Netflix
Bellissima ma che allo stesso tempo atterrisce, in una dicotomia costante di aggettivi che quasi tutti hanno usato per definirla: divertente e devastante, dolorosa e sarcastica, oscura e brillante. L’unico che pare aver trovato una sintesi efficace è Stephen King, che ha commentato così: “Holy shit“. Forse profetizzava anche lo tsunami mediatico che sarebbe seguito a quel “based on a true story”: la ricerca dei corrispettivi reali dei personaggi e il relativo caos che ne sarebbe uscito. Two stars are born: Richard Gadd e Jessica Gunning. Senza se e senza ma la serie (più chiacchierata) dell’anno.
Netflix
Il tentativo di fondere la narrativa urbana tentacolare à la Richard Price con l’elemento fantasy del pupazzone in stile Muppet del titolo, che il personaggio di Benedict Cumberbatch vede ovunque e con cui a un certo punto si mette a sniffare coca. Il fuoriclasse british interpreta il creatore di un show per bambini che ricorda moltissimo il Jim Henson di Sesame Street, e la cui vita sta cadendo a pezzi dopo la scomparsa del figlio. Un concept irresistibilmente weird, la penna della sceneggiatrice Abi Morgan e la solita interpretazione larger than life di Cumberbatch. Per noi è sì.
Prime Video
Lulu Wang (la regista di The Farewell – Una bugia buona con Awkwafina) mette in scena una storia elegante e inquietante, che si interroga sul privilegio ed esplora quel che accade quando la linea tra vittimismo e colpevolezza è più incerta che mai. Uno slow burning al femminile dark ma sfumatissimo sui segreti che mogli e madri sono disposte a nascondere (ma fino a quando hanno abbastanza energie per farlo?). E pure una riflessione sulla compassione e sul perdono. Starring Nicole Kidman (who else?), “issima” come sempre. Se n’è parlato troppo poco.
Disney+
Secondo “issue” della serie antologica che Ryan Murphy dedica ai “feud” che hanno fatto il costume del ’900. Ma dopo il ritratto übercamp di Bette Davis (Susan Sarandon) e Joan Crawford (Jessica Lange), i toni kitsch stavolta si asciugano per fare invece della parabola di Truman Capote (un favoloso Tom Hollander: e dopo Philip Seymour Hoffman non era impresa facile) e le sue BFF dell’alta società newyorkese (stupende Naomi Watts, Diane Lane, Chloë Sevigny, Calista Flockhart, Molly Ringwald e Demi Moore) lo struggente e doloroso canto del cigno (pardon) di un intero mondo. E la mano di Gus Van Sant, alla regia di quasi tutti gli episodi, si sente.
Prime Video
Nel solco del game turned serie di The Last of Us, ma con un twist più spiccatamente satirico. Un adattamento che sembra una vera estensione del gioco, un’esplosione post-apocalittica sia per i neofiti che per i fan del franchise. I creatori hanno preso alcuni elementi dal materiale originale, ma hanno anche aggiunto molte delle loro idee, in particolare per quanto riguarda la trama e gli archi dei personaggi. Oltre a giustapporre ironicamente scene di disperazione o violenza stilizzatissima e cruenta con canzoni pop allegre o malinconiche degli anni Quaranta e Cinquanta. Viva sempre Walter Goggins.
Netflix
Versione seriale (presso sé stesso) del film starring Matthew McConaughey, è il “solito” cocktail irresistibilmente sfacciato di action, comedy e drama by Guy Ritchie. Ci sono gli adorati gangster cockney, un po’ di slapstick, la violenza grottesca d’ordinanza. Trama brillante e ingegnosa – l’aristocratico Eddie (Theo James) eredita la tenuta di famiglia, ma scopre che ospita un impero del traffico di marijuana – con affondi politici annessi (Brexit e lotta di classe british), ritmo indiavolato, ottimo cast (Daniel Ings!) e (tanto) cinema nel cinema. Ritchie ha inventato un genere, e forse questa è la sua cosa migliore dai tempi di Snatch – Lo strappo.
Prime Video
Aveva senso fare un remake del film che ha messo insieme (letteralmente) Brad e Angelina? Sulla carta no. Ma Donald Glover e Maya Erskine, tra action e ironia, sono perfetti. La serie infatti inverte abilmente la premessa del lungometraggio, mescola i migliori elementi della tv rétro e di quella contemporanea e bilancia abilmente la stupidità dell’idea di base (due spie fingono di essere una felice coppia sposata) con la sua indubbia dose di pericolo. È una sorta di The Americans meno drama e più pem pem, vedi anche gli scontri emotivi tra i due ricchissimi di umorismo. Uno dei migliori casi di rifacimento apparentemente superfluo di titolo già super cool.
Apple TV+
Altro giro, altra high society. Se Feud mette alla berlina gli Upper East e West Side di Manhattan, Palm Royale fotografa altrettanto entomologicamente le sciure “bene” della Florida. La outsider Maxine (una Kristen Wiig che spegne i toni da commediante pura per tratteggiare un ritratto più complesso e sfaccettato) viene rifiutata dai “cigni” di Palm Beach (capitanati da una mean-girlissima Allison Janney). Ma saprà portare a termine (più o meno) la sua scalata sociale. Satira old-school elegantemente confezionata, e starring altri nomi come Laura Dern, Ricky Martin (una sorpresa come attore) e la veterana Carol Burnett.
Netflix
Again, ha senso riadattare un romanzo (di Patricia Highsmith) già diventato un film (anzi, vari film) di culto (il più wow con il terzetto delle meraviglie Matt Damon, Jude Law e Gwyneth Paltrow)? Sì, se dietro il progetto c’è un autore come Steven Zaillian e un cast perfetto, che introducono Ripley a una nuova generazione con uno studio sui personaggi avvolto in un noir che gioca tantissimo sui dettagli. Andrew Scott (clamoroso) ha una ventina d’anni in più del protagonista incarnato da Damon ed è ormai un truffatore esperto. Dickie ha il volto di Johnny Flynn e Marge quello di Dakota Fanning (da applausi anche lei). Il resto lo fa la fotografia caravaggesca del premio Oscar Robert Elswit. Più cinema del cinema.
Disney+
Anziché fissarsi sul cliché semplicistico anni Ottanta dello straniero in una terra straniera – come era accaduto nella versione tv con Richard Chamberlain – la serie ricrea la portata epica del kolossal letterario di James Clavell grazie a un cast strepitoso e a scene straordinarie ed “extralarge”, concentrandosi tantissimo su ogni aspetto e dando spazio a ogni punto di vista (vedi i numerosi personaggi non bianchi). Shōgun non è soltanto bellissima da vedere, ma è un’opera su una scala molto vicina a Game of Thrones, che funziona bene sia come grande racconto che come testo sociologico.
Sky e NOW
Il romanzo Premio Pulitzer di Viet Thanh Nguyen, la mano del grande regista sudcoreano Park Chan-wook e un incredibile tour de force interpretativo di Robert Downey Jr. (praticamente ogni personaggio bianco della storia ha il suo volto). La miniserie, che racconta di un agente doppiogiochista nordvietnamita (strepitoso Hoa Xuande) a metà degli anni Settanta, è piena di immagini e suoni che rimandano al cinema, un film-nel-film con un approccio da matrioska che nasconde pezzi di narrazione all’interno di altri, ma non confonde. E riesce in una mission impossible: mantenere il sense of humour del materiale originale senza mai ignorare o sminuire le tragedie di una nazione divisa in due.
Sky e NOW
Sono passati dieci anni dalla prima stagione del dramma poliziesco antologico starring Matthew McConaughey e Woody Harrelson. Ne sono seguiti un altro paio di capitoli tutto sommati trascurabili. Ora Jodie Foster e socie (tra cui Kali Reis) hanno acceso di nuovo la fiamma di una serie che, fino ad ora, era stata tutt’altro che femminile. E lo hanno fatto a 150 miglia a Nord del Circolo polare artico. La trama è piuttosto dark – la scomparsa in circostanze misteriose di gruppo di ricercatori che sembra collegata a un omicidio irrisolto – ma la (nuova) showrunner Issa López riesce a evitare che la serie venga consumata da quell’oscurità e a illuminare le scintille che volano tra le co-protagoniste. Un gioco di equilibri incredibilmente pieno di grazia, fino al finale.