«L’azione è il personaggio»: George Miller racconta come è nato ‘Furiosa’
La decisione di fare un prequel di ‘Fury Road’, cult action-femminista le cui riprese furono “impossibili”. La scelta di Anya Taylor-Joy come protagonista. Il senso alla base di ‘Mad Max’. Il processo creativo ancora artigianalissimo. Il perché non rivede mai i suoi vecchi film (tranne uno). E la voglia, a 79 anni, di futuro. Una lunga conversazione con un gigante d’Australia
Foto: Warner Bros.
Immaginate un nonno gentile, seduto accanto a una finestra d’hotel aperta, che guarda il mare della Costa Azzurra. Il sole di prima mattina colpisce la sua chioma grigia in un modo che fa quasi sembrare che ci sia un’aureola sopra di essa. Il completo nero fa pensare che sia arrivato in Francia per un convegno di pompe funebri. Gli occhiali lo fanno sembrare leggermente un gufo. Quando si china in avanti, pronto a lanciarsi in un aneddoto, si ha l’impressione che stia nostalgicamente per parlare di qualche vacanza che ha fatto qui in gioventù. E poi, quando il signore in questione inizia a chiacchierare amabilmente sulle complessità delle riprese di un gigantesco 16 ruote che sfreccia nel deserto mentre viene attaccato da feroci teppisti volanti, ci si ricorda improvvisamente che quest’uomo di 79 anni ha trascorso quasi un anno a far schiantare auto e a far saltare in aria cose di tutti i tipi nell’entroterra australiano.
È impressionante che George Miller si sia lanciato ancora una volta nella mischia e abbia affrontato un quinto film di Mad Max in un momento in cui molti avrebbero rallentato il ritmo. Francamente, l’idea che qualcuno, a qualsiasi età, possa tornare nel mondo di Mad Max: Fury Road, il cult action del 2015, sembrava impossibile da immaginare, visto che quelle riprese furono leggendariamente difficili. Ma il fatto è che Miller aveva una storia che voleva raccontare, e quando l’ossessione di raccontare una storia, con tutti i mezzi necessari, si fa sentire, ha modo di superare qualsiasi ostacolo sul suo cammino. Furiosa: A Mad Max Saga si concentra sugli anni formativi dell’eroina di Fury Road, originariamente interpretata da Charlize Theron, iniziando con il suo rapimento da un paradiso post-apocalittico da bambina e terminando con la Furiosa giovane donna – interpretata da Anya Taylor-Joy – che trama per liberare l’harem del suo “datore di lavoro” – vi ricordate il signore della guerra Immortan Joe, vero? Certo che sì!
Lungo il percorso, ci sono scene di inseguimento, sacrifici, Chris Hemsworth in sella a un carro di motociclette, missioni, vendette, altre scene di inseguimento, richiami ai precedenti film di Mad Max, una varietà di hot rod personalizzate che vengono fatte rotolare e spesso finiscono capovolte e distrutte, Tom Burke in piena modalità matinee-idol, numerosi “vaffa” al patriarcato e ancora più scene di inseguimento. Sebbene Miller abbia avuto una carriera abbastanza varia da includere qualsiasi cosa, da commedie che sono adattamenti di libri di successo (Le streghe di Eastwick) al melodramma puro (L’olio di Lorenzo) ai film per bambini (Babe va in città, Happy Feet e il suo sequel), il regista australiano è meglio conosciuto per i suoi film d’azione artigianali ambientati in una terra desolata piena di guerrieri della strada e di motori che combattono per gli ultimi litri di benzina. Miller e la sua fedele squadra di collaboratori hanno impiegato quasi due decenni per creare l’estetica steampunk-meets-gutterpunk e il caos desertico meticolosamente progettato di Fury Road. Questo nuovo prequel beneficia della possibilità di entrare in quell’universo già costituito e di ampliarlo. Lo stesso Miller ha descritto Furiosa come “un viaggio dell’eroe” molto più del suo predecessore; il film è sottotitolato A Mad Max Saga e si guadagna il diritto di definirsi, appunto, una saga.
Il giorno prima della première di Furiosa al Festival di Cannes – e poco più di una settimana prima dell’uscita del film il 23 maggio – Miller si è seduto davanti a noi per parlare del perché ha voluto raccontare la origin story del personaggio, di cosa significhi realizzare questo tipo di sequenze d’azione, del motivo per cui ha voluto Taylor-Joy nel ruolo e di come un altro sequel/prequel abbia finito per influenzare questo.
C’era già una storia di Furiosa scritta in forma di sceneggiatura prima di realizzare Fury Road, vero? Charlize Theron ha detto di averla avuta come guida…
Era un riferimento per lei e per la troupe, sì.
E poi, a un certo punto, quel soggetto è stato quasi trasformato in un lungometraggio anime. Quanto si è avvicinato il copione del Furiosa di oggi a quello originale che aveva scritto? Ci sono molti punti in comune? Quante modifiche sono state fatte?
Ad essere onesti, la parte centrale era già presente. Molto di quello che c’è in Furiosa viene direttamente da lì. Per esempio, l’ultima scena tra Dementus (il personaggio di Chris Hemsworth, nda) e Furiosa l’abbiamo usata per i provini di Fury Road. Mi ricordo che era molto simile. Direi che circa l’80% era presente in quella prima versione, ma è cambiato, come è giusto che sia, quando abbiamo composto il cast e abbiamo iniziato a progettare il film. Soprattutto per quanto riguarda gli attori. Grazie ad Anya, Chris e Tom, quel soggetto si è davvero evoluto, perché hanno portato il loro lavoro nel processo e hanno fatto propria quella storia. Avevamo già Gastown e Bullet Farm: c’erano già le prime illustrazioni e i primi concept art in quella sceneggiatura. Avevamo un’ottima base su cui lavorare, ma tutto si è ampliato perché avevamo bisogno di sequenze che si svolgessero in uno spazio reale.
Com’è stato tornare nel mondo di Fury Road? Le riprese di quel film sono state incredibilmente faticose, a detta di molti. Questa volta è stato, tra virgolette, più “facile”?
Le riprese sono sempre difficili. Tuttavia, è stato sicuramente più facile dal punto di vista della progettazione. Avevamo già codificato quel mondo in decenni di preparazione. Solo che questa volta le regole erano diverse. La storia stessa era diversa. Stavamo esercitando muscoli diversi. Sapevamo che avremmo dovuto confrontarci con il primo film, visto che si trattava di un prequel, quindi abbiamo fatto un po’ di reverse engineering. Furiosa si svolge nell’arco di 18 anni, mentre Fury Road si svolge in tre giorni, quindi i ritmi dovevano essere diversi.
Il primo film è essenzialmente un inseguimento in tre atti…
… mentre questo è una saga (fa una pausa). Sa, Il padrino – Parte II è uno dei miei film preferiti. Forse il mio preferito in assoluto, l’ho visto decine di volte. Lo dico a tutti da un po’ di tempo, ma mi è venuto in mente solo ora che ha influenzato molto questo film. Ha avuto una grandissima influenza.
Se ne sta rendendo conto solo ora?
Sì, proprio ora, mentre stiamo parlando. Non sto dicendo che sia lo stesso film, assolutamente! Ma Il padrino – Parte II torna all’infanzia e ai primi giorni di Don Corleone, e ti dà la possibilità di vedere come si trasforma nel personaggio che già conosci. Ovviamente si contrappone alla storia di Michael Corleone, ma le sequenze con Robert De Niro (che interpreta il giovane Don Corleone, nda) condizionano il modo in cui si guarda a tutto il film precedente. Mi sono appena reso conto di questo. Furiosa è davvero il mio modo di dimostrare il mio amore per quel film, così come il mio amore per il personaggio. Per me è molto interessante, perché non si inizia dicendo: “Farò un’odissea”. Oppure: “Questa volta facciamo qualcosa di più allegorico o forse un po’ più mitologico”. Si parte dalla storia. E mentre si racconta la storia, emergono queste cose. Per esempio, non abbiamo iniziato Fury Road con l’idea: “Faremo un film d’azione femminista”. È iniziato con una serie di domande molto semplici, che erano: cosa succede se qualcuno ruba qualcosa a un tirannico signore della guerra che farà di tutto per riaverlo? Cosa succede se quel MacGuffin è un gruppo di esseri umani? E infine: come cambia la storia se questi esseri umani sono tutti giovani donne e a salvarli è un’eroina donna, invece di un uomo? Perché questo cambia la storia. Anzi, la cambia parecchio. E poi escono fuori tutte quelle altre cose. Anche con Furiosa emergono questi temi, ma le domande che ci poniamo ora sono solo: ok, chi era Furiosa? Chi finisce per diventare? Con un altro pensiero fisso: questo film dev’essere diverso, ma deve dialogare con la storia originale.
Forse non si era deciso di fare un film d’azione femminista, ma si può dire che molte persone lo identificano come tale. E Furiosa ha l’impressione di amplificare questo concetto. Cosa significa raccontare la storia di una potente eroina donna in questo particolare momento?
Be’, il momento che stiamo vivendo è certamente lo Zeitgeist. Credo anzi che lo sia da molto tempo, a dire il vero. Ma ripensando a Fury Road e pensando a questo film ora… Sa, ho perso mia madre quattro anni fa. Era una persona davvero fantastica e ha avuto la fortuna di vivere fino a cent’anni. Essendo una donna nata nel 1920, ha vissuto molto di quello che è successo nel XX secolo, dai grandi sconvolgimenti sociali alla Seconda guerra mondiale. Aveva tre fratelli più giovani, tutti maschi, che hanno proseguito gli studi superiori. Poiché proveniva da una famiglia patriarcale, a lei era consentito di fare solo la sarta. Eppure era molto più intelligente di tutti gli uomini. Ha avuto tanti ostacoli sulla sua strada, eppure è riuscita a raggiungere una grande saggezza nella sua vita. L’ho visto con i miei occhi. Sono stato in grado di riconoscere la sua lotta fin da quando ero bambino.
Stava pensando a sua madre quando ha scritto questo personaggio?
Penso di sì, sicuramente per Furiosa. Ma queste cose vengono fuori inconsciamente. E poi ho avuto la fortuna di conoscere la cultura indigena australiana fin dall’inizio della mia vita. Che, non so se lo sapete, è la cultura più longeva che abbiamo sul pianeta. Ci sono persone che ancora oggi seguono tradizioni che hanno quasi 65mila anni. Stanno ancora eseguendo quelle che chiamano “linee dei canti”. E senza dilungarmi in una lunga dissertazione su tutto questo, una delle storie principali dei loro racconti di creazione – i loro miti che spiegano tutto, da dove si trova l’acqua a come si sono formate le stelle – era quella di sette sorelle inseguite per il deserto da una presenza maschile maligna. Ho capito solo dopo l’uscita di Fury Road che Furiosa e le cinque spose… oddio, erano proprio quella storia!
Aveva solo una sorella in meno.
(Ride) Solo una. Ma ci sono storie simili anche in molte altre culture indigene, fanno parte del nostro Dna collettivo. Ricordo quando ho letto Joseph Campbell (un saggista e storico delle religioni statunitense, ndt) la prima volta e ho pensato: è tutto lì, in queste storie antiche. E anche prima, quando abbiamo trovato le somiglianze tra i film del Padrino e i miei… fa sempre parte di questa lunga eredità narrativa, no?
Che tipo di discussioni ha avuto con Anya Taylor-Joy a proposito della “sua” Furiosa, sia per trovare la sua interpretazione del personaggio, sia per far sì che la sua performance si sincronizzasse con quelle di Charlize Theron e Alyla Browne, che interpreta la Furiosa più giovane?
È grado di difficoltà piuttosto elevato, vero?
Direi di sì.
Entrare in quei panni era un compito difficilissimo. E sì, doveva fare da ponte tra le altre due versioni. La prima cosa da fare in questi casi è avere un senso intuitivo. In pratica, avevo intuito che Anya avrebbe potuto farlo. La prima cosa in cui l’ho vista è stato uno spezzone di Ultima notte a Soho, e ho pensato: Dio, c’è una tale presenza qui. Sembra una donna senza tempo. E c’è una grande ferocia quando serve, e qualcosa di regale in lei. Ho detto a Edgar Wright (il regista di quel film, ndt): “Oh, sarebbe perfetta per…”, e prima ancora che potessi finire quello che stavo dicendo, lui mi ha detto: “Fallo. Fallo. Anya ha tutto, potrebbe fare qualsiasi cosa”. Non avevo nemmeno menzionato Furiosa. Edgar è una persona di cui mi fido molto, quindi ho pensato: “Se lo dice lui…”. Penso che gli attori debbano essere degli atleti fisici, intellettuali ed emotivi. Devono dare tutto al momento giusto. Quindi la precisione del loro lavoro è fondamentale. Sono davvero scioccato da quanti grandi attori, soprattutto donne, hanno iniziato a fare danza classica quando erano bambini. Quella precisione si vede sul set. Ho lavorato con dei ballerini in Happy Feet, e sapete… io sono l’opposto di un ballerino (ride). Ma mi ha sempre colpito il modo in cui devono stare al ritmo, all’unisono con gli altri.
È pura espressione fisica.
È pura espressione fisica che in qualche modo riesce a incarnare molte emozioni. Ho avuto la fortuna di lavorare con Jack Nicholson negli anni ’80, e non è un caso che lui sia un tifoso dei Lakers, perché si rendeva conto di quanto le capacità e gli sforzi di quei giocatori si sovrapponessero alle capacità e agli sforzi che gli attori devono mettere in campo. Si parla del fatto Tom Hardy avesse qualcosa come 16 battute in Fury Road, ma ci si dimentica che anche Charlize aveva poche battute in quel film. È quello che è successo anche con Anya. Può interpretare quel tipo di personaggi laconici che spesso associamo a John Wayne e Clint Eastwood, le tradizionali figure maschili d’azione, il “tipo forte e silenzioso”. Così è Anya in Furiosa, ed è difficile trovare personaggi del cinema di oggi così silenziosi. Ma non si tratta di un espediente, bensì del fatto che quando è piccola non può svelare dove si trova il Luogo Verde e nemmeno il fatto di essere una femmina, e quando invece è più grande non può rivelare il fatto di essere in missione. Sta tutto nelle sue azioni. Come abbiamo detto prima, l’azione è il personaggio.
Può parlare della progettazione di queste sequenze di Furiosa? Riescono davvero a guidare la narrazione, invece di eclissarla o metterla in secondo piano…
Non è diverso dal mettere insieme sequenze di dialogo, secondo me. L’azione dev’essere guidata dai personaggi. Quando si scrivono sequenze d’azione, si scrive sempre di un conflitto. È la drammaturgia di base: le persone hanno dei desideri o delle intenzioni e arriva qualcosa, di solito un’altra persona, che le mette in discussione. Se i personaggi sono alla pari, si tratta di un conflitto crescente che rimbalza su e giù nello stesso punto. Questo si rifà alle fiabe, alla mitologia e a tutto il resto, è invece necessario che ci sia un conflitto tra protagonista e antagonista, e non è diverso per una sequenza d’azione. Se non è guidata dai personaggi, è un guscio vuoto. Se non ci sono personaggi che guidano l’azione, si tratta solo di un sacco di rumore.
Questo non spiega ancora bene come avete messo insieme una sequenza come quella di Stowaway a metà del film. Quanto tempo ci è voluto per girarla?
Qualcosa come 78 giorni.
Praticamente un film a sé stante.
Davvero… E le riprese sono state effettuate da Guy Norris (action designer e stunt coordinator, nda) nelle Hay Plains, le pianure più piatte dell’Australia. È stato tutto pianificato nei minimi dettagli. È stata solo una questione di esecuzione, una volta che abbiamo messo a punto la coreografia di quella sequenza.
Lei ha parlato molto del fatto che il cinema muto ha influenzato molto il suo lavoro. Questa sequenza sembra essere stata realizzata da uno di quei registi degli albori di Hollywood, che trasportavano un sacco di attrezzature e controfigure nel deserto e rischiavano la vita per realizzare delle sequenze d’azione folli e davvero pericolose.
È davvero interessante guardare la scena da quella prospettiva. Innanzitutto, non c’è dubbio che il linguaggio dei film – e delle scene d’azione in particolare – sia stato codificato molto tempo fa. Il libro di Kevin Brownlow The Parade’s Gone By… mi ha colpito molto, quando l’ho letto per la prima volta, soprattutto per le parti dedicate a Buster Keaton. Ricordiamoci che eravamo all’inizio di questa forma d’arte, quando tutto questo accadeva. Quegli autori stavano cercando di capire come far progredire un’inquadratura in quella successiva e stabilire così una connessione. Non si trattava solo di girare una scena, stavano montando i loro film in modo tale che le sequenze d’azione non potessero essere realizzate in altro modo. Non si potevano fare quelle scene d’azione a teatro. Un inseguimento d’auto al cinema non sarebbe stato come nella vita reale. Questo è stato il genere di cose che mi ha colpito fin dall’inizio. Quando mi sono posto la domanda: “Che cos’è il cinema in sé?”, è questo ciò che mi ha davvero colpito. Sto ancora cercando di rispondere a questi interrogativi, ma la grande differenza, come lei ha sottolineato, è che allora era una sorta di selvaggio West: non avevano nulla di tutto ciò che abbiamo oggi. Quando abbiamo realizzato la grande sequenza al centro di Furiosa, la “sequenza del clandestino”, abbiamo usato un sistema chiamato Proxy, che si basa sull’Unreal Engine. È stato sviluppato da Guy Norris e da uno dei suoi figli, che è anche lui stunt coordinator. È un modo per “renderizzare” in modo molto accurato le preview della scena, attraverso l’animazione e così via. Può essere un processo piuttosto lento e macchinoso, ma lui è stato in grado di elaborare un sistema che ci ha permesso di essere molto precisi, non solo con gli eventi sullo schermo, ma anche all’interno dell’auto, sotto il War Rig e con tutto ciò che accadeva sopra. Siamo riusciti a fare qualcosa anche con le macchine da presa: non aveva senso fare qualcosa se non era perfettamente posizionato nella telecamera. Siamo quindi stati in grado di farlo e di preparare l’azione in modo molto preciso; non in modo così preciso da non lasciare spazio alla sperimentazione, ma dal punto di vista della produzione. E il grande vantaggio di tutto questo è che quando si gira la sequenza, si può riprodurre inquadratura per inquadratura. E l’altro grande vantaggio è la sicurezza: in questo modo è possibile ridurre al minimo i rischi. Ai tempi di quei primi cineasti non si potevano cancellare i cavi, per dire. Non so come facessero.
Lo facevano perché molti di quei primi registi provenivano da un ambiente rude e rozzo. John Ford ha iniziato come stuntman. Howard Hawks era un temerario che pilotava aerei. Buster Keaton faceva parte di un numero di vaudeville in cui veniva letteralmente sballottato sul palco dai suoi genitori. E anche George Miller era un medico, eppure…
Un medico che guida un’auto elettrica, sia ben chiaro. Eppure… (ride)
Ha fatto molti tipi diversi i film, ma è probabile che il suo necrologio reciterà: “George Miller, il regista di Mad Max…”.
Sì, molto probabilmente sì.
Si è mai sentito come se questo franchise avesse eclissato il resto del suo lavoro? So che alcuni registi hanno avuto problemi ad essere conosciuti solo per un film o una serie di film…
È una cosa che non si può evitare, vero? Una volta entrati in quel mondo, le storie vengono da sé, e sono le storie che chiedono di essere raccontate. È un po’ come l’universo di Mad Max, in realtà, in quanto si tratta di una sorta di fenomeno darwiniano: la sopravvivenza del più adatto. Si pensa al mondo che si è costruito, e all’improvviso si trova una storia interessante da raccontare. E se si tratta di qualcosa come Furiosa, una volta che si è impossessato di te non puoi fermarlo. A dire il vero, quando ho iniziato a fare film, non ho mai pensato di fare carriera nel cinema. Mai. Non penso a cose come l’eredità cinematografica che lascerò, davvero. Ogni tanto si guarda al passato, ma appunto è passato: l’unica cosa che si prende dal passato è ciò che si impara e che ci permette di andare avanti nel presente. C’è solo un film che ho rivisto, tra quelli che ho fatto.
Qual è?
Era Interceptor – Il guerriero della strada (il primo Mad Max, ndt), perché ero al South by Southwest e avevano programmato una proiezione speciale del film. E mi chiesero: “Verresti a parlarne?”. Allora ho pensato: “Se devo parlare di come l’ho fatto, è meglio che torni a guardarlo”. Era passato molto tempo, e mi è piaciuta l’esperienza di stare in mezzo a un pubblico che apprezzava il film. Ma io sono come molti registi, non rivedo i miei vecchi lavori.
Perché no?
Perché non c’è più niente da fare. Se sei ancora curioso del processo di creazione di un film, non stai a riflettere sul tuo passato. Guardi sempre al futuro. Ecco perché sono così. Perché sono ancora curioso del processo creativo.
Pensa che il cinema abbia ancora un futuro come mezzo di narrazione?
Ha solo 125 anni: è ancora piuttosto giovane, rispetto alla maggior parte delle forme d’arte (ride). Anche rispetto alle forme d’arte narrative. Voglio dire, chi avrebbe potuto prevedere tutto questo? Chi poteva prevedere dove sarebbe potuta arrivare l’evoluzione dell’espressione attraverso l’immagine in movimento? C’è stato un cambiamento costante nella storia del cinema, e questo cambiamento sta diventando sempre più rapido. Ma l’unica cosa che credo resti costante è che abbiamo bisogno di storie. Più il mondo è complesso e più c’è rumore là fuori, più abbiamo bisogno di storie. Non è qualcosa che qualcuno stabilisce. C’è e basta. Siamo predisposti alla narrazione. È un modo per rendere il mondo coerente.
“Ci raccontiamo storie per vivere”.
Ci raccontiamo storie per condividerle. Le storie non esistono nel vuoto o con una sola persona, le raccontiamo per creare una comunità. E i film lo fanno ancora. Raggiungono ancora molte persone. Creano ancora un significato. Continuo a tornare alle culture primigenie, soprattutto a quelle native dell’Australia, e comincio a capire che quelle narrazioni non sono solo decorative. Non sono solo intrattenimento. Sono un modo per capire il mondo in assenza di altri strumenti per farlo. I bambini vogliono sempre la stessa storia, e poi un giorno passano alla storia successiva. Persone come Bruno Bettelheim (psicanalista che si occupò principalmente di psicologia dell’infanzia, ndt) non chiedono cosa il bambino stia elaborando, perché i bambini non hanno il linguaggio per spiegare il perché. Ma stanno elaborando qualcosa, se vogliono sentire ancora e ancora Hansel e Gretel. Stanno affrontando il problema dell’abbandono, della seduzione di una casetta di pan di zenzero o di come affrontare l’uccisione di una strega. Tutto questo viene elaborato senza che loro siano in grado di articolarlo, e credo che questo accada con tutte le storie, in tutte le culture.
Cosa stiamo elaborando con i film di Mad Max, allora? Un trauma ambientale? L’instabilità sociale? La fine della nostra società? L’inizio di una nuova società?
La risposta breve è: tutto questo insieme (ride). Conosce la meravigliosa storia di quel tipo che andò da Freddie Mercury e gli disse: “Credo di aver finalmente capito il significato di Bohemian Rhapsody”? Spiegò tutto a Freddie Mercury, questa lunga storia sul significato del pezzo, e Freddie Mercury alla fine gli disse: “Se tu la vedi così, allora è di questo che parla”. Questo è lo scopo dell’allegoria. Se vede tutto questo in Furiosa, mio caro, be’, allora c’è.