Nel 2007, Matt Bomer sarebbe stato un po’ troppo giovane per interpretare Don Draper in Mad Men (Jon Hamm è più vecchio di sei anni). Sotto molti altri aspetti, però, sarebbe stato perfetto. Ha il tipo di lineamenti cesellati da canone estetico classico e un indubitabile carisma, elementi che lo fanno sembrare un uomo di altri tempi. Il suo ruolo televisivo d’esordio in White Collar, del 2009, ha persino trovato una scusa per vestirlo con abiti in stile Rat Pack, ed è apparso in una serie di opere ambientate in epoca passata, in particolare nell’adattamento Amazon di The Last Tycoon di F. Scott Fitzgerald. In quella serie, e in molti altri suoi ruoli, ha anche dimostrato una grande abilità nell’interpretare uomini che nascondono traumi e altri segreti sotto la bella facciata che mostrano al mondo.
Con la nuova miniserie Compagni di viaggio, disponibile su Paramount+, Bomer ha finalmente la possibilità di ritrarre un’immagine più vicina a quella di Draper. Nell’adattamento del romanzo di Thomas Mallon, Bomer interpreta Hawkins Fuller, un veterano dell’esercito di metà del secolo scorso diventato una figura chiave di Washington D.C. che fa di tutto per nascondere la verità su sé stesso, che ha un dono terrificante per la negazione, e che è sposato con una donna che ama, ma che a lui non piace nel modo in cui lei crede.
In questo caso, però, la storia del nostro protagonista inizia circa un decennio prima, nel bel mezzo dell’allarme rosso lanciato dal senatore Joseph McCarthy (Chris Bauer). A differenza di Don, i precedenti sul campo di battaglia di Hawkins sono reali, mentre il suo segreto è molto più pericoloso: è un gay dichiarato in un momento in cui gli omosessuali sono braccati tanto quanto i comunisti.
Adattato da Ron Nyswaner (che trent’anni fa scrisse Philadelphia, uno dei primi film mainstream su uomini gay e AIDS), Compagni di viaggio, in originale Fellow Travelers (*), vuole essere un’epopea decennale. Non solo segue la storia d’amore segreta tra Hawkins e il più idealista Tim Laughlin (il Jonathan Bailey di Bridgerton), ma mostra anche l’evoluzione dell’atteggiamento pubblico nei confronti dell’omosessualità nell’arco di oltre trent’anni, dal maccartismo all’epidemia da AIDS sotto il governo Reagan.
(*) Un’ultima nota sulla carriera di Bomer: nel 2007 ha avuto la sua prima parte da protagonista in una serie thriller di scarso successo della ABC, il cui ultimo episodio è andato in onda una sera prima del primo episodio di Mad Men. Il titolo di quella serie era, ironia della sorte, Traveler. In quel caso, si trattava del cognome di un personaggio. In questo caso, è un’espressione usata per descrivere qualcuno che sostiene l’ideologia comunista anche se non è un membro del Partito Comunista.
L’affresco storico, tuttavia, è molto meno efficace dello studio del personaggio di Hawkins e della storia della sua grande, disordinata e a volte triste storia d’amore con Tim. Il libro di Mallon si svolge quasi interamente durante l’apice del potere di McCarthy, eccetto una parte ambientata nei primi anni Novanta. L’incipit della serie è ambientato invece nel 1986, quando Hawkins si prende una pausa dalla carriera diplomatica e dal matrimonio con Lucy (Allison Williams) per ricongiungersi con Tim, che ha contratto l’AIDS. I primi cinque episodi e il finale si spostano tutti tra questa trama e gli eventi dei primi anni Cinquanta, mentre il sesto e il settimo episodio si soffermano su ciò che accadeva ai vari personaggi – e su cosa significava essere gay in America – tra la fine degli anni Sessanta e la fine degli anni Settanta.
L’idea di seguire l’evoluzione delle relazioni e dell’omofobia in questo periodo è interessante, in teoria. Ma gli episodi ambientati negli anni Cinquanta diventano ripetitivi nella loro rappresentazione della crudeltà e dell’ipocrisia di McCarthy e del suo scagnozzo Roy Cohn (Will Brill). Bauer è ricoperto di trucco, in particolare da una grande protesi nasale. Il vero McCarthy sarebbe sembrato la parodia di un politico demagogo, se non fosse stato così pericoloso e avesse causato così tanti danni a così tante persone. È difficile, se non impossibile, drammatizzarlo con qualche sfumatura. Ma il trucco e la scrittura lo rendono una sottile caricatura rispetto ai personaggi fittizi, che sono il vero punto interessante della serie (*).
(*) Bomer e gli altri hanno problemi di trucco negli episodi successivi, che sono molto disomogenei nel far invecchiare i diversi personaggi. A volte è impressionante quanto sia convincente l’aspetto di Williams come nonna negli anni Ottanta. In altri casi, l’unica differenza palpabile tra Hawkins da un decennio all’altro è la quantità di capelli grigi di Bomer. Non è un problema esclusivo di questa serie – si veda anche l’ultima stagione di For All Mankind – ma è comunque un dettaglio rilevante.
Indugiando così a lungo in quest’epoca, la serie fa sì che tutto il materiale degli anni Sessanta e Settanta, e persino alcune trame degli anni Ottanta, sembrino affrettate e obbligate. È come se Nyswaner e compagnia sentissero di dover offrire uno scorcio su quelle epoche, ma non riuscissero a capire come creare lo spazio per farle rivivere davvero (*). O la serie avrebbe dovuto attenersi alla linea temporale originale del romanzo, o avrebbe dovuto ridurre in modo significativo il tempo dedicato agli anni di McCarthy, per dare a tutto quello che segue più spazio per respirare.
(*) Purtroppo si ha anche la sensazione che si voglia spuntare tutte le caselle, come nel caso di Marcus (Jelani Alladin), un amico giornalista di Hawkins, alle prese con le complicazioni dell’essere sia queer che nero nel periodo precedente alle lotte per i diritti civili, e che resiste ai suoi sentimenti per il drag performer Frankie (Noah J. Ricketts). Sia Alladin che Ricketts regalano buone interpretazioni, ma la loro storia resta secondaria rispetto a ciò che accade tra Hawkins e Tim, in un modo che sostiene involontariamente la tesi di Marcus su come il mondo vede lui rispetto al suo amico bianco.
Ma se la struttura è imperfetta, non lo sono la recitazione e la caratterizzazione del trio centrale. Il personaggio di Hawkins è ben adattato ai punti di forza di Bomer, esattamente come gli abiti che indossa. Tra la sua vita segreta, il rapporto difficile con il padre omofobo e le cicatrici psicologiche della Seconda guerra mondiale, Hawkins è diventato un maestro nel fingere in ogni interazione e nel fare tutto il necessario per proteggersi. Non è una sorpresa che sia in grado di superare un esame poligrafico con domande multiple sulla sua sessualità, perché non si sente affatto in colpa per quello che fa, sia in camera da letto che fuori. Solo quando incontra Tim – e, in realtà, solo quando si rende conto di vedere Tim come qualcosa di più di un amico e di un partner sessuale occasionale – inizia a provare scrupoli su come tratta le altre persone. E anche in questo caso, l’amore non lo redime: lo vediamo fare cose terribili a Tim e sposare l’inizialmente ignara Lucy per nascondere ulteriormente la sua identità al mondo. Bomer domina lo schermo come al solito, e non si tira indietro di fronte ai molti aspetti egoistici e sgradevoli del personaggio. Non si trattiene nemmeno nelle frequenti ed esplicite scene di sesso, che fanno un ottimo lavoro nell’illustrare i suoi problemi emotivi – così come il suo rapporto in evoluzione con Tim – piuttosto che risultare fini a sé stesse.
Bailey e Williams, nel frattempo, mantengono l’equilibrio di questo particolare triangolo. Tim è, a conti fatti, una figura più complicata di Hawkins. Negli anni Cinquanta lavora per McCarthy, credendo ingenuamente nella causa del senatore fino a quando non si rende conto di ciò che sta realmente accadendo. Negli anni Ottanta è un attivista liberale per i diritti degli omosessuali che collabora con Marcus e altri per chiedere maggiori finanziamenti governativi per la ricerca sull’AIDS. Nel frattempo, lotta costantemente con la sua profonda fede cattolica e con l’idea che il Dio che ama possa condannarlo per essere andato a letto con l’uomo che ama. Bailey riesce a navigare con grazia tra i tanti estremi del personaggio, e a convincerci che Tim possa così spesso perdonare Hawkins per averlo trattato male.
Allison Williams ha quello che potrebbe essere il ruolo più ingrato (cfr. January Jones in Mad Men), ma lei e gli sceneggiatori trovano modi sempre convincenti per mostrare i travagli di una donna in un matrimonio come questo, sia prima che dopo aver iniziato a capire la vera natura della sua relazione. Questa non è la storia di Lucy, ma ciò non fa che esaltare la forza dell’interpretazione di Williams. Come Marcus e Frankie, Lucy vuole comprensibilmente avere il suo ruolo in questa storia, piuttosto che essere un danno collaterale nella vita di qualcun altro.
Bomer e Bailey sono, però, le due vere carte vincenti. Non riescono a superare del tutto alcuni dei problemi cruciali del modo in cui Compagni di viaggio prova a muoversi nel tempo mescolando realtà e finzione, ma fanno sentire la metà fittizia vera e toccante.