C’è un solo aspetto della musica fisica che perdura, quasi immutato, nei tempi dello streaming. Parliamo dell’artwork delle copertine degli album, forse l’ultimo brivido intergenerazionale della cultura pop. Se la nascita di uno studio grafico come Hipgnosis sembra oggi improbabile (e ancor di più che un novello Andy Warhol firmi una copertina venerata dai posteri) è altrettanto vero che, a ogni uscita discografica, c’è sempre un “quadrato” da riempire.
In questo universo grafico in espansione esistono anche le cover delle cover. Parliamo di una nicchia discografica in cui gli art director di album originali si sono rifatti – per gioco, tributo o dileggio – ad altre copertine del passato (più o meno remote, più o meno celebri). Senza la pretesa di essere esaustivi, ne abbiamo scelte 10, cercando di valutare soprattutto quelle in cui l’aderenza al progetto grafico originale sembra più evidente e ben realizzato.
Proxy Music (2024) vs Roxy Music (1972)
Il concept del prossimo album di Linda Thompson, in uscita il 21 giugno, gira tutto sul filo del doppio senso implicito nel titolo: far suonare ad altri le proprie canzoni (un proxy è, nel linguaggio internettiano, un “intermediario”). Thompson, 76 anni, soffre infatti da parecchi anni di disfonia spasmodica, una patologia delle corde vocali. Saranno altri artisti (fra cui John Grant e Rufus Wainwright) a cantare al posto suo. Si capisce così l’autoironia dell’omaggio alla provocatoria cover del debutto dei – guarda caso – Roxy Music, in cui la cantante prende il posto della modella norvegese Kari-Ann Muller (il cui volto campeggiò anche sull’ultimo album dei Mott The Hoople).
London Calling (1979) vs Elvis Presley (1956)
Paul Simonon mentre sfascia il suo Fender Precision Bass durante il concerto del 21 settembre del 1979 è uno degli scatti più emblematici del rock del secolo scorso. Non molto amato dalla sua autrice, la fotografa Pennie Smith che la ritiene un’immagine talmente sfruttata e abusata da farla sembrare carta da parati, e neppure dal protagonista, che rimpiange di non aver usato il suo basso di riserva – molto meno prezioso – per il suo celebre sfogo dovuto al fatto che il locale aveva posti a sedere mentre i Clash erano abituati giustamente a un pubblico in piedi. Fatto sta che il viscerale ritratto, sgranato e in bianco e nero, apparve perfetto al designer Ray Lowry per la cornice che aveva in mente: un omaggio all’omonimo debutto di Elvis Presley del 1956 e al suo lettering rosa verde.
G-Stoned (1993) vs Bookends (1968)
L’EP d’esordio del duo austriaco Kruder & Dorfmeister è figlio del sound elettronico dell’epoca e ha davvero poco o nulla da spartire con il quarto album di Simon & Garfunkel. Peter Kruder fu però talmente colpito della somiglianza fra il suo socio e Art Garfunkel nella foto usata per Bookends che decise che i due dovevano per forza fare una cover che ricalcasse quella del 1968. In un giorno ricrearono angolazioni, luci e ombre in modo quasi perfetto. La cosa curiosa è che Dorfmeister è un fan sfegatato del pluri-stampato album del duo di Forest Hills e ogni volta che va negli Stati Uniti torna con una copia anche solo leggermente diversa dell’LP.
Dig Me Out (1997) vs The Kink Kontroversy (1965)
Janet Weiss alla batteria amplia il lessico musicale di Carrie Brownstein e Corin Tucker e suggerisce anche di usare il layout grafico di The Kink Kontroversy per la copertina del terzo disco. Le riot grrrl di Olympia hanno una sottile affinità con il terzo lavoro dei Kinks: entrambi sono dischi di transizione, entrambi alludono ad aspetti controversi delle loro rispettive storie. Ray Davies e i suoi si riferivano alla cattiva reputazione che si erano fatti negli Stati Uniti (che costò loro quattro anni di embargo), mentre le Sleater-Kinney al famigerato articolo di presentazione di Spin dell’agosto del 1996, dove il magazine fece outing sulla passata relazione fra Corin Tucker e Carrie Brownstein.
Kamikaze (2018) vs Licensed to Ill (1986)
Nel 2018 Eminem si divertì a pubblicare un disco a sorpresa, pieno di diss vecchio stile. Il disegno della copertina si rifaceva al debutto del 1986 dei Beastie Boys, uno dei gruppi di riferimento del rapper. Cambiava solo il tipo di aereo e qualche dettaglio. Come l’immagine posta sul retro. In quella di Eminem il pilota va a schiantarsi contro un oggetto ignoto mostrando il dito medio, mentre sul debutto dei newyorchesi la fusoliera si è completamente accartocciata nell’impatto con una parete rocciosa. Michael “Mike D” Diamond e Adam “Ad-Rock” Horovitz si dissero lusingati.
Demon Days (2005) vs Let It Be (1970)
Sulla scorta delle Sleater-Kinney, il gruppo virtuale ideato da Damon Albarn e dal fumettista Jamie Hewlett ha utilizzato per il proprio secondo disco l’impaginazione della copertina di Let It Be con un font più slanciato. Altra particolarità: tutti i Beatles (eccetto Paul McCartney, ça va sans dire) guardano a sinistra mentre Stuart “2-D” Pot, Murdoc Niccals, Noodle e Russel Hobbs si rivolgono a destra. Si potrebbe solo aggiungere che anche i Beatles, ai tempi dell’uscita del loro ultimo album, erano ormai una band solo sulla carta.
50,000 Fall Fans Can’t Be Wrong (2004) vs 50,000,000 Elvis Fans Can’t Be Wrong (1959)
Humor e autoironia. Nel 2004 Mark E. Smith scelse di pubblicare il primo greatest hits dei Fall rifacendosi al quarto volume di successi di Elvis pubblicato dalla RCA nel 1959, che in prima battuta s’intitolava Elvis’ Gold Records, Volume 2. Smith aggiunse 39 Golden Greats sul frontespizio della cover. Qualche mese più tardi Jon Bon Jovi ha dato alle stampe un box set intitolato 100,000,000 Bon Jovi Fans Can’t Be Wrong. E il sarcasmo andò a farsi friggere.
We’re Only In It for the Money (1968) vs Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band (1967)
Come Elvis, i Beatles la fanno spesso da padrone in questo genere di classifiche iconografiche e anche loro sono presenti con due dischi. Si tratta del noto remake della copertina di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band curato dall’illustratore Cal Schenkel e dal fotografo Jerry Schatzberg per il terzo disco dei Mothers of Invention We’re Only In It For The Money. Per evitare cause legali Frank Zappa provò a convincere telefonicamente McCartney a firmare un accordo di non belligeranza, ma non se ne fece nulla. La parodia finì nel gatefold dell’album e si decise per un’immagine alternativa che comunque richiamasse il disco. Da diversi anni, però, il famigerato omaggio è diventata la copertina ufficiale.
Watery, Domestic (1992) vs Ambergris (1970)
Ci sono anche casi in cui i diritti d’autore non sono d’intralcio. È il caso della copertina dell’unico disco degli Ambergris, oscura band jazz-rock fondata da Jerry Weiss (ex Blood, Sweat & Tears), che è stata usata come “tavolozza” dai Pavement per il loro primo EP su etichetta Matador. La band di Stockton ha solo aggiunto la propria cifra stilistica scarabocchiando sulla fiera testa del gallo frasi criptiche e disegnini col gessetto bianco. Premurandosi però di cancellare bene il nome della band precedente, che si leggeva all’estremità del becco.
The Heart of Saturday Night (1974) vs In the Wee Small Hours (1955)
La direzione artistica per il secondo disco di Tom Waits segue uno spirito diametralmente opposto a quello slacker e dissacratorio di Stephen Malkmus & Co. L’esperto Cal Schenkel e l’artista Lynn Lascaro presero l’illustrazione di uno dei dischi più amati da Waits (il capolavoro di Frank Sinatra) e lo usarono come modello estetico. In questo modo, se si accostano le copertine, sembra di osservare un dittico su due tipi differenti di solitudine: più netta, quasi metafisica, quella di The Voice, più morbida e terrigna quella del principe della malinconia, come lo stesso Waits si definì sul set di Daunbailò.