Tim, write that down. Benjamin Ingrosso non è nuovo, dalle parti italiane, ma la lista di posti da provare sembra non finire mai. Tim sta per Timothy Collins: è il suo manager ma anche la sua lista di prenotazioni per la prossima scoperta, il prossimo pasto, un nuovo motivo per tornare. Perché il figlio dell’ex-ballerino Emilio Ingrosso (e cugino di Sebastian Ingrosso degli Swedish House Mafia) non ha solo la musica nel sangue. La sua è una famiglia di artisti, certo (anche la sorella Bianca e il fratello Oliver lavorano nella musica, però no pressure, giura Benjamin), ma pure di gourmand e restaurateur.
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Saranno le origini tarantine del cognome Ingrosso e del ramo materno della madre svedese, proveniente dal centro Italia; sarà che, come la musica, il cibo è una lingua universale (non tireremo fuori la vecchia “sinfonia di sapori”, ma ci siamo capiti). Sta di fatto che le due anime, in Benjamin, esistono in un unicum, continuazione una dell’altra. I ristoranti del padre, il crescere a pane, sugo e pummarola, e poi, tutta per sé, una trasmissione per mettersi dall’altro lato dei fornelli e invitare a cena colleghi, amici, e chi più ne ha più ne metta (si chiama Benjamin’s ed è una produzione televisiva svedese). Testimone di questo affaire gastronomico è il suo profilo Instagram, se non ci credeste, zeppo di #foodporn ma quello giusto, mangiato con l’anima prima che con i denti.
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Welcome to Benjamin’s, allora. Mettetevi comodi nel mondo di questa popstar che, a 26 anni, ha già «ottenuto tutto ciò che avrebbe mai potuto sognare» nella sua madrepatria (quella al Nord, beninteso): al 2018 risale la sua partecipazione all’Eurovision in rappresentanza del paese – fu con Dance You Off – e, mentre scriviamo, il suo ultimo singolo Kite è nella Top50 Svezia di Spotify e al sedicesimo posto della classifica airplay radio di EarOne per la settimana tra il 23 febbraio e il 29 febbraio 2024. «Sto facendo un tipo di musica per me incredibile, non ne sono mai stato così orgoglioso. Kite ha segnato una nuova fase per me, è una canzone molto importante. È questa la direzione in cui voglio andare. Poterla sentire alla radio anche qui in Italia è senza senso. Ho pronto un nuovo album, pieno di musica che adoro. Non vedo l’ora di poterlo condividere con il pubblico».
Che cosa gli manca ancora da fare? Be’, una guida ai migliori ristoranti di Stoccolma, e al cibo svedese da non perdere quando si bazzica nel Nord Europa, insieme ad Alfredo. Naturalmente, a quello abbiamo rimediato noi.
Ciao Benjamin. Partiamo subito con una domanda facile: qual è la tua pizza preferita?
Ah! Spero di non far arrabbiare nessuno, ma io sono uno che la pizza la mangia sottile, un po’ croccante pure. Al piatto vado di sicuro su quella alla romana, se posso scegliere la preferisco a quella alla napoletana, che mi rimane sempre troppo pastosa. Lo dico? Lo dico: la pizza perfetta, per me, è quella delle Tartarughe Ninja, non so se hai presente.
Certo, ma non va per la maggiore in Italia, devo dirti. A proposito, come sta andando da queste parti? Hai mangiato cose interessanti?
Oh sì, sono stato in un sacco di posti. Ogni volta che viaggio, che mi sposto da Stoccolma, faccio una cosa che chiamo Food Safari: mi sposto tra vari ristoranti e mangio più volte, il record per ora è di venti ristoranti in un giorno. Per farlo devi riuscire a mangiare un sacco, è un’abilità che non mi manca. Ti faccio una lista di dove sono stato a Milano finora: Bice, Rovello 18, Antica trattoria della Pesa, Le specialità. Questa sera andrò alla Trattoria del Pescatore, e domani dovrei andare da Trippa. Ne ho sentito parlare benissimo, e sto pregustando tutto, ma l’ha consigliato mio cugino Diodato [sì, Antonio Diodato, ndr]. In generale, se posso scegliere, vado sempre sulla cucina romana. La mia famiglia paterna è di Taranto, ma, dalla parte di mia madre [Pernilla Wahlgren, ndr], c’è un ramo genealogico che viene da L’Aquila. Mi piace pensare che sia per questo che la cucina romana mi fa impazzire. Non dico mai di no alla vecchia combinazione pecorino & guanciale.
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La tua famiglia è davvero particolare, il cibo e la musica sembrano farla da padrone. Qual è il tuo primo ricordo legato al cibo?
Arriva da uno dei ristoranti di mio padre, Il conte, a Stoccolma, ed è il profumo della focaccia che faceva mia nonna, appena sfornata, con sopra il rosmarino. E poi, sempre legato al ristorante, c’è l’aroma della salsa di pomodoro di Franco, lo chef, dell’aglio che sfrigola e soffrigge. Se invece parliamo del primo ricordo che ho sul mangiare qualcosa, sono le penne allo zafferano che fa mio padre, lui le abbina con scampi e zucchine.
Tanti legami affettivi, dunque. C’è anche un significato più “largo” che attribuisci al cibo?
Questa è facile: il cibo, per me, vuol dire tutto. Mi rende felice, appagato, non riesco a stare nemmeno un giorno senza mangiare qualcosa di buono, fatto a modo, che mi faccia stare bene. E può anche solo essere un espresso, eh. Qualsiasi cosa che ti faccia provare qualche emozione mentre mangi, nutrirsi per sopravvivere non mi appartiene. Per me si mangia per avere un’esperienza, per godersela. Un esempio: sono cresciuto con il cibo italiano, e a nove anni ho scoperto che, no, la panna nella carbonara non ci va. Questo mi ha completamente cambiato il mondo. Così, quando a undici anni sono andato a Roma per la prima volta, mi è dispiaciuto molto non trovare la carbonara perfetta in un posto che si chiamava La carbonara… Immagino sia un locale un po’ turistico. Ora però ho trovato la mia preferita, la fanno al Pompiere.
Che cosa ci dici delle “nostre” fettuccine Alfredo?
Le ho cucinate molte volte, ma non sono mai stato da Alfredo alla Scrofa. So che ci sono stati i miei genitori da giovani. La pasta all’Alfredo è stata davvero rovinata, “reinterpretata” con pollo, panna, you name it, ma sono versioni che non le fanno giustizia, che la rovinano. È un nome che all’estero sembra altisonante, e credo che sia per questo che è stata un po’ bistrattata. Se la chiamassimo pasta al burro, come fa la maggior parte delle persone in Italia, non avremmo avuto questo problema.
Sei piuttosto bravo ai fornelli, hai anche un tuo cooking show sulla tv svedese. Quale lato del tavolo ti piace di più?
Cucinare mi piace molto, posso dire con onestà di saperlo fare piuttosto bene. Allo stesso tempo però sono abbastanza self-conscious, se cucino voglio che tutto sia perfetto, quindi è un’esperienza bella ma stressante. Diciamo che sono contento anche quando sono gli altri a cucinare per me, specie se si tratta di mia nonna, di mio padre o del mio fratello maggiore, Oliver. Sono loro che mi hanno insegnato a stare dietro ai fornelli. Quando qualcuno cucina per te, il cibo ha tutto un altro sapore.
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Parlando proprio di questo: primo appuntamento, che cosa cucini?
Bisogna stare attenti, non è semplice. Prendi l’aglio olio e peperoncino, sarebbe perfetta, ma l’aglio può dar fastidio, sai, non conosci bene l’altra persona. A complicare le cose ci si mettono anche le varie diete, i regimi alimentari, le allergie o le intolleranze, eccetera. Quindi non è facile. Diciamo che, a poter scegliere in completa libertà, mi butterei comunque su una pasta, e sceglierei le penne alla vecchia bettola. Un piatto che viene dalle parti di Firenze, è praticamente uguale alle più famose penne alla vodka. Si fa la sala con passata di pomodoro, poca-poca panna, peperoncino e po’ di vodka per sfumare, aglio e prezzemolo ma non troppi. Saporita, perfetta. La userei su delle penne lisce.
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Passiamo al dolce, di cui tu sei un estimatore. È la tua parte preferita del pasto?
Vivo il momento del dessert come l’ultima canzone di un concerto. Metti il caso, hai adorato lo show, ma è quando arriva la fine, il secondo finale, che tutto cambia, e se è la canzone giusta ti sembra che il corpo ti esploda. Questo è l’effetto che il dolce dovrebbe fare, secondo me. Non dev’essere nulla di complicato, il tiramisù è perfetto. O anche le pittule in versione dolce, le faceva sempre mio padre e le puoi abbinare a un sacco di cose. Mi piace molto anche la tarte tatin, con la crema naturalmente.
Torniamo in Svezia. Tu sei forse il maggior esperto di kanelbullar che abbia mai incontrato.
È vero! È una passione che arriva dalla parte svedese di mia madre, quel ramo di famiglia abita in campagna poco fuori Stoccolma, e da piccoli al pomeriggio arrivava sempre il momento del fika, che è l’equivalente del tè delle cinque inglese. Si beve il caffè, però, e ci si appaia sempre un kanelbullar, ovvero un cinnamon bun, un roll lievitato dolce farcito di burro, zucchero e cannella. Lo mangi appena caldo con un bicchiere di latte freddo, e se metti sotto un po’ di musica folk, è magia.
Ci sveli il segreto per un kanelbullar perfetto?
Dev’essere morbido e ben lievitato, ma la base deve dorarsi un po’, essere quasi croccante. È l’effetto del burro quando si cuoce nel forno, diventa brunito, caramellato. Poi, ci vuole un sacco di cannella. I tre posti a Stoccolma dove lo fanno a regola d’arte: Svedjan Bageri, Ett Bageri e Storia Bageriet.
Devi scrivere una guida al cibo svedese per qualcuno che non ha mai visitato il paese. Che cosa consiglieresti?
Innanzitutto, di prepararsi a incontrare piatti piuttosto corposi, pesanti anche. Si parla di tanto latte, tanto burro. Un piatto comune sono le polpette di carne accompagnate da purè di patate, fondo bruno e mirtilli rossi. Un altro piatto tipico è il Biff Rydberg, di base una bistecca tagliata a fette con patatine, cipolle caramellate e una salsa fatta da senape e panna montata. Abbastanza pesante per lo stomaco, già. Dall’altra parte però abbiamo anche piatti come il Toast Skagen, si tratta di una fetta di pane tostato con sopra gamberi e una salsa fatta con maionese, panna acida e aneto. Non sarà forse “fresco”, però fa la sua parte. Oppure il Rimmad laks, qui si parla di salmone, ma sempre accompagnato da patate mantecate con una salsa cremosa. L’ho detto: panna e burro a volontà, ma anche tanto gusto.
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I ristoranti imperdibili di Stoccolma?
Dunque, se si parla di cibo svedese, vado sul sicuro con Operabaren, Wedholms Fisk, Ulla Winblahd, che sarebbero la versione svedese di una trattoria, od osteria, classica. Poi, tanti dei miei amici lavorano nel mondo della ristorazione, altri sono chef o proprietari di ristoranti stellati. Björn Frantzén, per esempio [ex-calciatore, chef, e imprenditore nel settore della ristorazione, ndr], lui ha due ristoranti a tre Stelle Michelin. Uno dei due è a Stoccolma, si chiama Frantzén [l’altro, Zén, a Singapore, ndr], ci sono stato due volte. Lì a fine pasto hanno questa cosa di servire una piccola pasticceria di madeleine, io ne sono uscito pazzo, ho battuto il record di madeleine mangiate. È andata così: me ne sono fatte portare cinque portate, continuavano a portarmene, e io che non voglio mai essere scortese le finivo. A un certo punto mi chiedono se avessi per caso intenzione di battere il record. Allora ho chiesto, c’è un record? E niente, ho mangiato 87 madeleine.
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Il pasto migliore della tua vita?
Ha sempre a che fare con i ricordi e la famiglia. Mio padre ha vissuto in Spagna per qualche anno, io lo andavo a trovare di solito d’estate. Niente di speciale, ci sedevamo in terrazza a mangiare i suoi spaghetti alle vongole. Magia però, davvero. Non vedendolo così spesso, ogni momento insieme era prezioso.
Continuiamo: sei naufragato su un’isola deserta e puoi portare con te solo tre ingredienti per cucinare. Quali sono?
Dando per scontato che potrei recuperare il sale in qualche modo, sceglierei la farina per fare lievitati e impastare la pasta e il pane. Poi le uova, diventerebbero strapazzate o a frittata, sono versatili e possono anche essere un accompagnamento al pane. Infine direi il latte, base per ottime salse. Poi vabbè, se proprio passasse un pesce nel mare, magari riuscirei anche a farmi un pasto più ricco…
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Andiamo alla fine, o all’inizio, della giornata. Sono le tre del mattino e stai morendo di fame: che cosa mangi?
Questa è la domanda più facile: pasta aglio, olio e peperoncino. Sempre perfetta, e la puoi fare con ingredienti che in casa, da qualche parte, non mancano mai.