Beatrice Quinta è tornata, anche se non è più quella che avete conosciuto a X Factor. Dei sei inediti del suo primo EP Devota stupiscono i testi a tratti pulp su ritmi dance pop ai quali fanno da contraltare pezzi più cantautorali e autobiografici, che mettono in luce un lato più intimo e sofferto della cantante siciliana.
Ci siamo fatti spiegare la svolta da Beatrice, fra sogni erotici col suo migliore amico, una fede ritrovata nel genere umano, rapper trollati e la voglia di «smettere di prendersi per il culo».
Dopo il primo ascolto del tuo EP mi sono chiesto: ma che le è successo?!
(Scoppia a ridere). Mi sono svegliata! Ho tolto i freni inibitori che avevo messo per la tv e quindi è uscita la musica di cui, tra tutte le cose che ho fatto, sono più fiera.
Sei stata presentata come una delle promesse del pop italiano. Ma in fondo ti senti una promessa o già una realtà?
Non mi sento ancora una realtà. Preferisco essere una promessa, perché così ho ancora il tempo per diventare una realtà. Diventarlo subito è quasi limitante. Mi lascio lo spazio per stupire.
In questo lavoro lanci messaggi di autodeterminazione, di rivalsa e anche di fede. Hai avuto una conversione?
Sono sempre stata una persona spirituale. Ho riscoperto la fede negli esseri umani, che è qualcosa di nuovo per me. La fede nella comunità e in me stessa, che sono fondamentali per capire il mondo che mi circonda. Non è ritrovata, ma è rivalutata.
Il primo brano, Devota, ha una intro da musica liturgica, per poi trasportare l’ascoltatore in una dark room. Un bel salto…
Il brano è nato da un sogno erotico che ho fatto su un mio amico storico in cui c’era un’orgia in una dark room. Così è venuto fuori il pezzo, tra le scene che ho immaginato e il risveglio, quando gli ho dovuto spiegare quel che avevo sognato, una scena un po’ cringe.
E lui come ha reagito?
Purtroppo i nostri orientamenti sessuali non combaciano, per cui non è scattato niente.
A parte il sogno, sono storie che hai vissuto?
Alcune sì, però vorrei sperimentare di più. Ho tutta la vita per farlo. Quando andrò a Berlino in una dark room sarai il primo a saperlo…
Ci conto. Intanto sei tornata anche ai live tra Palermo, Milano e Roma. Com’è stato ritrovarsi di fronte alla gente che era lì per te?
Stupendo, perché mi sento nella mia comfort zone. È bello lavorare in studio, però ritrovarsi la gente davanti è tutta un’altra cosa. Ti ricarica e ti restituisce il senso di questo lavoro. Sentire le persone che cantano le tue canzoni è una delle cose più emozionanti che mi sono succede quest’anno.
In un post dopo uno di questi live hai scritto: «Palermo è punk, è idealista, un rifugio di poeti e artisti. Questa città è incastrata nel mio dna, e sono questa grazie a lei. Ho dentro di me tutte le sue contraddizioni. Palermo è viva e brucia sempre di un fuoco sacro. Il fuoco dell’amore. Io vi amo».
È stato il live più significativo in assoluto, perché ero nella mia città e all’interno di una manifestazione con persone alle quali voglio bene, fratelli e sorelle che lottano esattamente come i miei amici che ho anche qui a Milano. Si respiravano vibes veramente punk. Palermo è una città con un sacco di strati, come una cipolla. Prendere tutta la cipolla in mano è impossibile… oddio, ma che analogia ho fatto?! Sarà l’entusiasmo di quei ricordi.
L’evento era il Palermo Pride e in un video sui social dal palco esclami: «Mi dicono, anche qualche pseudo intellettuale, perché sto nuda. Come se il mio corpo dovesse avere una giustificazione per esistere».
Eh sì, ma è qualcosa che non finirà, anche se spero finisca presto. Più che altro, quello che mi da più fastidio è che dicano che mi spoglio perché fa vendere. Oppure che spogliandomi devo per forza compiere un atto politico. Invece a volte mi va semplicemente di stare nuda. Non c’è sempre una spiegazione, il mio corpo non deve avere una ragione per esistere.
Pure le streghe, che inizia con un canto tradizionale, a un tratto si trasforma in un pezzo pulp: “Dentro quel macchinone ho ucciso un calciatore, voleva un figlio, chiamarlo Kevin, io l’avrei chiamato errore”.
È una revenge fantasy su fatti ispirati da storie reali. Sai, l’unico modo che conosco per provare a cicatrizzare quello che mi succede è scriverne in maniera sborona. È quel che ho fatto con Pure le streghe.
Sei tu la protagonista?
Alcune parti sono relative a persone a me vicine, altre le ho vissute personalmente. È tutto reale, ma ti assicuro che non ho ucciso nessuno…
Quello lo avevo intuito e anche sperato, ma sul decidere di abortire?
Ah no no, quella è ispirata da altri. Mi sembrava l’incipit perfetto per dare il giusto tono all’EP. Anche quella è la forza, la libertà di dire no.
La stessa libertà con la quale trolli i rapper quando canti: “Ho visto un rapper che scopava i dischi d’oro. Ha una pistola che non ha mai visto un foro”.
Li trollo un po’! Ma nessuno in particolare, trollo la figura del rapper in generale. La trovo interessante, in particolare per come è descritta in quel pezzo. Ma non è solo una questione di rapper. Un po’ tutti nell’ambiente dello spettacolo hanno aspetti che mettono in mostra e altri meno, che siano reali o no. Io compresa. Siamo tutti sulla stessa barca.
Con 10 in un bagno torni al tuo cavallo di battaglia: “Il sesso come medicina, disposto a tutto per stare in cima”.
Fare delle scelte vuol dire anche pagarne le conseguenze. Me ne sono accorta ripensando al passato, credevo che alcune cose mi facessero stare bene e invece ora non è più così. Mi sono analizzata guardandomi da fuori e mi sono detta: devi crescere e capire quali sono le cose che ti fanno più male. Il sesso, in questo caso, è uno di quegli aspetti con cui ho avuto un po’ di problemi e ne parlo spesso per esorcizzarlo.
A 25 anni non è un po’ presto per fare i conti con se stessi? Come quando in un altro post scrivi: «Recap di vita: mi sembra di avere vissuto tre vite e nonostante tutto ogni giorno mi sorprendo con qualche nuova stronzata».
Siccome siamo bombardati da informazioni, a un certo punto pensi di aver vissuto tutto quello che è possibile vivere. Io ho iniziato a farlo piuttosto presto, quindi ho bruciato un po’ le tappe ed ero convinta di aver visto tutto. Ovviamente non è così. Infatti mi capita sempre qualcosa che mi fa dire «oh mio Dio». La vera svolta, credo di aver capito, è quando ogni cosa incredibile che ti succede la prendi dal lato positivo. Non a caso mi sono successe diverse situazioni brutte ma, se non fossero successe, non sarei diventata quella che sono.
I pezzi più autobiografici e intimi mi sembrano Fatima, dove descrivi l’abbandono della tua terra, e Pelle dove racconti di «genitori che si odiano e poi restano insieme».
Tutto Devota a dire la verità parla di esperienze personali, con emozioni e situazioni descritte attraverso gli occhi degli altri o attraverso i miei. Pelle è di sicuro il pezzo più autobiografico.
Ho iniziato dicendoti «cosa ti è successo?», ma chi ha sentito finora il tuo EP ha avuto la mia stessa reazione?
Sì, non sei il primo. Penso sia positivo, no? Non è stato uno shock negativo. Penso di essermi spinta a un grado di sincerità che può destabilizzare l’ascoltatore. Ma è quello che volevo. Fino all’ultimo ho avuto dei dubbi: cambio questa parte, poi quest’altra… alla fine ho fatto i conti con me stessa e non mi sono più voluta prendere per il culo. Ho avuto la forza di mostrare dei lati fragili, e anche gente che ho accanto da tempo non se lo aspettava. Ed è felice, perché sto facendo vedere parti di me che conoscevano da tempo. Alla fine è quello che sono, io sono partita davvero così, come nel brano Pelle, da Mondello con un pianoforte e la mia voce.
La nostra ultima intervista si era conclusa chiedendoti a chi metteresti le Manette, prendendo spunto dal tuo singolo di allora. Mi avevi risposto «a Harry Styles». Alla fine ce l’hai fatta con lui o almeno con qualcun altro?
Non ce l’ho fatta, infatti approfitto di questa intervista per lanciare un annuncio: AAA cercasi qualcuno a cui mettere le manette, ma anche qualcuno che le metta a me. Contattatemi!