Non servono esperti di soul e R&B per riconoscere l’importanza dei dischi pubblicati dalla Stax tra gli anni ’60 e i ’70. Pezzi come Soul Man di Sam & Dave, Respect e (Sittin’ on) The Dock of the Bay di Otis Redding, Theme from Shaft di Isaac Hayes e I’ll Take You There degli Staple Singers, giusto per citare qualche hit, hanno fatto dell’etichetta di Memphis la versione sudista della Motown.
A ribadirlo c’è una nuova docuserie diretta da Jamila Wignot Stax: Soulsville U.S.A., distribuita negli Stati Uniti da HBO. Le sole immagini rare valgono la visione di queste quattro ore: Hayes che lavora coi Bar-Kays al soul orchestrale di Shaft, Redding nella sua fattoria e al Monterey International Pop Festival, il suo funerale del 1967, le session in studio di Booker T. and the MG’s, il gruppo di casa Stax.
Non è solo una questione di musica. Stax: Soulsville U.S.A. racconta i drammi, le lotte, le cadute e le risalite che hanno accompagnato la storia dell’etichetta nell’arco di 15 anni. Ecco alcune cose che abbiamo imparato.
La politica c’era, ma era nascosta
Le canzoni più note di casa Stax non erano considerate apertamente politiche, eppure la politica, in un periodo tanto delicato della storia americana, s’è comunque fatta strada nella musica. L’autore e produttore David Porter spiega ad esempio che con Soul Man di Sam & Dave voleva lanciare anche un messaggio di identità razziale. Il compianto Isaac Hayes racconta in un’intervista d’archivio che anche i suoi costumi di scena – saliva sul palco a torso nudo e coperto di catene – erano simbolici. Le catene, dice, connotavano forza e non prigionia (gli occhiali da sole invece li indossava per nascondere il nervosismo che provava dopo aver fatto il passaggio da autore dietro le quinte a performer).
A WattStax, il festival organizzato dall’etichetta allo stadio di Los Angeles nel 1973, Jesse Jackson guidò decide di migliaia di neri nel canto “I am somebody”. Si scopre poi che molti musicisti della Stax bazzicavano il bar e la piscina del Lorraine, il motel di Memphis dove Martin Luther King Jr. è stato assassinato nel 1968.
If you care about Black culture you should give a damn about the people it comes from. The Story of @StaxRecords is truly told on @HBODocs clearly. Its rise inspired my childhood it’s demise angered me forever. No evidence is this clear on the last episode where Al Bell & Jim… pic.twitter.com/AJtp9PzsT0
— Chuck D (@MrChuckD) May 21, 2024
Anche la Stax ha la sua eroina segreta
Il nome Stax non evocava le stacks of records, le pile di dischi. Era invece la combinazione delle prime lettere dei co-fondatori: il musicista e autore Jim Stewart (St-) e la sorella Estelle Axton (-ax). Com’è noto, è stato il primo a chiedere alla seconda di investire nel suo negozio con annessa casa discografica. Axton ipotecò la casa per partecipare al business diventando, dice un ex dipendente, «il sostegno materno dell’organizzazione». La donna ha avuto un ruolo di primo piano nell’azienda fino ai tardi anni ’60, quando ha avuto un duro scontro con il promo man dell’etichetta Al Bell. A quel punto Stewart le ha chiesto di farsi parte (Axton è morta nel 2004, la figlia la ricorda «a pezzi» dopo aver lasciato la Stax).
È anche una storia di razzismo
La Stax nasce come negozio di dischi con uno studio di registrazione nel retro. Booker T. Jones lo ricorda come un luogo in cui si ritrovano appassionati di musica sia bianchi che neri, ma fuori di là imperava il razzismo. All’inizio, le radio mainstream ignoravano i dischi della Stax. Jim Stewart ricorda la volta in cui Carla Thomas, che aveva già centrato alcune hit con l’etichetta, dovette entrare in un hotel usando il montacarichi poiché i neri non erano ammessi nella hall. Stewart, Bell e Redding sono stati fermati da alcuni agenti di polizia Memphis innervositi dalla vista di un nero in un’auto con dei bianchi. L’etichetta e i suoi artisti hanno ricevuto il giusto riconoscimento solo nel 1967, quando la Stax ha organizzato un tour in Europa, dove questi soul men sono stati accolti come eroi.
Anche all’epoca la morte fruttava bei soldi
È il 1967, Otis Redding scopre Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles e decide che anche lui deve allargare i propri orizzonti. Il risultato è il folk-soul (Sittin’ on) The Dock of the Bay, che incide prima che un incidente aereo uccida lui e i quattro membri della sua band, i Bar-Kays. Secondo il documentario, l’etichetta Atlantic contatta Stewart pochi giorni dopo la morte di Redding chiedendogli se ci sia della musica pronta. Inizialmente restio a farlo, il chitarrista e produttore degli MG’s Steve Cropper rifinisce la canzone e la spedisce alla sede Atlantic di New York (il musicista ricorda di aver consegnato il master a un’assistente di volo a Memphis). Nel giro di pochi giorni, (Sittin’ on) The Dock of the Bay arriva nei negozi di dischi e diventa il primo numero uno in classifica di Redding.
Alla Stax sapevano come vendere i dischi
Al Bell, destinato a diventare comproprietario e primo dirigente nero di spicco dell’etichetta, racconta il modo in cui nel 1965 è riuscito a trasformare You Don’t Know Like I Know di Sam & Dave in un successo. L’uscita della canzone era prevista prima di Natale e Bell sapeva che i dj erano costretti a passare canzoni legati alle feste. Sapendo che avevano bisogno di staccare da quelle musichette, suggerì loro di passare il singolo ogni tre, quattro pezzi natalizi. Funzionò: per la prima volta Sam & Dave entrarono nella Top 100 americana.
Poche etichette sono state fregate come la Stax
Una qualche università americana dovrebbe dedicare al caso della Stax un corso in music business. Siamo nel 1965 e Stewart firma «un pessimo accordo» con la Atlantic: 1000 dollari per i diritti di distribuzione dei dischi a livello nazionale. La morte di Redding fa segnare all’etichetta una battuta d’arresto. Va persino peggio l’anno dopo quando la fusione con la Warner Brothers rende la Atlantic proprietaria di fatto dei master della Stax. Morale di un dipendente: «Ci hanno fottuti senza nemmeno darci un bacetto».
Negli anni ’70 la Stax era diffidente nei confronti della CBS che, dice il documentario, era considerata dai neri un’etichetta razzista. Viene comunque fatto un accordo grazie a Clive Davis, che all’epoca guidava la CBS e voleva entrare nel mercato dell’R&B. Tutto sembra andare nel verso giusto fino a quando Davis viene licenziato senza tanti complimenti e gli album della Stax spariscono dai negozi. Secondo Stax: Soulsville U.S.A., la CBS iniziò a trattenere i soldi della Stax, in pratica strangolandola economicamente. Come se non bastasse, l’etichetta è stata coinvolta in un caso di appropriazione indebita intentato contro la banca con cui lavorava.
Pure la Stax ha avuto la sua quota di WTF
Tutte le case discografiche commettono errori e la Stax non fa eccezione. Nella parte del documentario che precede il crollo definitivo dell’etichetta avvenuto nel 1975 si vede un video di Lena Zavaroni, un’adolescente bianca scozzese con una gran voce e una presenza scenica forte distribuita negli Stati Uniti proprio dalla Stax. Pur essendo decisamente fuori posto nell’etichetta di Memphis, Zavaroni ha in qualche modo anticipato il filone di fenomeni alla America’s Got Talent – ok, non è certo il contributo migliore della Stax alla pop culture americana, ma una coda interessante nella storia di un’etichetta un tempo grande.
Da Rolling Stone US.