Quando una battuta è più illuminante di molte analisi su come stiamo vivendo le nostre esistenze inseguendo la tecnologia: «Siamo pieni di parole d’ordine: twitta, chatta, clicca, posta. Se non usi la PEC sei fuori, ma se non hai lo Spid sei un pòro coglione». In definitiva: «Un mondo dittatoriale». La sintesi fulminante è dell’attrice Francesca Reggiani, appena uscita con un libro che è Spettacolare (edito da La Lepre) di nome e di fatto perché, oltre a ripercorrere una lunga e ricca carriera – che passa dai provini con Gassman al film con Fellini e alla partecipazione di programmi cult in tv – ci restituisce uno spaccato dell’Italia degli ultimi cinquant’anni. Un memoir, con tanto di foto inedite dei vari periodi della sua (e della nostra) vita, che parte dall’infanzia e arriva all’attualità, con le ultime imitazioni di Giorgia Meloni e Concita De Gregorio che la confermano ancora oggi maestra di comicità.
E proprio una maestra, a quel tempo inconsapevole, fu la prima a sollecitare l’ispirazione satirica di una Francesca ancora bambina: «La prima battuta che ricordo è quando ci stava spiegando la storia di Maria Montessori, che, dopo aver chiesto un bicchiere d’acqua alla domestica, fu trovata morta sulla sedia a dondolo. E io, in mezzo alla classe, dissi: “Be’, sarà morta di sete”». Nell’occasione, Reggiani ci ha raccontato tanto altro: che si può scherzare su quasi tutto, ma per lei dei limiti esistono; che a teatro, rispetto al passato, la qualità si è abbassata ed è sparita la maggior parte dei punti di riferimento; e che un sogno nel cassetto ce l’ha ancora, come chiunque frequenti un lavoro creativo: «Un bel ruolo drammatico al cinema».
Prima il Covid, ora le guerre che ci riguardano da vicino. Difficile la vita per i comici?
Bella domanda… Normalmente si sostiene che si può ridere su tutto. Ricky Gervais, dal suo punto di vista, dice che è giusto farlo. Io non sono tanto d’accordo. Per me ci sono dei limiti. Per esempio le guerre, per me, danno poco adito all’ironia.
Limiti che ci si autoimpone?
Sì, anche se la satira ha una grande forza. Per esempio, sul Covid c’era l’aspetto del lockdown che si prestava. Anche quel periodo è stata una tragedia, un’esperienza epocale drammatica, ma con degli aspetti che si potevano affrontare. Come appunto la chiusura. Già i divorzi erano in aumento, anche se si parla tanto di famiglia, però con il lockdown si è accelerato il processo. Un rapporto di coppia si basa sulla presenza e sull’assenza. Se mi togli l’assenza diventa un bel problema.
Franco Califano disse che, per far durare un rapporto, è meglio dormire in letti diversi. Meglio case diverse, mentre l’ideale sarebbe in città differenti.
È un bel paradosso. I più penalizzati durante il lockdown sono stati quelli che si erano appena rifatti la casa tutta open space dall’architetto americano e, per avere un attimo di privacy, si sono dovuti chiudere nel cassettone della biancheria. C’erano aspetti del genere piuttosto ironici. Anche perché, sai come funzionano le coppie che stanno insieme da anni?
Mi piacerebbe saperlo da te.
Al mattino ci si dà un saluto e un bacio rapido tra partner, poi via fuori tutta la giornata. La sera si torna, 4-5 minuti di eloquio mentre si mangia, si guarda un filmetto insieme e poi a letto. Ma se stai assieme tutto il giorno è lì che comincia a scricchiolare qualcosa. E poi durante l’emergenza Covid c’erano i virologi…
Hanno prestato il fianco all’ironia?
Ma certo, uno diceva una cosa e l’altro l’opposto. Da quel conflitto abbiamo capito che se due virologi dicono la stessa cosa, uno dei due non è virologo.
Nel libro racconti della prima volta in cui sei riuscita a far ridere gli altri.
Il mio è un punto di vista, perché sono così anche nella vita. La prima volta che ricordo una risata sonora, da ragazzina molto timida, è stato quando la maestra spiegava la storia di Maria Montessori, che, dopo aver chiesto un bicchiere d’acqua alla domestica, è stata trovata morta sulla sedia a dondolo. E io, in mezzo alla classe, ho detto: “Be’, sarà morta di sete”. Avevo 7-8 anni. Poi ho cercato di fare anche cose drammatiche, ma preferivano quando interpretavo parti comiche. Sai, la comicità non è solo battuta, è gioco di sguardi e mimica facciale.
In seguito sono arrivati i grandi maestri, come Vittorio Gassman e Gigi Proietti.
Perché allora c’erano varie botteghe dove poter imparare, da quelle di Gassman e Proietti a quella di Paolo Panelli. Sono stati grandi attori e insegnanti eccezionali.
Franco Branciaroli ci disse: “Il teatro di oggi è al 90% amatoriale”.
Un abbassamento di livello generale c’è stato. Siamo in un periodo di grande cambiamento, e nel teatro sono cambiate le modalità. Io sono una a cui è sempre piaciuto farlo, ho cominciato da sola. Il primo spettacolo me lo ha prodotto e diretto Gigi Proietti. Oggi ci sono meno punti di riferimento, c’è molta confusione. Un cantante se stona lo capisci subito che non è capace. Un ballerino uguale. Invece un attore no.
È una attività che si presta a qualche ambiguità?
Spesso si scambia il teatro di ricerca per qualcosa di artistico, e invece magari non lo è. Non è che se fai un esercizio liberatorio, sbatti la testa al muro o strabuzzi gli occhi allora hai fatto un bel pezzo di teatro. Mancano le coordinate di giudizio. È più facile fare teatro oggi, perché siamo una popolazione di artisti e chiunque pensa di essere attore. Non è così, ci vuole un po’ di talento. Tanti lo hanno, ma vedo in giro un arbitrio diverso. Un po’ troppo libero arbitrio.
Sarà che anche la critica non ha più il peso che aveva in passato?
Non so, ma ricordo che la grande tradizione del teatro e gli interpreti di venti-trent’anni fa non se ne vedono in giro. Vado a teatro e assisto a spettacoli interessanti, però è vero che il livello si è abbassato parecchio. A 10 anni ho visto Eduardo in Natale in casa Cupiello. Per non parlare di Carmelo Bene, che se ci ripenso oggi mi chiedo se ho sognato o era tutto vero. Ma potrei fare tanti nomi, da Salvo Randone a Lilla Brignone e Giulia Lazzarini. Per non dimenticare Giorgio Strehler. C’erano in giro ogni anno dei cartelloni strepitosi.
E intanto si pensa di abbattere il Globe Theatre, fondato da Gigi Proietti.
Abbattere un teatro è sempre drammatico, sia simbolicamente che di fatto. Se poi pensiamo che a Roma è stato chiuso il Valle, è chiuso l’Eliseo, e gli spazi si riducono sempre di più…. Nella Capitale è difficile trovare teatri in cui esprimersi, che abbiano uno stile e una vitalità. Fa parte di un cambiamento che ci passa ormai sotto il sedere. Come non ci sono più i giornalai, non i giornalisti per fortuna tua, ma c’è una vera moria di certi mestieri.
E nel libro, in questo senso, riporti il tuo personaggio della bigliettaia di cinema.
Sì, preoccupata perché prima lavorava in alcuni multisala che poi sono stati trasformati in jeanserie o autosaloni. E che ora si accontenta di un cinema d’essai che ha 12 posti, ma dove pare de sta’ dentro er Frecciarossa. Però almeno lavora.
Qual è il tuo rapporto con la tecnologia?
Buono, perché ho un compagno informatico. Quindi quando ho bisogno gli dico: “Gentilmente si può vedere questo o quello?”. Il tecnico ce l’ho in casa, ma io cerco di imparare, studio, anche se il progresso è troppo veloce rispetto alla mia prima parte di vita. Prima aveva un passo più democratico. Quando è uscita la segreteria telefonica ci sembrava già un miracolo, andare oltre impensabile. Ma sai qual è stata per me la grande scoperta rivoluzionaria?
Sono curioso.
Il balsamo per capelli! Avrò avuto 10-11 anni. Sai, prima c’era un unico saponaccio per uomini, donne e cavalli. Adesso ogni cinque minuti c’è una novità. Se devi pagare una multa ti devi prenotare al portale del Comune e poi ricordarti le password per ogni cosa, quelle sono un incubo. Ogni app e sito ha le sue, e ogni tot devi cambiarle. Ci siamo cacciati dentro un mondo dittatoriale pieno di parole d’ordine come twitta, chatta, clicca, posta.
Mi sembri un po’ soffrirne, o sbaglio?
Per forza, se non usi la PEC sei fuori, se non hai lo Spid sei un pòro coglione. O ci stai dentro o sei finito. Sono volenterosa, un po’ de coccio come si dice a Roma, ma rimane la sensazione di dover portare cinque materie a settembre. Come impari una cosa te ne escono altre cinque nuove, e quindi tutto risulta molto complicato.
A proposito di Roma, ogni sindaco che passa sembra più un parafulmine che un risolutore dei problemi di una città bellissima ma con mille magagne. Adesso a che punto siamo?
Ultimamente ci sono un sacco di lamentele, perché sembra una città sotto assedio per il Giubileo del 2025. Ci sono strade chiuse, viabilità deviata, lavori ovunque. Sono stati cambiati i sensi unici dalla sera alla mattina. Da sessant’anni fai una strada e in una notte ti ritrovi a fare giri pazzeschi per arrivare dove devi. Vicino a dove abito io un ponte sarà chiuso per due anni. È un casino che ti cambia il rapporto con l’economia della tua giornata, che è fatta di tempo. E la perdita di tempo è tremenda. Ti scippano le mezz’ore e le ore. L’impatto dello scorso Giubileo mi è sembrato più lieve, con i lavori meglio dilazionati. Ma tanto il sindaco non si vede mai. Mi pare, mi sembra, direi, forse… se Roberto Gualtieri si facesse una passeggiata in Via del Corso il sabato pomeriggio, non lo riconoscerebbe nessuno.
Le tue imitazioni più famose sono quelle di Sabrina Ferilli e Susanna Agnelli, e ultimamente di Giorgia Meloni e Concita De Gregorio. Qualcuno si è mai lamentato?
Di solito chiamano per ringraziare. È successo tante volte. Anche perché, come diceva Andreotti, è un grande passo, quello di essere imitati. Ma è vero che un sacco di gente si offende, visto che non tutti sono corredati dal senso dell’ironia o dell’autoironia.
Viviamo in quella che Guia Soncini ha definito in un suo libro “l’era della suscettibilità”?
Verissimo! Fa molto parte del mio mestiere, gente che si offende perché le battute vengono prese a livello personale, quando invece non lo sono. C’è un appiattimento a dire soltanto le cose in maniera mediana, e questo non è un bene.
Infatti nel libro scrivi: “Nei tempi che viviamo siamo soggetti a una tacita censura”.
Proprio così, e aggiungo che è invece molto importante avere la libertà di dire quello che pensi. Prima si poteva dire tutto, oggi tutti si offendono per tutto. Non ci sentiamo più liberi. La tendenza è quella di non sentirsi di poter dire qualcosa altrimenti qualcuno si offende. Poi ci sono gli haters, per cui se uno dice “viva le taglie forti” c’è l’associazione dei magri che ti insulta, al contrario se dici “viva i magri” quelli in sovrappeso se la prendono. E si offendono quando non c’è niente di cui offendersi. Sempre che poi, già che ci sono, non ti offendano violentemente.
Sei mai stata censurata?
No, devo dire mai. Io negli show ho sempre detto quello che mi pareva. Non vado giù con l’accetta, però ho sempre voluto la libertà di dire quello che voglio. In tv sono riuscita a dire tutto senza che mi limitassero. Per esempio, anche ultimamente in Gatta morta (su Rai 3 e Rai Play, nda), dico di tutto, anche sulla Meloni o Concita De Gregorio. Il senso della satira è non nominare esattamente quella cosa, ma farla capire attraverso metafore.
Eppure Dagospia, che mi sembra ti apprezzi parecchio, ha “denunciato” che la Rai è arrivata in ritardo a mandare in onda il tuo spettacolo.
È chiaro che per una battitrice libera come me, che va avanti senza far parte di grandi scuderie, è più difficile. Però sono soddisfatta di quello che ho realizzato. Quando ho fatto vedere alla Rai i video non mi hanno detto una parola, a parte di riadattarli un po’ nelle tempistiche. E io Dagospia lo ritengo sia eccezionale. Riporta le cose con grande precisione perché è un’agenzia di stampa genialoide, un veicolo importante per l’informazione italiana.
C’è in circolazione una erede di Francesca Reggiani?
Intanto, più che eredi li considererei colleghi che stimo. A me piace molto Pintus, amo Pio e Amedeo, e ci sono tante altre colleghe donne che si stanno formando, vedo diversi pezzi di satira fenomenali. Per non parlare di Checco Zalone, che è un’apoteosi.
Hai ancora un sogno nel cassetto?
Per forza, è il divenire dell’attore. Il mestiere creativo ha sempre un sogno nel cassetto. Uno era questo libro, che mi è costato anni di lavoro per riportare uno spaccato degli ultimi tempi del nostro Paese attraverso personaggi e commenti. È un privilegio averlo pubblicato. In generale sono soddisfatta della mia modesta carriera, e mi rendo conto che, anche se uno vuole il meglio, da sola non è poco quello che ho raggiunto. Ho due collaboratori, lavoro in maniera artigianale, ho una mia inventiva e spesso improvviso. Come con Concita De Gregorio: ce l’avevo in mente, ma l’ho imitata quasi interamente improvvisando.
Possiamo dire che uno dei tuoi sogni nel cassetto potrebbe essere un ruolo drammatico, magari al cinema?
Forse è proprio quello che mi manca al cinema. Dopo aver lavorato a livello teatrale con Gabriele Vacis, regista dello Stabile di Torino, e con Monica Guerritore, portando per tre anni in giro Mariti e mogli di Woody Allen, che reputo un genio, al cinema mi manca un ruolo importante. Sul grande schermo sei una plastilina nelle mani dei registi. Ecco, se avessi la fortuna, prima o poi, di essere plasmata da un grande regista, sarebbe un’esperienza straordinaria che non ho ancora vissuto.
Lanciamo un messaggio a qualche regista?
No no, se succede succede. Penso che un rapporto del genere in età matura mi manchi e mi piacerebbe. Non lancio messaggi, ma se accade che un regista mi trovi interessante sarebbe una bella esperienza. Altrimenti, come dice il sottotitolo del libro, “finché c’è vita c’è satira”.