La storia la sapete (se no: pazzi!): Walter White (Bryan Cranston) è un insegnante di chimica delle superiori a cui viene diagnosticato un cancro al polmone in stadio avanzato e che decide di mettersi a cucinare meth. A fargli da spalla c’è il suo ex studente fattone Jesse Pinkman (Aaron Paul). Breaking Bad è finita quando doveva finire e quell’ultimo episodio ha cambiato tutto. Uno delle serie migliori di sempre. Che ci ha lasciato anche un ottimo prequel: Better Call Saul.

Un crime così complesso da sembrare scritto appositamente per la tv. Eppure sappiamo che è una storia verissima, quella dell’ascesa e della caduta del signore della droga colombiano Pablo Escobar, degli sforzi della DEA per fermarlo e della diffusione della cocaina negli anni Ottanta. Narcos mette insieme la forza devastante di un drama, dove la linea che separa buoni e cattivi è sfumatissima, alla verità disturbante del documentario. Ed è riuscita a sopravvivere alla morte del suo personaggio principale (vedi alla voce successiva).

Spin-off o quarta stagione? Entrambe le cose: fuori dalla Colombia, per raccontare le radici della moderna guerra della droga messicana. Da disorganizzata confederazione di coltivatori e trafficanti fino all’affermazione del cartello di Guadalajara negli anni Ottanta, con Félix Gallardo (Diego Luna) che prende il comando, costruendo un impero. L’agente della DEA Kiki Camarena (Michael Peña) si trasferisce dalla California e capisce subito che tutto sarà molto più complicato di quanto potesse immaginare.

Ascesa, cattura e fuga del narcotrafficante messicano Joaquín “El Chapo” Guzmán: dall’entrata nel cartello di Guadalajara come ingranaggio alla scalata per creare la più grande rete di traffico di droga al mondo, fino all’incarcerazione, ma anche i suoi leggendari tentativi di fuga. Tra footage-vérité e ricostruzioni, lo show va oltre il biopic e analizza la questione del traffico di droga con una visione più ampia, affrontando anche la corruzione sistematica in Messico.

Girata dal punto di vista di spacciatori, tossicodipendenti e polizia, la docu-serie regala uno sguardo “totale” sulla guerra alla droga, combattuta quotidianamente nelle strade di quasi tutte le principali città d’America. In particolare vediamo il mercato della cocaina, l’epidemia di eroina e la battaglia per la marijuana in corso al confine tra Stati Uniti e Messico. Tra chi cerca di fermarne la diffusione e chi invece sta causando l’aggravamento del problema.

Un consulente finanziario di Chicago che si trova a riciclare denaro sporco per uno dei più grandi cartelli della droga messicani e, per evitare il peggio, è costretto a trasferirsi con la famiglia nella piccola cittadina di Ozark, nel Missouri. Se volete conoscere il significato di “lavare il denaro sporco” è la serie per voi. Marty Byrde è un antieroe a là Walter White che ha il volto pulito di Jason Bateman (che qui produce e dirige anche qualche episodio), ma la vera scoperta è la straordinaria Julia Garner.

“Paghi in anticipo, poi tutto viene impacchettato e spedito. Solo che invece di un paio di scarpe, si tratta di droga”. Il true crime parte dalla storia di Maximilian Schmidt, 19enne di Lipsia arrestato con l’accusa di aver creato un impero della droga sotto lo pseudonimo di Shiny Flakes. Ed è proprio Schmidt stesso a fare da voce narrante alla serie: un giovane secchione inizia a vendere ecstasy online dalla sua cameretta, diventando uno dei più grandi spacciatori in Europa. Il tutto per riconquistare la sua ex.

La docuserie Netflix che hanno visto tutti, ma proprio tutti. E che ha l’obiettivo di sciogliere i misteri su Vincenzo Muccioli, il controverso fondatore della comunità per tossicodipendenti più grande d’Europa, ma riesce a scardinarsi elegantemente dalla questione morale, lasciando nelle mani del pubblico la scelta più difficile. Un prodotto italiano unico nel suo genere, destinato a diventare un ingombrante benchmark per chiunque arriverà dopo.

Musica, orge e droga: questo è il verbo della serie del creatore della Casa di carta Álex Pina. White Lines (e sì, le white lines del titolo sono proprio quelle che immaginate) parte come un giallo e prova a ergersi a noir in infradito. C’è una sorta di nuovo Laura Palmer, un ragazzo che organizza feste non autorizzate sulla Isla, facendo (s)ballare tutti i tossici di Ibiza a suon di musica e cocaina. E che viene ritrovato, mummificato, nel deserto in Almeria vent’anni dopo. Puro cafonal-ispanico.

Painkiller è un urlo di rabbia nei confronti dell’impero Sackler (vedi anche Dopesick e Tutta la bellezza e il dolore), la cui società Purdue Pharma ha spacciato al pubblico un oppioide che crea dipendenza e ha causato i migliaia di morti per overdose. Gli angeli della morte sono rappresentanti in minigonna, che seducono i medici con regali, bustarelle e, a volte, pure sesso. E Matthew Broderick interpreta il guru dell’Oxy Richard Sackler come una sorta di sociopatico.