Per quanto la sua carriera abbia meno di una decina d’anni di vita, quello di Tkay Maidza non è affatto un nome fuori dai radar. Nata in Zimbabwe e trasferitasi in tenera età in Australia, per via del lavoro dei genitori, la sua strada è stata piuttosto precoce: una trilogia di EP tra il 2014 e il 2020 — Switch Tape e Last Year Was Weird 1 e 2 —, le prime esplorazioni elettroniche nelle collaborazioni con Bok Bok e SBTRKT e poi Troye Sivan, la vittoria agli ARIA Awards del 2021 come Miglior album soul/R&B e agli NME Award nel 2022, come Migliore artista solista australiana.
Tante, tantissime cose per pensare di essere un volto nuovo, eppure non ancora abbastanza carne al fuoco per quanto le riguardasse: Sweet Justice, appena uscito per 4AD, è infatti il secondo album della rapper afro-australiana trapiantata a Los Angeles, e urla di cambiamenti, nuove strade e passione hip-hop che vuole modernizzare il soul. «Quest’album nasce nel 2021, e inizialmente, ad essere sincera non ero neanche del tutto sicuro della storia che avrei voluto raccontasse», ci dice, cominciando a sviscerare la trama dietro quella che potrebbe anticipare una precoce e repentina prova di maturità discografica. «Sicuramente si combinava ad un periodo colmo di pesanti cambiamenti, relativi a questioni di famiglia ed amici», prosegue.
Sweet Justice ha infatti una scrittura molto personale e intima, ma non scade mai nel romanticismo dozzinale o nel pop elementare, un marchio di fabbrica che è possibile scorgere tra i brani più riusciti come Out of Luck (con Lolo Zouaï e Amber Mark), Walking on Air e le pulsazioni sintetiche di Ghost!. Questo perché il suo hip-hop centrifugato in moderno funk risponde ad un identikit che l’hanno resa capace di mettere insieme influenze sempre diverse, ma sempre coerenti con il suo percorso: «Sono cresciuta in una famiglia in cui la vibe che ascoltavi era sempre molto positiva, uptempo, con storie che lasciavano un messaggio di rivalsa attraverso la musica». Per la protégée di Charli XCX, da tempo vicina alla rapper (e per cui si era tolta il lusso di aprire gli show americani durante il tour dell’album How i’m feeling now, poco dopo le restrizioni COVID), il percorso di crescita non si è mai adagiato nell’adattarsi, quanto piuttosto propenso a maturare esperienza attraverso nuove conoscenze: «Sono sempre me stessa, sia che si tratti di lavorare con artisti incredibili come Charli o con altri dallo stile molto peculiare come JPEGMafia», riferendosi al rapper newyorkese, amico di James Blake, con cui ha scambiato collaborazioni nel recente passato.
Tkay non è infatti nuova a collaborazioni di questo spessore, avendo già prestato la voce a Martin Solveig (per il singolo Do It Right nel 2016) e fatto da spalla, in tour, alle popstar di oggi per eccellenza, Billie Eilish e Dua Lipa: «Credo che il vero segreto, se di questo si può parlare, sia che con artisti di un certo tipo riesco a far venir fuori le mie influenze più strane, in qualche modo ribelli, che sia un modo di fare dance mischiandosi al pop o si tratti di intercettare elementi soul in produzioni contemporanee. È una cosa che sento molto mia, e per questo spontanea, a prescindere dal calibro di artisti con cui ho avuto la fortuna di interfacciarmi», afferma.
Sweet Justice regala nuovi e altrettanto succosi sodalizi che raccontano di incontri avvenuti sempre in modo particolare: «Tempo fa ho passato un lungo periodo a Berlino per regolare alcune questioni relative al mio visto. Ero isolata, triste. Ma in quel momento ho trasformato i sentimenti negativi nella voglia di raccontare le mie emozioni in modo libero, con un mood che fosse divertente e spassionato», anticipa, «e di lì a poco ho avuto l’occasione di incrociare artisti incredibili come Kaytranada, Flume e Stint che mi hanno aiutato a riordinare quelle che – a quel punto- erano qualcosa come una cinquantina di demo. Credo siano riusciti a tirare fuori il meglio dalla mia personalità, dalle mie origini: quando li ho incontrati ho capito di essere nel posto giusto nel momento giusto». Un concentrato di influenze, incontri, suggestioni, che arricchiscono un background forte e, per quanto giovane, già così paradossalmente definito. Il suo viene descritto come “il primo album rap di 4AD”, per quanto, nella commistione sonora di generi e stimoli, neanche in questo caso Tkay si vede particolarmente ferma su uno spettro di cose ferme: «Non mi considero una rapper nel senso stretto del termine, diciamo che ho degli elementi che mi avvicinano al genere. Piuttosto, il valore più importante quando firmi per etichette di questo calibro credo sia la cura che mettono nel farti diventare riconoscibile, perfezionare i dettagli, facendo parlare la tua visione».
Ma cosa c’è dietro la sicurezza di Tkay Maizda? «Sono cresciuta prendendo spunti da Missy Elliott, Busta Rhymes fino ad arrivare a nomi più recenti come Fka Twigs. Credo la mia fortuna sia stata farmi ispirare in maniera naturale da uno spettro di emozioni». E concentrandosi più sullo stile, per una penna mai banale e un sound che si arricchisce pezzo dopo pezzo, prosegue: «Credo che un giusto esempio possa essere Future Nostalgia di Dua Lipa: il mio, in modo simile, è un racconto fatto per ballare, dormire, fare festa, nell’ordine che più preferisci. Però fatto sicuramente a mio modo, ecco», dice. «Alcune delle più importanti ispirazioni, in questo percorso, sono state personalità come Janet Jackson o la prima Rihanna, ad esempio. Nella mia mente pensavo: wow, sarebbe bello trasferire queste idee su di un beat di Kaytranada».
Una delle storie centrali dell’album è quella legata al singolo Ring-a-Ling, che nella distopica regia del video a firma Jocelyn Anquetil riesuma delle paure e i successivi cambiamenti positivi passati durante gli ultimi anni: «Risale al periodo in cui rimasi bloccata a Berlino. Un’esperienza che mi ha aiutato molto a pensare artisticamente, dato che il video richiama vividamente stimoli provenienti dalla black music e da una certa cura registica dei videoclip dei primi anni duemila, fino a rievocare poi l’estetica di Kanye West e Nicki Minaj, in una sintesi totale di quanto oggi voglio esprimere», dice. Attraverso continue scosse emotive, l’album racconta una lezione importante legata al viaggio e alla condivisione di esperienze, sempre a stretto filo parlando di persone e luoghi diversi. Una lettera a cuore aperto che scaccia via amicizie finite, stimoli negativi e presagi sfortunati: «Credo questo percorso nasca con la profonda devozione per la cultura di internet, dagli stimoli per l’estetica sonora e d’immagine che mi ha dotato, con cui sono cresciuta durante gli interminabili viaggi d’infanzia, non avendo mai potuto legare troppo ad una particolare cultura o città. A livello strettamente emotivo, poi, vuole dare importanza al concetto di ascolto intimo, specie quando ci si dedica molto a conoscere gli altri e talvolta a perdere del tempo per migliorare, invece, se stessi».
E sulle recenti accuse a Lizzo (tra cui molestie sessuali e razziali, ritorsione e aggressione), prima da parte di alcuni membri del suo corpo di ballo durante gli show e poi dalla fashion designer Asha Daniels, che curava i look dell’americana nei tour precedenti, l’artista australiana – che con Lizzo è stata in tour – risponde parlando di una persona totalmente diversa da quella di cui dovrà rispondere via cause legali: «Personalmente la mia esperienza con lei è stata estremamente positiva, ci siamo divertiti molto, in tour. Non ho molto altro da dire sul resto».
Tour che aspetta anche il prossimo futuro di Tkay Maidza, con un nuovo album da suonare, come sua abitudine consolidata, in giro per il mondo tra sogni nel cassetto e prospettive mai così chiare: «Il mio obiettivo rimane quello di crescere, confermarmi. E posso dire, onestamente, continuare a lavorare con nuovi produttori come fatto di recente», dice, concludendo: «il mio passato, fino al trasferimento a Los Angeles, è stato una costellazione di paure e conferme che sono diventate musica, e che sono anche parte integrante di questo nuovo capitolo: ora è giusto voltare pagina e far sì che sia il futuro a ispirare il nuovo».