Nel 2021, il New York Times Magazine ha pubblicato un articolo di Robert Kolker di quasi diecimila parole intitolato Who Is the Bad Art Friend? (“Chi è il cattivo amico dell’arte?”, ndt). Il pezzo parlava di una donna di nome Dawn Dorland che aveva donato un rene a uno sconosciuto. Di tutto questo lei stessa aveva parlato a lungo in un gruppo Facebook per aspiranti scrittori. Un altro membro del gruppo, Sonya Larson, ha scritto un racconto ispirato a Dorland, spingendo una Dorland infuriata a farle causa.
Quando Who Is the Bad Art Friend? è stato pubblicato, ha suscitato un enorme dibattito online. Alcuni si schierarono con Dorland, sostenendo che Larson aveva tradito la sua fiducia; altri si schierarono con Larson, sostenendo che la ricerca di ispirazione dalla vita reale è il midollo della grande narrativa. Al centro del discorso c’era la questione centrale: in un mondo in cui il consenso e la privacy sono apparentemente fondamentali, come si traducono questi principi nell’arte? Cercare l’ispirazione da chi ci circonda fa di te un “cattivo amico dell’arte” o ti rende semplicemente un artista? Un altro modo per dirlo: qual è il ruolo dell’empatia nell’arte?
A distanza di tre anni, sembra che l’argomento sia più confuso che mai. Lo dimostra il dibattito suscitato da Baby Reindeer, l’acclamata miniserie di Netflix che racconta di un comico, Donny Dunn (Richard Gadd), perseguitato da una donna più grande di lui, Martha Scott (Jessica Gunning).
Come opera d’arte, Baby Reindeer è profondamente commovente. Ed è anche profondamente disturbante da guardare. In parte questo è dovuto al fatto che la serie mette abilmente in discussione tabù di lunga data sull’abuso sessuale, la salute mentale e l’identità di genere, suggerendo in particolare che la linea di demarcazione tra vittima e abusante è molto più tenue (o addirittura sfocata) di quanto vorremmo credere. Ma è anche perché fin dall’inizio, attraverso una scritta che appare sullo schermo, ci viene detto che “questa è una storia vera”.
Quando Baby Reindeer è uscita, gli investigatori di Internet si sono subito messi al lavoro per cercare di identificare l’ispirazione reale per Martha, nonostante Gadd avesse chiesto sui social media di non farlo. Nel giro di pochi giorni, hanno indicato Fiona Harvey, un’avvocatessa di mezza età che aveva twittato in modo eccessivo rivolgendosi a Gadd nello stesso periodo in cui è ambientata la serie.
Proprio come Dorland, a cui non piaceva essere presa di mira pubblicamente, Harvey era infuriata per il personaggio di Martha. In alcune interviste, ha affermato che Gadd aveva inventato o esagerato la maggior parte della storia – in particolare il fatto che Martha fosse stata arrestata per le sue azioni – e ha minacciato di fargli causa (il 6 giugno, Harvey ha intentato una causa multimilionaria per diffamazione contro Netflix; né Gadd né Netflix hanno risposto alle sue affermazioni o confermato che fosse proprio lei l’ispirazione per il personaggio di Martha). In breve, Harvey ha accusato Gadd di essere un cattivo amico d’arte.
Sebbene Gadd avrebbe certamente potuto nascondere alcuni dettagli identificativi in Baby Reindeer, è difficile sostenere che non avesse il diritto di raccontare la propria storia così come l’ha vissuta, indipendentemente dal fatto che coincida o meno con la versione degli eventi fornita dalla sua fonte di ispirazione. Anche se ci può far rabbrividire vedere Donny Dunn masturbarsi al pensiero di fare sesso con la sua stalker, la verità è spesso scomoda, e i complessi sentimenti che Gadd provava per quella donna non fanno eccezione. In effetti, parte di ciò che rende Baby Reindeer un’opera d’arte così notevole è il modo in cui Gadd estende la sua comprensione alla sua molestatrice molto più di quanto lei, probabilmente, meriti.
Per tutte le parole che le persone cresciute su Internet usano per predicare il linguaggio dell’empatia – l’importanza di rispettare i confini, di non dare spazio a chi abusa di loro, di amplificare le voci emarginate e di mettere a tacere quelle che abusano del loro potere – siamo terribilmente veloci nell’attaccare chicchessia quando diventa virale un video di qualcuno che perde la testa su un aereo o che urla contro un dipendente di Target. Ciò che conta per la folla online in questi momenti non è, a quanto pare, se una persona sia malata di mente o neurodivergente o in preda a una crisi personale o semplicemente stia passando una brutta giornata. Ciò che conta è scoprire chi sono quelle persone e assicurarsi che siano ritenute responsabili del loro cattivo comportamento, anche se l’aspetto della responsabilità cambia da un giorno all’altro. L’importante è dichiarare chi è buono e chi è cattivo: quei ruoli sono sempre ovvi e immutabili.
In superficie, Baby Reindeer potrebbe non sembrare così gentile con Martha. Ma questa è una lettura superficiale del personaggio. Sebbene Martha sia disordinata, violenta, irrazionale e spesso insopportabile, ha anche momenti di genuino fascino e vivacità, oltre a lampi di intuizione sulla vita degli altri. “Qualcuno ti ha fatto del male, vero?”, chiede a Donny, senza sapere quanto sia acuta nei suoi confronti. Anche se nel corso della serie fa danni incalcolabili alle persone attorno a lei, Gadd non manca mai di ricordarci la sua umanità. È un ritratto ricco di sfumature, che non sarebbe possibile se Gadd non provasse una genuina empatia nei confronti della donna reale di cui stava scrivendo.
È ironico, quindi, che il discorso intorno a questa serie si sia incentrato sulla demonizzazione di un autore di fiction per aver esercitato proprio il livello di empatia che manca alla maggior parte delle persone su Internet. Ci vuole integrità per guardare la persona che ti ha reso la vita un inferno e cercare di trovare qualcosa di redimibile in lei, qualcosa che possa aiutare a spiegare, se non giustificare, perché è diventata quello che è. E ci vuole coraggio per condividere il proprio processo di “guarigione” con il resto del mondo. Possiamo rimproverare a Richard Gadd di non aver cambiato alcuni dettagli chiave, ma non possiamo incolparlo di non aver considerato i sentimenti della vera Martha nel raccontare la sua storia – e quella di quella donna. Non è lui il cattivo amico dell’arte, siamo noi.