Sulla carta sembra fin troppo ambizioso, ma McDonnell riesce a renderlo necessario e profondo.
Le varie morti sono violentissime in modi diversi, e in tutte c’è una componente psicologica terribile almeno quanto l’efferatezza fisica con cui sono stati compiuti gli omicidi. Ma la formula rischia di diventare un po’ ripetitiva, soprattutto se si guarda la serie in modalità binge-watching, appunto. Netflix continua a prediligere questa prassi, che però tende a creare pressione nello spettatore, che si sente di dover comsumare tutto insieme e subito. Alcune serie, come questa, meriterebbero un approccio diverso, per essere digerite più lentamente e più attentamente, e per non svanire dalla memoria e dal dibattito dopo un solo weekend.
Ma queste uscite in versione binge non hanno danneggiato Flanagan in passato. E certe serie, se non addirittura alcuni singoli episodi, hanno ricevuto un’attenzione che è durata nel tempo (vedi Hill House). Ho visto tutta La caduta della casa degli Usher in un paio di giorni per poterne scrivere qui, e così facendo così mi sono trovato un po’ affaticato di fronte al suo impianto formale e narrativo. Ma Flanagan e il suo mondo hanno ancora molto da dare e da dire. E pensare che, in questo sempre più confuso universo streaming, arriveranno altri suoi progetti è una prospettiva davvero rassicurante.