«Di noi, abitatori della Terra, ogni altro abitatore della terra è parente. Tutti, fra i macchinari, per gli uffici, nelle miniere, sono fratelli. Le traiettorie dei pianeti, la vita degli stati sono sudditi delle nostre volontà. La terra è nostra. L’aria, è nostra! E nostre sono le miniere di diamanti delle stelle. Oppure… Forse… Un unico sole non basta per tutti. Forse è troppo piccolo il cielo azzurro, su di noi?» – da Rivoluzione – Cronaca Poetica, V.V.Majakovskij.
«Fratelli e sorelle! Voglio vedere un mare di mani là fuori! Voglio che tutti facciano un gran casino! Voglio sentire un po’ di rivoluzione là fuori, fratelli! Fratelli e sorelle, è giunto il momento che ognuno di voi decida se essere il problema o se essere la soluzione! Proprio così! Dovete scegliere, fratelli, dovete scegliere! Ci vogliono cinque secondi, cinque secondi per una decisione, cinque secondi per comprendere il vostro scopo in questo pianeta! Ci vogliono cinque secondi per capire che è ora di muoversi, è ora di darsi da fare!» – da Rambling Rose, The MC5.
Sono stato alla manifestazione “Gaza Non Striscia”, a Vicenza, sabato 20 gennaio. A Vicenza è in corso VICENZAORO, “dai marchi di alta gioielleria alla produzione unbranded, dalle pietre preziose alle più innovative soluzioni per il packaging e il visual merchandising, fino alle soluzioni tecnologiche e i macchinari più avanzati per l’Industry: Vicenzaoro è la manifestazone not-to-miss che riunisce l’intera filiera produttiva insieme a buyer internazionali, giornalisti e opinion leader”, possiamo leggere nel sito della fiera. Naturalmente c’è anche lo stand di Israele. Il commercio e la lavorazione dei diamanti è una delle principali industrie di Israele, la fonte principale, per ammissione dello stesso Netanyahu, di finanziamento dell’esercito e degli apparati di sicurezza di Tel Aviv.
Ho incontrato tanti compagni e compagne che non vedevo da tempo, ed è stato un profluvio di abbracci e baci. Le manifestazioni servono anche a questo, a ritrovarsi, ed è sempre una gran gioia. C’era Monica Coin, infaticabile militante antifascista, la sua presenza è un sorriso che cammina al tuo fianco. Questa volta però non era difficile leggerle una certa afflizione nello sguardo. C’erano Mauro Alboresi, segretario del PCI (non del PC di Rizzo, giusto per intenderci), che mi vuole un bene paterno e che si preoccupa per la mia salute (mi ha visto in azione, da vicino, tempo fa, a Genova, stesso B&B, e io ero sbronzo marcio, le mie solite figure di merda…); l’ho rassicurato, va tutto bene, grazie al cielo. Mi ha osservato con un certo stupore, quando gli ho spiegato che mi tengo d’occhio, faccio gli esami clinici ogni anno e, inspiegabilmente, ho valori epatici in ordine e polmoni ancora sani.
Giorgio Langella, respondabile lavoro, sempre del PCI, che nelle manifestazioni lo trovi subito, è alto due metri. Aveva un brutto mal di schiena, però c’era ugualmente. Paolo Benvegnù, segretario regionale di Rifondazione, che piacere averlo visto in forma! Giorgio Cremaschi, l’ex leader della FIOM, che si è sgolato nel suo intervento, era incazzato nero. Maurizio Acerbo, segretario nazionale di Rifondazione, con quel suo sorriso-ghigno stampato in faccia che lo rende immediatamente simpatico a chiunque. E c’erano compagne e compagni dei quali non ricordo il nome, ma come ci incontriamo ci riconosciamo subito tutte e tutti come parenti stretti.
Eravamo quattro o cinquemila, a detta della polizia. Secondo me eravamo di più, ma chissenefrega. I rappresentanti della comunità palestinese erano tristi ed erano felici, felici di vedere così tanta gente, giovani, adulti, anziani, donne e uomini, ragazze e ragazzi, ma la loro era una felicità rammaricata, disperata, si sentono traditi, e ci credo. Durante il discorso di uno di loro, del quale non ho ben compreso il nome, mi spiace, ho visto un uomo ferito, incredulo quasi, gridava forte, in un italiano arabeggiante ma perfetto, ed era arrabbiatissimo con i nostri media, i giornali, i giornalisti, tutti a raccontare a disco rotto la loro mistificazione delle circostanze in atto, atlantisti prezzolati, diceva il compagno palestinese. Avrei voluto interromperlo, per dirgli che no, non li paga nessuno, si vendono aggratis! Sarebbe stata una battuta ironica, qualcuno magari avrebbe riso o sorriso, ma negli occhi, nel volto, nello sguardo di quel signore palestinese, c’era così tanto dolore che, grazie al cielo, non ho osato.
Dico a me stesso, nella mia agitazione interiore, nel mio sconforto, che da sempre (sempre, santiddio…) mi sento mosso da un desiderio, un’aspirazione, un’ambizione: contribuire all’edificazione di un immaginario collettivo diverso, capace di scorgere, vedere, indagare i limiti dentro i quali sono costrette le nostre esistenze e, con esse, le nostre coscienze. Una volta individuati, quei limiti, possiamo incominciare a sperare di saperli superare.
Come l’esistenza, la coscienza non è mai soltanto individuale, è sempre anche collettiva. Da aspirante cristiano (sono figlio di un’ex-suora paolina e di un signore che voleva farsi sacerdote, e il mio retaggio cristiano è ancora molto forte) penso che la coscienza sia un fatto “spirituale”; da laico peccatore impenitente credo altresì sia un fatto politico. Eminentemente politico. Tutto è politica, maledizione, non c’è scampo.
La partecipazione, la condivisione delle esperienze, la com-passione (cum-patior, soffrire insieme), la militanza, il pensiero critico, sono “politica”. Ma anche il silenzio, l’inazione, l’indifferenza, l’ignavia, l’auto-reclusione nella sfera privata, sono fatti politici. Per come la vedo io, la politica è sempre perlomeno “duale”: ce n’è sempre almeno due, di politiche. Esserci, o non esserci. Il silenzio… Appunto. Quanto è assordante, a volte, il silenzio.
Perché qui, nel Belpaese, grava un silenzio strano, persino grottesco, ed è quello del mondo della musica. Sull’immane tragedia di Gaza non dice niente. Niente. Nel Regno Unito Massive Attack, Young Fathers e Fountains DC hanno pubblicato un disco in solidarietà del popolo palestinese, i cui proventi andranno a Medici Senza Frontiere, per le loro attività (perigliose e coraggiosissime attività) nella Striscia di Gaza. Nel Regno Unito c’è sempre un Roger Waters, o un Damon Albarn, ad alzare la voce, a dire parole chiare, senza timori, con quella convinzione che nasce dalle idee, dagli ideali, da una visione del mondo che precede e informa le contingenze storiche. Qui da noi, il nulla. Neanche una parola. Ma… Com’è possibile?
Ho fatto una lunga ricerca nel web, e non sono riuscito a trovare niente. Va bene, qualcosa ci sarà, deve pur esserci, ma nei motori di ricerca non c’è alcun ché di significativo.
E certo, ci sono i “social”, ognuno dice la sua, se soltanto vuole, Ghali, per esempio, il rapper milanese, su Instagram, che scrive «vedo gente che di solito parla e prende posizione per qualsiasi cosa e che questa volta ha orecchie coperte, gambe incrociate e braccia conserte. Tutti a partecipare a manifestazioni trendy sulle piattaforme e a sto giro avete paura di parlare?» … e bravo Ghali! C’hai ragione, fratello! Ma… poi? Come lo stesso Ghali suggerisce nel suo post, i social, lo sappiamo, non ci rendono più connessi, non sono un’espressione del pluralismo e della democrazia, perché in realtà ci spingono a un presenzialismo narcisistico e onanistico (ne so qualcosa, perché anch’io ne sono stato vittima, e lo sono ancora, lo ammetto), e sono una trappola, un’immane fregatura, ci rapinano l’intelletto.
Al CSA Baraonda, vicino Milano, Markey Ramone, l’ex-batterista dei Ramones, i fondatori del punk, si è rifiutato di andare in scena per una bandiera della Palestina presente sul palco. A volte, come in quest’occasione, mi chiedo se il rock (la musica del diavolo, alla quale la mia vita s’è votata, manco fosse una religione) sia strumento di emancipazione delle masse oppure strumento di assoggettazione, di oppressione delle stesse. Il comunicato del Baraonda ha reso noto: «Non ci siamo piegati». Ben fatto compagni! Ma che tristezza! Per altro, ironia della sorte, la band dell’ex-Ramones si chiama BlitzKrieg, da una loro vecchia indimenticabile canzone, ma che è anche il neologismo nazista per “guerra lampo”. E va be’…
Mi chiedo, perché sì, me lo chiedo, dove siano le mie colleghe e colleghi, sempre che mi vogliano considerare “collega”, interrogativo non peregrino, tant’è che neanche io, spesso, molto spesso, praticamente sempre, mi sento “collega”. Collega di chi? Di questi zombie, morti viventi, mostri? Della stragrande maggioranza delle cantanti e dei cantanti che affollano le classifiche di Spotify, io non sono collega, neanche un po’. Che si fottano, loro e la loro rincorsa al successo, al consenso delle masse. Arrampicatori sociali, questo siete, nient’altro. Della vita non capite una mazza, perché si vive una volta sola, per lo meno come organismi biologici, e nella bara non ci portiamo dietro alcun bene materiale, ma solo e soltanto ed esclusivamente quel bene grande, preziosissimo, scintillante di più, molto di più dei diamanti: il buon ricordo che lasciamo ai vivi.
In questi giorni mi martella il cervello una domanda. Ma… io… ci sono? E se ci sono, dove sono? E perché? Sono io, forse, un fantasma? Un ectoplasma che si materializza in palcoscenici, ogni tanto. Oppure sono io, forse, un uomo, un cittadino, fattualmente, materialmente, il mio corpo, il mio intelletto, la mia intelligenza, esistono, sono con me, dove mi porta la vita?
Cerco, ogni giorno, mi sforzo di esistere, di esserci, nel qui ed ora, senza se e senza ma, senza indugiare, costi quel che costi, un po’ di incoscienza ci preserva giovani dentro.
Non ci riesco sempre. Mi distraggo spesso, penso ai fatti miei, alle mie piccole gioie e disgrazie, ai miei vizi, che non sono pochi.
Ma ho scelto, tanto tempo fa, anni or sono, decenni ormai, non avevo che vent’anni, di esserci: ho scelto una parte, non l’altra: io sto dalla parte della povera gente, non degli sfruttatori, per il Socialismo, non per il Capitale, dalla parte delle vittime, mai e poi mai dalla parte dei carnefici. Amo la lotta di classe, non la guerra. La lotta di classe è il cuore del progresso umano, la guerra la sua negazione. A me lottare piace! La lotta rende la vita più bella, più avvincente, la rende degna di essere vissuta. Io non sono morto, non ancora. Non sono uno zombie, e nemmeno un fantasma.
In questo esatto istante la stramaledetta vertigine posturale parossistica è tornata a farmi visita, bevo caffè e una tisana alla liquirizia, fumo sigarette, tossisco, prono al computer scrivo queste parole, insomma, stamane mi sono svegliato più vivo che mai.
Non servirà a niente ma, mentre mi gira la testa e mi si sdoppia la vista (ma che rottura ‘sti otoliti!), non ho che un pensiero, un pensiero atroce. Lo voglio dire chiaro e tondo, voglio testimoniare, a piena voce, il disgusto, la ripugnanza, la repulsione, il ribrezzo, lo schifo che ho nel cuore per ciò che sta accadendo a Gaza: un’aberrazione, un’abnormità, uno scempio nei confronti del popolo palestinese e dell’umanità, tutta intera, noi compresi. Noi italiani, che non vogliamo vedere, sentire, parlare. Ci hanno abituati a tutto e il contrario di tutto. Siamo confusi, disorientati, istupiditi, persi, naufragati in un mare di paura, rancore, miseria, una miseria interiore, quella miseria che ci vuole tutti uguali nel conformismo e nel più compulsivo consumismo.
Più di 25.000 morti, la maggioranza donne e bambini, più di 60.000 feriti, bambini feriti amputati senza anestesia, un numero enorme e imprecisato di dispersi ancora sotto le macerie, la fame, la sete, gli ospedali, le scuole, le chiese, le moschee distrutte, le malattie infettive, l’80% della popolazione sfollata e senza riparo, alla mercé dei bombardamenti, 65.000 tonnellate di esplosivo sganciate su un fazzoletto di terra di soli 365 chilometri quadrati, poco più dell’isola di Malta, l’equivalente, dicono gli esperti militari, di quattro bombe atomiche. Un massacro generalizzato, a quattro ore d’aereo da Roma. Ma che senso ha? Perché sta accadendo questa mostruosità? Come può un popolo che ha subito la Shoah, lo sterminio di massa, il genocidio, macchiarsi di tanta diabolica collera omicidiaria nei confronti di un popolo che nulla vuole, se non il diritto di esistere e prosperare nella propria terra?
Leggo nei giornali che il governo israeliano è sostenuto da estremisti “messianici”, dei pazzi scatenati, con tanto di ministri nel gabinetto di guerra.
Era il 2017, se ricordo bene. Netanyahu, sull’onda di Trump che volle spostare l’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme, venne al Consiglio Europeo per invitare i paesi dell’Unione a fare altrettanto. Disse, con la Bibbia in mano e, di nuovo, postura messianica, che stava scritto lì, nella Bibbia, che Gerusalemme è la capitale di Israele. Avrei voluto esserci. Avrei voluto strappargliela di mano, quella Bibbia, e scaraventargliela in fronte. Perché ne ho abbastanza di questo Dio di guerra e sopraffazione. Ne ho abbastanza di coloro che reclamano Dio nell’agone politico, nell’interesse proprio e esclusivo. Gott mit uns lo diceva Adolf Hitler, in God we trust c’è scritto nei dollari, con tanto di piramide e l’occhio sopra, Novus Ordo Seculorum. Dio patria e famiglia è lo slogan dei neofascisti “storici” italiani, quelli che ancor oggi venerano Almirante, l’antisemita par exellence della storia italiana contemporanea, quegli altri preferendo il culto mariano dell’eresia medjugorjana, poveracci. Dio, se esiste, se ne frega di voi, e vi disprezza.
Israele, che si vuole e si proclama l’unica democrazia del Medio Oriente, in questo frangente storico, in questi giorni, rinuncia al suo stesso onore, è perso, ucciso anch’esso, una volta per tutte, da quella forma di fascismo colonialista che chiamiamo sionismo. E che sia chiaro, perché non può non esserlo, che sentirsi, dirsi, proclamarsi anti-sionisti non significa essere anti-semiti. È ora di finirla con questa menzogna. Ci sono così tante anime belle fra gli ebrei, belle e coraggiose, vocazionali, democratiche, colte e raffinate come nessun’altra. Primo Levi e Leone Ginzburg erano anti-sionisti. Ci sono rabbini, e sono tanti, in tutto il mondo, anti-sionisti.
Qualche giorno fa ne ho visto uno, su Al Jazeera, un newyorkese, l’ho visto rivisto e riascoltato decine di volte, non riuscivo a smettere, le sue parole erano miele per l’anima… perché diceva una cosa bellissima, giustissima, stupenda: “rubare e uccidere è una rivolta contro Dio”.
Che Dio ti benedica, fratello rabbino.