Quando si pensa all’attività live di Fabrizio De André il ricordo non può che andare ai concerti con la Premiata Forneria Marconi. Ma c’era vita anche prima di una collaborazione che nel tempo ha assunto i contorni del mito. Non tutti infatti sanno che tale non è stata quella la prima volta in cui il cantautore genovese si è fatto accompagnare da una band. Nel 1975-76 era infatti stato organizzato un tour di 100 date nel quale De André poteva beneficiare del supporto di un gruppo che ne fondeva due: La Nuova Idea e i New Trolls. I secondi non hanno bisogno di presentazioni, i primi si destreggiavano tra psichdelia e prog, con all’attivo tre album di cui l’ultimo Clown (1973) è ricordato tra le opere fondamentali del prog italiano.
Con lo scioglimento delle due band, propizia arriva la proposta di Fabrizio De André che mette insieme il bassista Giorgio D’Adamo e il batterista Gianni Belleno dei New Trolls, insieme al chitarrista Ricky Belloni e al tastierista Giorgio Usai da La Nuova Idea. Ed è proprio quest’ultimo a raccontare come sono andate le cose in una collaborazione il cui ricordo nel tempo è stato forse un po’ soffocato dal blasone del connubio De André + PFM, ma che merita di essere narrata, anche perché se il cantautore non avesse già sperimentato cosa voleva dire suonare con una rock band alle spalle, probabilmente non si sarebbe lanciato nell’avventura con la Premiata.
Capello lungo e baffoni da Asterix, Giorgio Usai mi accoglie nella sua casa per raccontarmi una storia di musica, amicizia, ansia da palcoscenico, bevute e casini che non merita di passare sottotraccia.
Come hai conosciuto De André?
Stranamente, essendo entrambi genovesi, l’ho conosciuto a Milano. Eravamo alla fine degli anni ’60, noi eravamo a registrare con i Plep (il gruppo da cui poi sorgerà La Nuova Idea, nda) e Fabrizio era nello stesso studio insieme a Giampiero Reverberi. Tornati a Genova lo incontravo ogni tanto ai bagni Lido di Corso Italia.
De André andava al mare?
Solo ogni tanto, spesso lo raggiungeva anche Vittorio De Scalzi, munito di chitarra per fare ascoltare a Fabrizio dei pezzi, quelli che poi sarebbero finiti sul disco dei New Trolls Senza orario, senza bandiera.
Prima del vostro tour le esibizioni di De André erano rimaste confinate in piccoli locali di Genova e solo di fronte ad amici e conoscenti. Chi lo convinse a mettersi seriamente on the road?
Fu Sergio Bernardini, che era il patron della Bussola di Viareggio, insieme all’impresaria Adele di Palma.
Cosa gli fece cambiare idea secondo te?
Io credo che avesse già adocchiato la famosa fattoria dell’Agnata in Sardegna e gli servivano i soldi per acquistarla.
Quindi nasce il gruppo con dentro membri de La Nuova Idea e dei New Trolls.
Esatto, fu il bassista dei New Trolls Giorgio D’Adamo a metterci insieme e a contrattare Bernardini. A me e a Ricky veniva benissimo perché La Nuova Idea si era appena sciolta per colpa dell’austerity, i sabati e le domeniche non si poteva circolare in nessun modo e noi che suonavamo soprattuto nei fine settimana ce lo siamo presi in quel posto (ride). Per fortuna è arrivata la proposta di De André.
Come mai proprio voi?
Perché Fabrizio voleva avere intorno un gruppo di amici, di persone con cui era già in contatto e con le quali si trovava bene.
Aveva paura del palcoscenico?
Un vero terrore! Trovarsi con persone che lo conoscevano e lo supportavano era per lui fondamentale. Inizialmente c’era anche Vittorio De Scalzi che ha provato con noi una settimana e poi si è ritirato, cosa non del tuto negativa in quanto Vittorio era uno che tendeva a imporre le idee e con la sua presenza sicuramente si sarebbero create frizioni.
Messa insieme la band dove vi vedevate per provare?
Nella zona di Sturla, in un carruggio dove c’erano dei vecchi magazzini dei pescatori riconvertiti in sale prova dai Matia Bazar. Lì lavoravamo ai pezzi della scaletta e una volta finito Fabrizio andava a casa, abitava in Corso Italia. La cosa bella è che ci invitava a cena, ci voleva sempre con lui. In breve si era creato un gruppo bello affiatato, non servivamo solo ad accompagnare un cantante, eravamo una vera band e lui era il nostro frontman. Il gruppo aveva anche un nome: DAUSBE 2, dove DA stava per D’Adamo, US per Usai e il BE 2 stava per Belleno e Belloni.
In realtà poi cantavate tutti.
I cori dei New Trolls erano famosi e noi li abbiamo messi nei pezzi di Fabrizio, era questa la cosa originale, a mio avviso. I pezzi non li abbiamo cambiati molto ma l’inserimento dei cori era un qualcosa di nuovo.
Chi si occupava degli arrangiamenti?
Era un esterno, Tony Mimms, che seguiva tutte le prove. Tony era inglese e aveva arrangiato Volume 8 di Fabrizio, in scaletta infatti c’erano parecchi brani da quel disco che De André aveva scritto con Francesco De Gregori.
Mi dicevi delle cene a casa De André una volta terminate le prove.
Lui in quel periodo (le prove si svolsero tra la fine del 1974 e l’inizio del 1975, nda) si stava disintossicando dall’alcol. Noi andavamo in Corso Italia, dove abitava con la Puny e con Cristiano. Arrivava, si metteva la flebo con una soluzione fisiologica che serviva a purificare un po’ il sangue per la disintossicazione, poi mangiavamo tutti insieme. In alternativa andavamo al Covo di Santa Margherita o a Paraggi. Lui staccava assegni a destra e a manca, era sempre col libretto in mano. All’Hotel Paraggi a volte ci raggiungeva Dori, che in quel periodo stava iniziando la sua storia con Fabrizio. Anche in quei casi ci voleva con lui, c’era complicità, noi in qualche modo lo proteggevamo, eravamo suoi alleati.
Avete assistito a un momento topico della sua storia sentimentale.
Noi sapevamo tutto e niente, mantenevamo assoluto riserbo. Se potevamo dare una mano ci faceva piacere. Poi la Puny non era una che stava addosso a Fabrizio, aveva la sua vita, non si rompevano le palle uno con l’altra. Forse erano già un po’ separati in casa.
Il debutto avvenne alla Bussola il 15 marzo 1975.
Esatto, ci trasferimmo lì per ultimare le prove a ridosso della data. Nel frattempo avevamo conosciuto Beppe Grillo, che era all’inizio della sua carriera e non se la passava molto bene. Non era alla canna del gas ma quasi, per mantenersi faceva il rappresentante di abbigliamento. «Dai Beppe, ti diamo una mano noi, magari apri lo spettacolo a Fabrizio», gli dicemmo e lui non smetteva più di ringraziarci. Prima di andare a Viareggio organizzammo una serata a porte chiuse al Covo nella quale Beppe fece il suo spettacolo per farlo vedere a Bernardini e a De André. Mi ricordo una sua imitazione di Ray Charles un po’… così, un po’ una cagata diciamolo (ride), però passò il provino.
Qual era l’umore di Fabrizio la sera del debutto?
Terribile. Al pomeriggio avevamo fatto il soundchek e tutto sembrava a posto. Poi qualcuno ci ha accompagnato in albergo a Viareggio, al principe di Piemonte. All’ora stabilita io e Ricky andiamo a prendere Fabrizio per andare alla Bussola. Peccato che lui si fosse barricato in camera senza alcuna intenzione di uscire. «Dai, andiamo», gli urlavamo dalla porta. «No, non vengo!», «Come non vieni?», «No, no, no, non vengo, andate affanculo». «Ma scherzi?», gli dicevo, «belinaccio, c’è la gente che ci sta aspettando», «No, non vengo, andate voi».
Accidenti.
Insomma, dai e dai alla fine riusciamo a convincerlo. Una volta arrivati alla Bussola va in camerino e lì è raggiunto un suo amico che era stato convocato quella sera. Si trattava del regista Marco Ferreri che aveva studiato medicina. Fabrizio era terreo dall’ansia, Ferreri lo ha visitato e forse gli ha dato anche qualcosa per calmarsi. Intanto i tavolini e i divani della Bussola si riempivano, tra il pubblico c’erano tutti gli amici di Fabrizio, convocati da Bernardini per fare in modo che si sentisse in qualche modo in famiglia. C’erano Paolo villaggio, Lino Toffolo, la Vanoni, Puny, Cristiano. Lui però era ancora teso, così intanto facemmo uscire Grillo che fece il suo show. Alla fine lo dovemmo spingere sul palco.
Che strumentazione usavi?
Un Hammond con ampli Lombardi e un Solina per fare le parti di archi. Su La cattiva strada suonavo anche la chitarra e su La ballata del Michè la clavietta, una specie di armonica a tasti che imitava il suono della fisarmonica. Fabrizio invece aveva una delle prime acustiche Ovation.
Di solito certe cose non si chiedono ma essendo passato tanto tempo… Quanto guadagnavi a concerto?
Una cifra pazzesca per quei tempi: 100 mila lire a data (oggi circa 600 euro, nda). Fu D’Adamo a mettersi d’accordo con Bernardini che avrebbe voluto darci 80 mila lire. Alla fine però la spuntò per 100 mila. Oggi se vai a suonare danno 100 euro a tutto il gruppo, se hai culo (ride).
Com’è finita la serata alla Bussola?
Con una serie interminabile di bis, portando a casa tre ore e mezza di esibizione. Fabrizio era finalmente sollevato e contento del gradimento del pubblico. Da lì siamo partiti con le altre date, quasi cento serate lungo tutto il ’75, fino all’inizio del ’76. In mezzo facemmo 20 giorni di pausa perché a De André era venuta una pleurite. Così io, Ricky e il fonico ce ne andammo a Londra e a Copenaghen.
All’epoca il clima nei concerti era incandescente, i disordini, la musica gratis, ecc. A voi com’è andata?
Ci siamo esibiti per Lotta Continua a Pisa, a Piazza Navona, a Napoli. Abbiamo anche suonato per i radicali di Marco Pannella. Mi viene in mente che il concerto in piazza Navona veniva aperto da Franco Battiato che faceva le sue sperimentazioni in canottiera e barba lunga. A volte avevamo Eugenio Finardi ad aprire lo spettacolo con Lucio Fabbri. Contestazioni vere e proprie non ce ne sono mai state, nonostante il biglietto per vedere Fabrizio a volte costasse anche 5000 lire. Ma è normale, il suo cachet era due milioni e mezzo.
Secondo te si creava qualche frattura nell’animo di Fabrizio tra il suo essere sempre dalla parte dei diseredati e i fruttuosi guadagni?
Lui si definiva anarchico, libertario, di sinistra. Ma sapeva che il lavora andava pagato. Poi c’era sempre qualcuno che chiedeva musica gratis, dicevano «la musica è nostra». Io pensavo ma se è vostra allora ve la fate da soli, invece di scassare le palle (ride). Fabrizio per evitare casini a un certo punto diceva di aprire i cancelli e fare entrare tutti gratis, con grande gioia di quelli che avevano pagato il biglietto (ride).
Mi racconti qualche aneddoto di quel tour?
Ah, ce ne sono tantissimi. Mi ricordo a Pisa, al concerto per Lotta Continua. È cominciato a piovere dirotto e ovviamente il concerto è saltato. Però la gente non se ne andava, così abbiamo preso le chitarre, ci siamo seduti e abbiamo suonato tutto in acustico, senza microfoni. Facevamo spesso anche delle partite a pallone tra musicisti e fonici, con D’Adamo a fare da arbitro con tanto di cartellino giallo, rosso e nero. Beh, successe che mano a mano che il tour continuava Fabrizio riprendeva pian piano a bere. Una volta si è portato sul palco una bottiglia di Petrus Boonekamp e l’ha sistemata per terra, vicino a lui che cantava e suonava la chitarra sempre a gambe incrociate, con un leggio dotato di una specie di abat-jour. A un certo punto fa per prendere la bottiglia, perde l’equilibrio, si sbilancia completamente e cade portandosi dietro la seggiola, il leggio, il microfono e l’abat-jour. A quel punto D’Adamo estrae il cartellino rosso, Fabrizio si tira su, fa l’inchino all’arbitro ed esce (ride).
Quando si dice sapere perdere con stile.
Una volta in Sicilia eravamo a cena ospiti da un nostro caro amico. Mangiamo, beviamo e a un certo punto questo dice che dei suoi conoscenti volevano regalare a Fabrizio la fiancata di un carretto siciliano, di quelli tutti colorati con le storie, una roba enorme. Andiamo a dormire mezzi ciucchi e alle sei sveglia per prendere l’aereo. Ci alziamo e ci mettiamo in macchina con questa belin di fiancata e partiamo. Non ricordo come mai ma con me avevo una bottiglia di Oro Pilla in mano. Eravamo pazzi, ma avevamo anche vent’anni, ce ne fregavamo di tutto, anche del fatto di arrivare in aeroporto e andare diretti sul volo con la fiancata del carretto e la mia bottiglia.
Formidabile.
All’epoca non c’erano tutti i controlli che ci sono ora, siamo saliti e ci siamo piazzati in prima classe. Quando le hostess ci hanno visti seduti con quella roba hanno detto che non potevamo portarla. Anche il comandante è uscito e ci ha detto che non sarebbe partito se non fossimo scesi, avrà pensato «ma da dove cazzo arrivano questi capelloni delinquenti?». Fabrizio però non ci pensava nemmeno, gli ha detto «io non mi muovo da qua, testa di minchia». Così è partito un parapiglia fino a quando non hanno trovato il modo di sistemare la fiancata in un posto sicuro.
E la tua bottiglia?
Me l’ha requisita Fabrizio. Come ti ho detto più passavano i giorni più tornava a bere. Quando eravamo a Mantova, al mattino scendiamo al bar dell’albergo per fare colazione e lo troviamo che beve un whisky doppio con ghiaccio. A pranzo poi era bello alticcio e ha cominciato una discussione con Belleno, fino al punto di dirgli «vieni fuori se hai il coraggio». Capirai, Belleno era un armadio, mentre Fabrizio era mingherlino, lo avrebbe ammazzato. Per fortuna poi è finita bene.
Come è continuato il tour?
A circa metà Fabrizio volle fare Storia di un impiegato, a quel punto ci fu bisogno di uno strumentista aggiuntivo. Allora abbiamo convocato Alberto Mompellio, che in passato aveva collaborato con Battiato. Suonava il piano, il Moog e il violino.
Alla fine del tour avete fatto piani per un disco insieme?
No, ognuno ha preso la sua strada. Io ho suonato per qualche tempo con i Ricchi e Poveri e poi sono stato inserito nella reunion dei New Trolls, abbiamo fatto anche un disco con la Vanoni (il doppio Io dentro – Io fuori, nda) e un tour. Poi c’è stato il grande successo di Quella carezza della sera, e tante altre storie.
Comunque alla fine Fabrizio è riuscito a comprare casa in Sardegna.
Belin belino (ride)!