Un brindisi all’inventore del karaoke, l’ingegnere giapponese Shigeichi Negishi che nel 1967 ha ideato il primo apparecchio per il karaoke, lo Sparko Box, cambiando per sempre la colonna sonora delle nostre vite. Negishi è morto a 100 anni, lo si è appreso solo la scorsa settimana. Ha reso il mondo più chiassoso e stonato. È grazie a lui se tutti noi pessimi cantanti possiamo vivere il sogno sfrenato d’essere popstar per i pochi minuti d’una canzone. Gli dobbiamo tanto.
La prossima volta che prenderete il microfono in uno baraccio, intonate a squarciagola un pezzo anche per questo genio folle che ha regalato al mondo un nuovo modo di cantare. Per tutti noi che viviamo per i momenti di trascendenza più o meno stonata che ci dà il karaoke, Negishi è il Mr. Roboto a cui dobbiamo il più domo degli arigato.
Cosa l’ha spinto a inventare lo Sparko Box? Ovvio: non sapeva cantare. Negli anni ’60, quando lavorava nella sua azienda elettronica di Tokyo, cantare gli piaceva, ma veniva canzonato per la brutta voce. Quando un dipendente lo prese in giro dopo averlo sentito cantare in ufficio, Negishi pensò che l’effetto sarebbe stato ben diverso se l’avessero sentito fare quei pezzi su una base musicale.
E lì gli s’è accesa una lampadina, tipo Archimede nella vasca da bagno o Isaac Newton sotto l’albero di mele. Nel libro di Matt Al Pop. Come la cultura giapponese ha conquistato il mondo, Negishi descrive la sensazione che ha provato sentendo finalmente la sua voce uscire dagli altoparlanti: «Funziona! Non riuscivo a credere di avere inventato qualcosa di nuovo».
Nel Giappone degli anni ’70 il karaoke è diventato un’ossessione nazionale specialmente tra gli impiegati che a fine giornata si rilassavano con dosi eccessive di sakè e di canzoni. Chi poteva immaginare che quell’invenzione avrebbe avuto un tale impatto in tutto il mondo? Ha cambiato il fandom musicale: improvvisamente chiunque, anche chi era privo di talento, poteva farsi avanti e cantare. Come scrivo nel libro Turn Around Bright Eyes: The Rituals of Love & Karaoke, non c’è nessun altro rito nella nostra cultura che premi le persone quando fanno schifo.
Mezzo secolo dopo, l’invenzione di Negishi ci ha regalato miliardi di interpretazioni alticce di Livin’ on a Prayer, Bohemian Rhapsody, Hotline Bling o Total Eclipse of the Heart. In giapponese karaoke significa “orchestra vuota”. Karaoke e karatè hanno la stessa radice, kara, che significa “mano vuota”, combattimento senza armi. Le due discipline hanno un’etica simile: niente armature, niente strumenti, niente strumenti dal vivo, niente dietro cui nascondersi, siete solo voi e il vostro coraggio (e magari un po’ d’alcol in corpo).
In realtà il karaoke ha avuto più di un inventore. Sono almeno cinque le persone che tra il 1967 e il 1971 hanno ideato in modo indipendente macchine su cui cantare. Oltre a Negishi, il più famoso è Daisuke Inoue, il batterista/ingegnere che nel 1971 creò l’8 Juke e che nel 2004 è stato premiato a Harvard per aver inventato «un modo completamente nuovo di imparare a tollerarsi vicendevolmente». Inoue è stato accolto come un eroe: s’è fatto avanti in una sala piena di studiosi, tra cui almeno tre premi Nobel, per cantare Can’t Take My Eyes Off of You. E però lo Sparko Box di Negishi è arrivato quattro anni prima dell’8 Juke.
Quand’è decollata anche in occidente, la cultura del karaoke è divertita non solo un nuovo giocattolo musicale, ma uno stile di vita. Ha rivoluzionato l’idea stessa di esibizione in pubblico: ha dato a qualsiasi dilettante il permesso d’oltrepassare il limite, prendere il microfono e squarciagolare canzoni davanti ad altre persone. Non serve avere una bella voce o essere virtuosi. Non c’è nemmeno bisogno di conoscere i testi. Bastano entusiasmo, passione e un’assoluta mancanza di vergogna.
Il karaoke crea uno spazio sicuro in cui timidi e introversi riescono a trasformarsi per qualche minuto in divi dalla voce squillante. E tutto questo senza azzeccare una sola nota. In quale altro posto perfetti sconosciuti applaudono e s’incoraggiano a vicenda quando fanno male una cosa? In quale altro luogo si può condividere un microfono con una persona mai incontrata prima, massacrando assieme Selena Gomez alle 2 di notte? È una comunità temporanea in cui per una sera si è tutti rockstar.
Ecco perché il karaoke è diventato una parte permanente della cultura musicale. È anche un modo per trovare la propria voce. Christina Aguilera ha avuto il primo contratto discografico grazie a un nastro in cui cantava Whitney Houston. Quando Taylor Swift andò per la prima volta a Nashville per distribuire i suoi demo, aveva 11 anni e cantava con una macchina per il karaoke i successi di Dolly Parton, Dixie Chicks, LeAnn Rimes, oltre a Hopelessly Devoted to You, dalla colonna sonora di Grease.
Questo è il mondo ideato da Shigeichi Negishi. Nel 1975 ha smesso di produrre gli Sparko Box, di cui rimane un solo esemplare conservato dalla famiglia. La sua visione però vivrà per sempre. Perciò la prossima volta che vi capiterà di stonare Bohemian Rhapsody, dedicategli un “Galileo”.
Da Rolling Stone US.