Della serie: se lo dicono loro, forse, c’è da crederci. Secondo il report annuale dell’Intelligence degli Stati Uniti sulle minacce alla sicurezza del Paese, il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, starebbe per andare incontro alla prima, vera «crisi di consensi» dallo scorso 7 ottobre – va detto che l’America, in questo momento, non ha una posizione efficace sul conflitto con la Palestina, forse presa un po’ d’imbarazzo, sospesa tra la vicinanza all’alleato storico e una strategia che consenta l’arrivo degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza, quindi non è neanche chiaro quanto sarebbe una minaccia, ma tant’è.
Resta il fatto. La CIA parla di un «calo di popolarità» nei suoi confronti, e di come «l’opinione pubblica israeliana sta perdendo la fiducia nelle sue capacità da quando è cominciata la guerra». La prospettiva, scrive, è che nelle prossime settimane possano esserci delle «grandi proteste che ne chiedono le dimissioni e nuove elezioni. Un governo diverso, più moderato, è una possibilità». Insomma, Netanyahu perde colpi e potrebbe essere travolto dalle sue manifestazioni di piazza.
Che significa? Allora, non è una novità in senso assoluto. Già nei mesi scorsi, quello che è il premier di più lungo corso della storia d’Israele – in carica per il partito conservatore dal 1996 al 1999 e praticamente in maniera ininterrotta dal 2009 a oggi, ora a capo di un cosiddetto «governo di guerra», una forma di esecutivo di emergenza che ha l’appoggio – aveva ricevuto varie critiche dall’interno, e non solo da parte dell’opposizione o dei famigliari tenuti in ostaggio da Hamas, con cui le trattative non portano a dei risultati. Più di quanto sia filtrato in Occidente, in realtà, parte dell’intellighenzia di Israele e non solo ha già individuato in lui e nelle sue strategie i responsabili del deterioramento del conflitto.
Sempre secondo quanto rivela la CIA, i suoi cittadini sono sempre convinti di voler «distruggere Hamas», e in questo senso non si tratta. Ma le immagini che arrivano da Gaza, dove i morti secondo Hamas sono più di trentamila, quasi tutti civili, compresi i bambini, avrebbero sensibilizzato il paese rispetto alle politiche di Netanyahu, considerate troppo spietate nei confronti dei civili stessi e poco centrate per colpire i nuclei terroristici. Una questione, ecco, che in Occidente era già stata sollevata nei mesi scorsi, sotto il termine-ombrello del «buon senso», e che ora sembra avere preso definitivamente piede anche a casa: combattere per la sicurezza sì, farlo in questo modo, alle condizioni di Netanyahu, no. Anche perché, sempre come fa sapere l’Intelligence statunitense, «Israele dovrà affrontare una dura resistenza armata di Hamas negli anni a venire» e che «faticherà a distruggere l’organizzazione terroristica». Tradotto, non è questa la situazione.
Chiaro, si tratta solo di previsioni. Ma il terreno è scivoloso. Il leader dell’opposizione, Yair Lapid, da subito ha portato avanti una campagna per le dimissioni di Netanyahu, ritenendolo «l’unico responsabile» della situazione. La scorsa settimana, dopo che una commissione d’inchiesta lo ha giudicato responsabile di un disastro risalente al 2021, in cui per delle negligenze del governo in un pellegrinaggio persero la vita 45 israeliani, per un incidente, ha cavalcato ancora la fronda scrivendo che «con Netanyahu premier la prossima catastrofe è solo una questione di tempo». Un invito, ecco, a farsi da parte: è facile a questo punto che i consensi della popolazione, se ciò che scrive la CIA è vero, potrebbero finire su di lui, con all’orizzonte un conflitto da condurre secondo strategie diverse.
Intanto, comunque la si pensi, le scene che continuano ad arrivare da Gaza – tre medici dicono alla BBC di essere stati umiliati dall’esercito israeliano, Save the Children raccoglie testimonianze di madri sconvolte, e anche l’Onu condanna la sproporzione della risposta rispetto all’attacco terroristico del 7 ottobre – stanno mettendo sempre più in difficoltà l’immagine di Israele. Una prima nave con degli aiuti umanitari è partita oggi da Cipro, direzione Gaza. Israele la passerà al setaccio, poi dovrebbe entrare. Un alto funzionario di Netanyahu ha detto al Times of Israel di aver accettato l’invio degli aiuti perché in cerca di legittimità internazionale, e in questo momento «la legittimità internazionale è principalmente una questione umanitaria». Difficile averla nel mondo, però, se non la si ha neanche a casa.