La nostalgia non è più quella di una volta. Verso la metà di Un piedipiatti a Beverly Hills – Axel F (appena arrivato su Netflix), ovvero il quarto capitolo della saga con protagonista lo spigliato detective interpretato da Eddie Murphy, il nostro uomo, Axel, si presenta alla reception di un elegante hotel di Los Angeles. Indossa la sua solita uniforme: giacca da baseball, maglietta, jeans e scarpe da ginnastica bianche. Vedere Murphy, che a 63 anni ha un aspetto migliore di quello che la maggior parte di noi aveva a 33, col suo vecchio look è già di per sé un salto all’indietro con la macchina del tempo.
Foley si presenta all’impiegato come Nigel Applebottom della rivista Bon Appetit, sfoggiando un leziosissimo accento britannico. Si è inventato una storia elaboratissima che probabilmente gli farà ottenere una suite per pochi spiccioli. Poi Foley si ferma, fa una pausa e dice, con la sua voce normale: “Al diavolo. Sono troppo stanco. Avete delle camere disponibili?”. Dopo che gli viene proposto un prezzo assurdo, Foley sorride e risponde: “Adoro Beverly Hills”, con il massimo del sarcasmo legalmente consentito; e poi si interrompe mentre il famoso tema di Harold Faltermeyer inizia a suonare nella scena successiva.
È uno dei momenti più divertenti di Axel F, in parte perché è uno dei più sorprendenti in un sequel progettato per essere il più prevedibile possibile. Ma è anche la scena più dissonante del film, perché non Murphy si è limitato a trattare il suo tardivo ritorno al ruolo che lo ha reso una superstar come il mero adempimento di un obbligo contrattuale. Non sta facendo l’occhiolino al pubblico in nome di una sorta di sfondamento della quarta parete, come a dire: “Non siamo tutti troppo stanchi per questo, ragazzi?”. Murphy ha ammesso di aver cercato di fare un altro Beverly Hills Cop dalla fine degli anni ’90, e da quando Dolemite Is My Name (2019) ha dato il via al terzo atto della sua carriera ricordando a tutti che è un patrimonio dell’umanità, ha capito che finalmente poteva farcela. Murphy non sembra affatto “troppo stanco” per indossare di nuovo il suo giubbino e correre per Rodeo Drive. È tutto il resto di questo viaggio che sembra avere il fiato corto.
Per dovere professionale, ne descriveremo giusto le basi. Dopo aver sventato una rapina a una partita dei Red Wings nella sua città natale, Detroit (perché a chi non piace un buon inseguimento in auto vecchio stile tra spazzaneve e veicoli elettrici?), Foley riceve una telefonata dal suo vecchio amico Billy Rosewood (Judge Reinhold). Billy ha lasciato la polizia secoli fa e ora è un investigatore privato, e pensa di essere incappato in uno scandalo di corruzione che coinvolge i pezzi grossi di Beverly Hills. Soprattutto, crede che la figlia di Foley, Jane (Taylour Paige), possa essere in pericolo: è un avvocato e uno dei suoi clienti sa troppe cose, il che la mette nel mirino. Axel torna quindi di corsa dove tutto era cominciato, grazie a una sequenza di montaggio che ci mostra tutti i ricconi più eccentrici e stronzi di Hollywood, solo aggiornati al 2024. C’è un rapper di SoundCloud circondato da quattro gigantesche guardie del corpo! E c’è una signora che dà da mangiare sushi al suo pomerania! Los Angeles, sei proprio pazza!
Foley si insospettisce quando Billy non passa a prenderlo all’aeroporto. Come se non bastasse, trova un trio di teppisti nell’appartamento del suo amico. Il nostro eroe scappa ma viene acciuffato dalla polizia. L’altro suo vecchio amico, Taggart (John Ashton), è ora a capo del distretto. Foley incontra il detective Bobby Abbott (Joseph Gordon-Levitt), che ha letto il fascicolo di Axel e, per puro caso, conosce Jane nel senso, diciamo così, biblico del termine. Viene interrogato anche dal capitano Grant, che emana immediatamente vibrazioni da bad guy perché: a) è viscido, b) è Kevin Bacon e c) è interpretato da Kevin Bacon nel modo più viscido possibile. Ora Axel deve trovare il suo amico scomparso, evitare gli scagnozzi di Grant e la polizia, ricucire i rapporti con la figlia – che ovviamente non è felice di vederlo – e convincere sia lei che il suo ex Abbott ad aiutarlo a stanare i cattivi. E se dovrà cambiare il suo accento o mettere una banana dentro un tubo di scappamento, be’, farà tutto ciò che è necessario.
Quindi sì, anche se Axel/Nigel Applebottom è troppo affaticato per ottenere una camera d’albergo gratis, può comunque ingannare, ad esempio, l’occasionale impiegato del deposito per ottenere qualche informazione. Gli attori secondari del franchise, come il burocrate del dipartimento di polizia interpretato da Paul Reiser e il buontempone Serge di Bronson Pinchot, tornano per fare tutto quello che facevano prima. Nella maggior parte delle serie cinematografiche resuscitate oggi vengono citati i momenti salienti del passato, ma Axel F fa un passo oltre, e ripropone non solo il tema semi-iconico di Harold Faltermeyer, ma anche The Heat Is On di Glenn Frey, Neutron Dance dei Pointer Sisters e Shakedown di Bob Seger, direttamente dalle colonne sonore di Un piedipiatti 1 e 2. Anche le scene d’azione sembrano essere state prese direttamente dai film degli anni ’80; è come quando l’intelligenza artificiale replica cose già note, sbagliando però sempre qualche elemento chiave. Non possiamo darlo per certo, ma siamo sicuri al 90% che il regista esordiente Mark Molloy abbia ottenuto l’incarico perché il suo nome è stato estratto a caso da un cappello.
L’unico elemento che rende questo ritorno non così insopportabile è Murphy, il che non sorprende, visto che questi film sono sempre stati concepiti per essere una vetrina in cui il comico potesse fare ciò che sa fare meglio, ovvero una versione in grande stile di sé stesso. Per chi lo conosceva solo come voce dell’asino saputello di Shrek o come nome sopra il titolo di molti film per bambini, l’idea che Murphy fosse non solo il comico più innovativo e pericoloso, ma anche la più grande celebrità del pianeta può sembrare incredibile. Chi lo ha visto passare dal Most Valuable Player del Saturday Night Live al fuoriclasse di 48 ore, tuttavia, ricorda quando il ventenne di Bushwick, Brooklyn, era pronto a sfondare nel modo più epico possibile. Il primo Beverly Hills Cop ha cambiato tutto: per Murphy, per la commedia e per il cinema.
Solo perché è tornato a quelle atmosfere un paio di volte con risultati minori (persino Murphy stesso ritiene che Un piedipiatti a Beverly Hills III, uscito nel 1994, sia stato una delusione), non significa che Murphy tratti quest’ultimo film in modo meno serio. Porta tutto il suo carisma, la sua presenza sullo schermo, la sua capacità di rendere una battuta efficace. Prende in carico quest’esca lasciata da Netflix nel mare della nostalgia come meglio può. Di tanto in tanto, come quando canta uno o due versi di Family Affair di Mary J. Blige davanti a Paige, si vede trasparire la vecchia magia di Murphy. Ma in Axel F sembra di assistere allo stanco ritorno di un ex grande del campus alla sua quarantesima riunione di liceo. Questo è un film che non si limita a ricordare gli anni ’80. In realtà vorrebbe essere ancora negli anni ’80, considerato il suo sguardo affettuoso a un’epoca più semplice e piena di star. Due ore dopo, però, ritrovare quella banana nel tubo di scappamento sembra il più triste dei ricordi.