Alberto Piccinini: Devo occuparmi della mia generazione perché noi siamo un po’ come i vecchietti della Bocciofila. Shane MacGowan. Non ci siamo inventati niente. All’epoca gli annunci mortuari sui giornali erano un sobrio rito della civiltà borghese, un esorcismo per celebrare nella morte la grandezza e giustezza di tutto ciò che si era fatto in vita. Oggi lo scomposto assalto alla nostra bolla social di obituaries e madeleine di ogni genere ha lo stesso obiettivo: rendere eterno e immutabile il Passato, e sottrarlo a ogni linea diritta del tempo, prima e dopo. Gli obituaries per i Pogues, che ho amato moltissimo, sono un po’ come quando ritiri la maglia numero 10 a calcio. Dopo non ci sarà più niente di paragonabile, e la cosa non mi piace. Nei primi anni ’80 qui da noi avevamo un legame stretto con i Clash e i Pogues perché li capivamo bene. Strummer suonava la frustrazione di non poter partecipare agli scontri dei ragazzi giamaicani con la polizia. Shane MacGowan – ho letto ieri – perché non aveva avuto il coraggio di entrare nell’Ira. Paradosso per paradosso noi eravamo rivoluzionari a cui avevano sottratto ogni rivoluzione. In un certo senso tutta l’ossessione dei nostri amici trapper per le pistole e le cose vere un po’ la considero una mezza vendetta per quella frustrazione. Ma da lontano, molto lontano.
Giovanni Robertini: A proposito di frustrazione e rivoluzione, stamattina mi sono ascoltato il nuovo album di Ghali Pizza Kebab Vol. 1 sperando di trovare un pezzo che parlasse di quello che sta succedendo a Gaza, in Palestina, soprattutto dopo i suoi post sui social ripresi dalla pagina IG Fronte Maranza per la Liberazione. E invece nulla, un buon wrap di trap, strada e soldi, ma niente argomenti indigesti all’algoritmo e alle case discografiche, tipo la “situa” in Medio Oriente. Eppure chi meglio di lui, prima pop star influencer di seconda generazione, testimonial per brand di lusso e McDonald’s, poteva portare un po’ di attenzione mediatica su questo tema? Avrebbe perso qualche fan? Valeva la pena prendersi il rischio, forse avrebbe scampato la censura troppo occupata a setacciare testi misogini e machisti. O forse la mia è una visione troppo boomerista e piccolo borghese, i Clash, Shane MacGowan, il combat rock, fino al combat folk, con tutta la retorica dei Modena City Ramblers al Primo Maggio. Mi ricordo anni fa facevo l’autore per Rai Tre al Concertone, l’organizzatore aveva invitato Fabri Fibra, il suo set era già in scaletta quando arrivarono due rappresentati del sindacato a dire che no, non poteva suonare perché i suoi testi erano omofobi e misogini. Non ci fu nessun clamore, qualche trafiletto sul giornale, e poi tutti a pogare con la Bandabardò: “Attenzio’ concentrazio’…”
AP: Altri tempi. Nel 1988 penso, quando i Pogues vennero a suonare in Italia, fecero alcune conferenze stampa e una la racconta il pezzo che ho visto ieri qui su Rolling. Pure qui a Roma andammo tutti la mattina al suo hotel, aspettando che dall’ascensore si manifestasse Shane MacGowan come c’era stato promesso. Mai visto. Lo sto ancora aspettando ma mi fa piacere, sul serio, è un’attesa che profuma ancora di futuro. A proposito stavo facendo un risotto alla zucca e al TG parlavano del rapporto Censis di quest’anno, hai presente? Insomma dicevano che in questo Paese siamo dei «sonnambuli» e che siamo «ciechi davanti ai presagi» dato che di qui ai prossimi trent’anni andremo sicuramente a sbattere contro il Futuro. Bah. Siccome gli 8 minuti della pentola a pressione erano suonati mi sono distratto e mentre mantecavo con abbondante parmigiano ho pensato a Giucas Casella, l’uomo che introdusse nella tv degli anni ’80 i concetti di sonnambulismo, ipnosi, trance come metafore del presente. La nostra prima dieta di pillole blu. Regolando pepe e sale mi è venuto in mente Morgan che adesso denuncia la cricca di X factor e il grande imbroglio dei talent in mano alle case discografiche bla bla. Non mi scandalizza: la mia è la generazione che ha visto Giucas Casella, appunto, e ha inventato la cerimonia televisiva di Sanremo («Il festival è truccato Pippo», disse Cavallo Pazzo «Lo vince Fausto Leali!»). Lo sai quando ho capito che sarebbe andata a finire male? Quando a Repubblica, anni or sono, e forse anche altri giornali, decisero di raccontare X Factor minuto per minuto come se fosse un evento vero, drammatico e dal finale incerto. Tipo Festival di Sanremo appunto, invece che la diretta più differita, formattata, pettinata di tutti i tempi e, va da sé, in mano alle case discografiche o quel che ne resta.
GR: Fossero solo le case discografiche a mettere in scena la finzione di X Factor, e non anche le decine di product placement che rendono ogni dialogo uno spot degno di quella famosa scena di Nanni Moretti in Ecce Bombo, «vuoi una sigaretta?», ricordi? Allora come faccio a prendere sul serio Fedez e Morgan se quando parte lo scazzo mi appare il dettaglio della mano che gira lo zucchero nella tazzina di plastica del Caffè Borbone? Che poi lo sappiamo che il caffè delle macchinette non sveglia, e via di sonnambulismo, come dicevi. A proposito, hai visto il tuo Wrapped di Spotify? Maledetto algoritmo, mò te magno, altro che wrap, che poi è la piadina americana. Sul sito ufficiale della multinazionale ci tengono a dire che il Wrapped è la “celebration of the real, the realer, and the realest listening moments that defined our year”, ci perculano con la realness come dei trapperini qualunque ma la verità è che non ne ricordo mezza di canzone che – stando alla “piadina 2023” – dovrei aver ascoltato tot decine di volte. Sonnambulismo? Dati truccati? Forse se cerchi bene su Spotify c’è una sorta di contro soffitto, come quello a casa di Ilary e Totti, con – al posto dei Rolex – la nostra musica, le canzoni che ci hanno fatto emozionare davvero, nascoste come refurtiva.
AP: Il mistero del caffè. Buongiornissimo kaffè. Come metafora di cosa poi? La sodoma e gomorra milanese di personal trainer, sushi, sesso, coca, taxi e caffè? Unica è un documentario wahroliano tendenza Alberto Matano. Alla fine m’è piaciuto. Il musicista più ascoltato nel mio Wrapped tra parentesi è Haendel. George Friederich.